Roberto Ariagno, “Disarmare il nome” (Italic 2016): nota critica di Sonia Caporossi e cinque poesie

Enea Roversi, Roberto Ariagno e Sonia Caporossi – Cerimonia Segnalati del Concorso Letterario Bologna In Lettere 2018

Di SONIA CAPOROSSI *

Sembra imprescindibile, per penetrare la poesia di Roberto Ariagno, tentare di spiegare il significato recondito del titolo della sua ultima silloge poetica “Disarmare il nome”. Quand’è che il nome sostantivo come primum del discorso monolitico, o anche il nomen adjectivum come strascico di sememi aggiunti alla pregnanza frasale del verso, depone le proprie armi? Il nome per Ariagno si disarma decomponendone la struttura composita sottesa alla determinazione di una significazione univoca, si sfrangia di senso e depone la propria pretesa e sottesa esclusività prosaica sezionandone carnalmente l’anelito all’immaginificità, attraverso accostamenti continui e contigui di figure nominalmente rese pure perché sciolte completamente dal proprio immediato sistema di riferimento logico e mentale. L’accostamento libero di immagini è una tecnica postdadaista che in molta poesia contemporanea e postcontemporanea ha trovato rifugio e rielaborazione originale. Nella versificazione di Ariagno il nome si disarma quando la castità del vocabolario si disperde e si impastoia nell’impurezza di un associazionismo mai impostore, mai baro. Il nome si disarma quando torna all’essenza estetica primitiva del suono più che della sintassi, in un’analisi logica dinoccolata e volontariamente claudicante, che anche nell’anacoluto trova porto e scampo per dettare le regole sregolate di un’immaginifica sovrimpressione di parole che radono il suolo, al grado zero del significante. Il nome, infine, nella poesia di Roberto Ariagno, si disarma quando all’indefesso accatastarsi, frasca su frasca, di un’indolente mucchio maculato di lessemi invadenti il senso delle cose, si affianca la fresca resilienza del significato, che torna a emergere intonso dal barocchismo della sovrabbondanza e dell’accumulo, in un’orgia di sensazioni che esplodono debordando spesso fuori ritmo e fuori verso. Per questo la figura cardine della tecnica di Ariagno è l’elencatio, che spesso non consente, durante la lettura, di riprendere in mano le redini della coordinazione metaforica e del fiato, nell’esito estremo finale di disegnare un paesaggio labor-intico assoluto, composto dagli infiniti strati della polisemanticità.

Roberto Ariagno, Disarmare il nome, Italic 2016

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neanche la lucidità per cogliere i tratti minimi
i piccoli passi da compiere negli avanzi del tempo
quando si è lasciati soli: hai sempre perso di vista
ogni destinazione, eppure la sopravvivenza,
è chiaro, è soprattutto restare avvinti
farsi fanatico, conoscere di ciò che si è scelto
ogni infinitesima parte, ripetersela e continuare a scrutare
con occhi incontentabili, numerare e archiviare,
(e arginare, lo vedi in tutti loro,
mentre sospeso o disattento ti lasci portare
con più o meno rassegnazione, calmato dal rollio,
a volte fiero del colpo di reni che ti ha alluso
un’evenienza, altre andando più lontano
consapevole o reticente, nella scontata direzione

*

come dirti di questa fame onesta
che ricade al margine dei rientri, lungo
stazioni di servizio deserte,
e l’oro di un sole breve esce
al largo dei pontili, tra cantieri
e spartitraffico, inonda i parcheggi
una sabbia fine, alzata da venti
minori, inopportuni (nelle piazzole
ci invidiano un’oscura beffa, quel tuo passo
cinto in alti stivali che sgomenta ancora

*

Come è chiaro
che inutilmente il reale è simbolico
F. Fortini

è da questa esigenza che si riconosce il mattino:
dalla luce laterale che passa tra le nuvole
mentre ti avvicini al paese, le cui avvisaglie
appaiono già qui, alla fermata dove c’è chi sale,
saluta l’autista e va a sedersi,
l’orologio segna le sette e zero tre
forse più tardi pioverà e certi riflessi lenti
di luce lagunare sono ricordi d’altre vite
oggi le domande vengono poste da luoghi incerti,
c’è un’attesa marginale
il cielo coperto rimanda all’inizio di aprile
a un’aria ben più trasparente,
anche il passo, il giardino, le bambine sull’altalena
s’accordavano al momento,
ma l’esito, lo scioglimento già prossimo
si rivela incerto, provvisorio

*

no land’s men

di brandelli di vesti, rimanenze
d’esistenze, tornare a galla in parole senza vita
risonanze assordate/destituite d’umano
galleggiano spalancati, le memorie dileguate
esose, marginali
(il confine, l’epiderma, al limite
della censura (e cesura
e si disarticola, disconosce, si dissecca
il discorso si fa cannibale

*

disossato
risulta netto, disponibile
alla mercé d’altre voci
in un silenzio sbiancato
calcificato
reso vacuo (acetabolo
del senso – il vuoto
che rimane tra un suono e l’altro

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* nota critica letta a Bologna in occasione della Cerimonia Segnalati del Concorso Letterario Bologna In Lettere 2018 il 29/09/2018.

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