L’orrore fenomenologico di H. P. Lovecraft: il sogno e il nichilismo, il fascinans e il tremendum (Seconda Parte)

Lovecraft e il suo immaginario
Lovecraft e il suo immaginario

di LENI REMEDIOS

Stupore metafisico ed orrore: fascinans e tremendum

Nel romanzo breve (o racconto lungo) Alle montagne della follia, scritto nel 1931 e pubblicato successivamente [1], narrante l’avventura di un gruppo di scienziati nelle terre ancora inesplorate dell’Antartide, viene dispiegato a perfezione il ventaglio di temi che attraversano la produzione lovecraftiana:  geometrie ed architetture ciclopiche e “non euclidee”; l’esistenza di una specie pre-umana le cui origini affondano a milioni di anni or sono, molto prima della comparsa dei primi ominidi di scientifica conoscenza; la follia generata dal confronto con verità terribili e la conseguente volontá di “proteggere” il resto dell’umanità da tali verità (gli esploratori aggiornano “il resto del mondo”, ovvero l’Universitá e gli organi di stampa, attraverso dei comunicati radio, in cui di comune accordo decidono di tacere molti particolari raccappriccianti della spedizione).

La meticolosità con cui Lovecraft riporta i dettagli della spedizione, dalle coordinate geografiche ai freddi comunicati radio, fanno sí che almeno per un momento il lettore creda veramente a quel che legge: insomma, Lovecraft riesce a rendere plausibile l’inverosimile. Non è un caso che all’utore sia stata attribuita la definizione di “weird realism”. E qui ci raccordiamo al secondo punto della nostra analisi.

In un curioso articolo apparso sulla rivista filosofica Collapse, Graham Harman dispiega un interessante parallelo fra la fenomenologia di Husserl e la letteratura di Lovecraft [2]Di primo acchito si potrebbe pensare alla consueta impertinenza riduttivistica della filosofia occidentale, quella contemporanea in special modo, che tende a ricondurre tutto lo scibile, persino l’immaginario bislacco di Lovecraft, alle proprie categorie teoretico-concettuali.

Un po’ è così; ma, come si suol dire, bisogna far attenzione a non buttar via il bambino assieme all’acqua sporca: Lovecraft, sottolinea Harman, lungi dall’etichetta di “autore pulp”, era un intellettuale, un profondo conoscitore delle correnti filosofiche e si dichiarava materialista ed ateo. Fra i suoi autori preferiti contemplava due filosofi della decadenza come Spengler e Nietzsche.

Il “non conosciuto” a cui rimanda, le veritá terrificanti che provengono dagli spazi cosmici o dai più profondi interstizi della terra, non appartengono ad un al di là trascendente o ad un mondo noumenico kantiano: esse sono perfettamente immanenti la dimensione spazio temporale che viviamo. Per quanto le architetture che descrive siano “non-euclidee” o obbediscano a leggi sconosciute (sinora) alla mente umana, esse non provengono da una dimensione trascendente. I buchi neri dello spazio o il centro della terra sono fenomeni che l’uomo conosce (per quel che conosce) solo per via indiretta, ciò non significa che non appartengano alla sua dimensione: “Il terrore di Lovecraft non è un orrore noumenico, quindi, bensí un orrore della fenomenologia” [3]. E’ questo che l’accomuna a Husserl: ciò che il fenomenologo “mette tra parentesi”, in una sospensione temporanea di conoscenza, “giace interamente all’interno dell’umana consapevolezza [4]”.

Fin qui si tratta del secolare tema filosofico del confronto fra soggetto conoscente ed oggetto conosciuto. Mi piace avventurarmi su un altro livello: quello emozionale/esperienziale. Quali emozioni evocano tali visioni del mondo? Quali impressioni scaturiscono da queste disquisizioni meramente razionali?

“Scelgo weird tales (lascio di proposito non tradotta l’espressione, poiché la definizione inglese viene utilizzata così com’è anche nel contesto italiano, nda) perchè meglio si prestano alla mia inclinazione – essendo uno dei miei più forti e persistenti desideri quello di ottenere momentaneamente l’illusione di una strana sospensione o violazione degli irritanti limiti del tempo, dello spazio e della legge di natura, che per sempre c’imprigionano e frustrano la nostra curiositá circa gl’infiniti spazi cosmici che oltrepassano il raggio della nostra vista e della nostra analisi” [5].

Se la filosofia è tanto impertinente e spregiudicata da trascinare Lovecraft a un confronto con Husserl, io non voglio sentirmi da meno e d’altra parte la riflessione che segue è sorta, come dire, d’istinto: le sensazioni di terrore e di fascinazione verso un universo sinora completamente sconosciuto (tremendum et fascinans), il senso di soggezione e di completa subordinazione nei cospetti di un’alteritá cosmica misteriosa (mysterium tremendum) mi han fatto subito pensare alla definizione che Rudolph Otto [6] diede del Sacro. Ironia della sorte, Otto provenica proprio dalla scuola fenomenologica di Husserl, tranne poi distanziarsene per le proprie posizioni neo-kantiane.

E’ sempre Alle montagne della follia ad offrire il paradigma perfetto anche in questo caso: Lovecraft è abilissimo nel creare quella sospensione dell’animo per cui noi lettori siamo lì, nell’abitacolo del piccolo aereoplano, assieme a geologi e scienziati, col fiato sospeso sul ciglio del mondo, ad aspettarci l’indicibile situato oltre le vette dell’Antartide [7]. La sensazione, meramente fisica,  è quella del battito cardiaco accelerato, dello sterno che si alza, come se venissimo materialmente sollevati, in uno stato di ansia ed eccitazione prolungate.

E’ questo senso di “incombenza”, come dice bene Giuseppe Genna nel suo articolo [8], che torna nei racconti di Lovecraft e rapisce il lettore in una sorta di stupore. In realtá il lettore avvezzo all’immaginario lovecraftiano, per il discorso di cui sopra sulla ricorrenza dei temi, giá prevede cosa lo aspetta al di lá del ciglio del mondo. E’ come se quello stupore fosse in realtá premeditato, un rapimento che il lettore si aspetta e che purtuttavia lo sorprende ogni volta.

Le colossali architetture che si dipanano alla vista, immerse nel silenzio disumano dei ghiacci, creano una dimensione del tutto preterumana e un forte fascino verso il quale gli esploratori non sapranno resistere (al di lá del terrore, essi si spingeranno sempre di più nei cunicoli della cittá antica, animati per altro dalla loro fame di conoscenza) ma anche un’innegabile sensazione disturbante.

Le verità evocate da questo e dagli altri racconti sono verità terribili, il cui contatto genera in molte menti fragili l’inevitabile follia. Meglio non sapere, sembra suggerire il nostro autore. E tale suggerimento suona familiare, alla luce, per esempio, delle teorie psicanalitiche che all’epoca di Lovecraft erano in pieno dispiegamento e che portavano a emersione sempre di più un sottobosco disturbante di materiale inconscio. Sempre in quegli anni la comunità scientifica discuteva l’ipotesi dell’esistenza di un altro pianeta (che sarà Plutone, il pianeta nano, scoperto nel 1930), ipotesi che Lovecraft sosterrá entusiasticamente, come rivela una sua lettera giá del 1906 al magazine Scientific American, e che dà ancora più supporto alla sua idea dell’essere umano come una misera presenza insignificante, ai cospetti di un cosmo dalle dimensioni inafferrabili, di cui sappiamo pochissimo e dalle dinamiche del tutto indifferenti agli umani travagli.

L’apertura di Il richiamo di Cthulhu, non a caso citatissima, è illuminante da questo punto di vista e quasi rappresenta un manifesto gnoseologico, una dichiarazione d’intenti filosofica: “Viviamo su una placida isola di ignoranza nel mezzo delle acque nere dell’infinito e non era detto che dovessimo viaggiare lontano” [9]. Ancora: in Il caso di Charles Dexter Ward parla di “oscure relazioni cosmiche e realtá innominabili dietro le protettive illusioni della visione comune” [10].

L’ignoranza è limitante, ma è protettiva. La conoscenza spalanca i cancelli dell’incommensurabile e se è una psiche debole a compiere il gesto il risultato è la perdita delle facoltà razionali. Fascinans e tremendum, attrazione e repulsione convivono nella stessa esperienza, così come Rudolph Otto descrive le più forti e totalizzanti esperienze di contatto col sacro. Ma il parallelo termina qui: alla fine, il lato misterioso dell’alterità cosmica e pre-umana verso cui il soggetto si trova in totale soggezione, prende forma nelle creature generate dalla fantasia dell’autore, proiezione e materializzazione delle forze più negative del cosmo (immanente). Una degenerazione in negativo di contro alla redenzione e all’estasi, culmine positivo dell’esperienza del sacro (trascendente).

Qui c’è da evidenziare un’altra delle contraddizioni del nostro autore, e devo dire che a me le contraddizioni piacciono molto, poiché latrici di vitalitá e pulsione: uno degli aggettivi più ricorrenti dell’ateo e materialista Lovecraft, in relazione alle presenze ed energie negative che popolano le sue storie, è proprio “blasfemo”: vien da chiedersi blasfemo rispetto a cosa?

L’altro tema sotteso è in realtà un interrogativo terrificante che l’autore getta in pasto al pubblico e di cui le sue creature aliene rappresentano solo un espediente letterario: l’idea che davvero non ci sia un’ulteriorità in qualche modo “positiva”, “edificante”, un qualsivoglia ordine cosmico che controbilanci e dia un senso  al caos delle miserie e grettezze umane, un’ulteriorità di volta in volta rivestita con le sembianze  delle varie divinitá e dei vari credi o sistemi filosofici. L’idea fondamentale è invece che tale ulteriorità sia una mera, immanente dimensione maligna o, ben che vada, del tutto indifferente ai percorsi umani. L’interrogativo vero, filosofico che soggiace alle creazioni del tutto fantasiose di Lovecraft è un interrogativo terribile. La sensazione è quella della terra tolta da sotto i piedi.

Il “pantheon” ateo di Lovecraft è un luogo di desolazione e nichilismo. Non vi è alcuna salvezza. Persino l’amore per la conoscenza può risultare pericoloso, come si è visto: l’unica salvezza per l’uomo è data dall’impossibilità di poter collegare tutte le conoscenze fra loro, di modo che la verità ultima sfugga perennemente. L’ipotesi di poter attingere e godere, anche solo per un attimo, di quella verità, porta solo alla disgregazione dell’Io. “La cosa più misericordiosa al mondo, penso, è l’incapacità della mente umana di correlare tutti i suoi contenuti” [11].

E’ l’esatto contrario di quel che insegnano tutti i sistemi mistico-esoterici, di ogni luogo ed epoca, in cui una visione unitaria e una conoscenza olistica, che mettano in armonia il microcosmo col macrocosmo, sono premesse necessarie all’illuminazione/liberazione dell’uomo, portando quindi ad una sua integrazione/individuazione anziché alla disgregazione.

Non che in questi percorsi – religiosi, mitici o, nel caso delle teorie junghiane, psicologici – non si preveda il rischio di un’eventuale disgregazione e perdita del controllo; lo mettono in conto, tant’è vero che promuovono una conoscenza graduale ed esoterica, dove il soggetto dev’essere di volta in volta preparato ai vari gradini di consapevolezza. Ma il percorso prevede comunque, prima o poi, un esito positivo o in ogni caso lo dà per esistente. In Lovecraft invece no, non vi è alcuna possibilità di redenzione, che sia in forma laica o religiosa.

Non esiste una “via di salvezza”, esiste solo una via di fuga e l’unica, autentica via di fuga è, per il nostro autore, quella dell’immaginazione. Una via d’uscita/fuga dalla propria realtà individuale miserabile, fatta di malattia, isolamento ed emarginazione negli anni d’infanzia e difficoltà economiche che in seguito lo perseguitarono sempre di più, fino alla fine dei suoi anni. Ma anche una via d’uscita/fuga da una società contemporanea che vede ineluttabilmente come votata ad una tragica decadenza: “è il mio credo, ed era così molto prima che Spengler ponesse il suo sigillo di studioso su ciò, che la nostra era meccanica ed industriale sia di franca decadenza”[12]

L’orizzonte che fa da sfondo all’uomo e intellettuale Lovecraft, al suo malato mondo immaginifico e inquietante, è un orizzonte privo di orizzonti di senso. E’ l’orizzonte dell’uomo di inizio Novecento che vede il declino inesorabile della modernità e abbraccia, con fredda consapevolezza, la nitzchiana morte di Dio e la secolarizzazione/disanimazione del mondo. Lo fa freddamente e scientemente: questa è la salvezza dell’uomo Lovecraft, di fronte invece alla deriva personale nella follia del maestro Nietzche. Lovecraft riversa tutto il magma di follia nel suo immaginario, che è, di fatto, un immaginario malato e perverso. Ma lui rimane cinicamente integro fino alla fine dei suoi giorni, pur divorato dalla malattia degenerante [13].

Prima parte:

https://criticaimpura.wordpress.com/2012/04/15/lorrore-fenomenologico-di-h-p-lovecraft-il-sogno-e-il-nichilismo-il-fascinans-e-il-tremendum-prima-parte/

[FINE SECONDA PARTE]


[1] Il regista messicano Guillermo del Toro da anni tribola con le case di produzione hollywoodiane per una versione cinematografica di tale racconto.

[2] Graham Harman, On the Horror of Phenomenology: Lovecraft and Husserl, contenuto in Collapse Volume IV. Philosophica Research and Development, 2008, Urbanomic, Falmouth, UK, electronic version 2009.

[3] Ibid, traduzione mia.

[4] Ibid, traduzione mia.

[5] H.P. Lovecraft, Note sulla narrativa fantastica (traduzione mia), 1933. Chiedo scusa al lettore per una imprecisione nella bibliografia delle opere di Lovecraft (omissione della pagina e della casa editrice) non disponendo della versione cartacea bensí di quella elettronica.

[6] Rudolph Otto (1869-1937) teologo e storico delle religioni tedesco. La sua riflessione sul sacro, contrassegnata da concetti come il numinoso, il totalmente altro, fascinans et tremendum, etc,  influenzò enormemente la filosofia/storia/sociologia/psicologia della religione sviluppatasi successivamente.

[7] All’epoca in cui Lovecraft scriveva vi furono parecchie spedizioni in Antartide, che lasciarono tuttavia inesplorate diverse porzioni: proprio quelle scatenarono la fantasia irrefrenabile dell’autore.

[8] Si veda Giuseppe Genna, Il Personaggio Vuoto – 3: Lovecraft, ovvero l’Autore Vuoto e l’Opera Vuota   http://www.giugenna.com/diario_riflessioni/il_personaggio_vuoto_3_lovecra.html

[9] H.P. Lovecraft, Il richiamo di Cthulhu, 1926 (traduzione mia).

[10] H.P. Lovecraft, Il caso di Charles Dexter Ward, 1927 (traduzione mia).

[11] H.P. Lovecraft, Il richiamo di Cthulhu, 1926, incipit (traduzione mia).

[12] Da una lettera a Clark Ashton Smith, 1927.

[13] Addirittura registra fedelmente in un diario, Il diario della morte,  le evoluzioni del tumore, per il futuro beneficio dei medici.

3 pensieri riguardo “L’orrore fenomenologico di H. P. Lovecraft: il sogno e il nichilismo, il fascinans e il tremendum (Seconda Parte)

  1. Il tema del “weird”, caro anche alla pur diversa narrativa connettivista, è particolarmente interessante in relazione alla categoria del “perturbante”, di ciò che scuote dagli schemi consolidati del pensiero razionale, dalle maschere e dalle proiezioni. Resta il fatto che non condivido l’ottica nichilista, perché per me l’approdo del Sé, sia pur sfondando le porte dell’Ego, non è annullante, ma anzi sommamente rivelatore, rispetto all’infinito potenziale del Sé.

  2. L’orrore fenomenologico è il punto estremo toccato dal sentiero della scrittura.
    Esso fa parte della costellazione di decreazioni che lasciano essere la realtà, fino alle sue punte più acuminate.

  3. Grazie Giovanni e Allorizzonte per i vostri preziosi interventi.
    Certamente il punto di vista di Lovecraft va contestualizzato nella sua storia personale e nel momento storico-culturale che stava attraversando. Neppure io condivido l’ottica nichilista, per quanto, a livello profondo, sia continuamente scossa da forti dubbi, ma questa e’ un’altra storia. Pero’ non credo sia questo il punto, nel senso: non credo proprio che Lovecraft volesse “convincere” i propri lettori riguardo a un sistema filosofico, semplicemente esso e’ sotteso al suo impianto narrativo, come una certa forma di pessimismo e’ sottesa all’opera di Thomas Hardy e come si potrebbe ugualmente dire per molti altri scrittori di narrativa.
    Quel che ho risparmiato nella mia analisi per motivi di tempo, ma mi piacerebbe sviluppare in forma di discussione, e’ che proprio questo pensiero sotteso non e’, in realta’, solamente applicabile al contesto dell’epoca in cui viveva Lovecraft, mi spiego: se la sua epoca fu tristemente contraddistinta dal fantasma della Grande Depressione, oggi stiamo attraversando in pieno il pantano della crisi economica globale. Gli strascichi che questa crisi sta lasciando a livello sociologico, culturale, psicologico devono ancora essere pienamente capiti e realizzati, nonostante – per esempio – il numero di suicidi sempre piu’ crescente. Ho la profonda sensazione che non abbiamo ancora la misura, la percezione di quel che stiamo attraversando. L’ondata di depressione e di disillusione sta raggiungendo livelli sempre piu’ alti, soprattutto nella generazione dei trentenni, quella che fino a qualche anno fa ancora nutriva delle speranze ed era sostenuta da un progetto di vita che credeva realizzabile. Oggi come oggi “l’ottica nichilista” sta devastando non poche coscienze, ma in maniera, come dire, naturale, senza che ci sia una cosciente decisione alla base, in cui il soggetto decide di abbracciare una certa corrente filosofico intellettuale. Semplicemente e’ l’orizzonte di vita in cui molti, oggi, 2012, si ritrovano, volenti o nolenti. Non sono poche le testimonianze che mi arrivano, a livello personale, di perdita della speranza e del senso, anche in persone “insospettabili”.
    Mi sembra, ahime’, che l’orizzonte nichilista di Lovecraft non sia poi cosi’ anacronistico…

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