25 Aprile 2012, all’ombra delle querce di Montesole, liberi di non dimenticare

I luoghi della strage di Montesole
I luoghi della strage di Montesole

Di ANTONELLA PIERANGELI

Ammettimi, per ragionamento, che nelle nostre anime ci sia una massa di cera (…). E diciamo ch’essa sia dono della madre delle Muse, Mnemòsine, e che in essa, quel che vogliamo ricordare di ciò che vedemmo o udimmo (…) imprimiamo, come se v’imprimessimo segno di sigilli; e che quel che vi sia impresso, lo ricordiamo e sappiamo finché in noi ne resti l’immagine; mentre quel che sia cancellato, o non sia stato capace d’imprimersi, si dimentica o non sia.

Platone, Teeteto, 191.

Lavorare con la memoria, lavorare sulla memoria.

C’è qualcosa d’infinitamente significativo, commovente e inatteso, che provoca un silenzio totale, quasi metafisico, nella bellezza scarna dell’altopiano di Montesole, vicino Bologna. Qualcosa che fa scattare nell’animo, come per azione di una pietra scagliata con ferocia in pieno petto, una forma rabbiosa di stupefatto dolore. Si tratta di una coltre di buio immenso, quello del peso della Storia, con tutte le implicazioni che questo concetto porta con sé. Si è trasportati, infatti, in quel luogo, nel vivo della storia, istante dopo istante, con la esasperata cadenza di un tempo che fatica a passare, in una dimensione irreale di smarrimento identitario. Di colpo, la voce di uomini e donne in carne e ossa, la sofferenza e le urla dei bambini e di tutti coloro che hanno sopportato l’insopportabile e sono morti sotto una barbarie assoluta e cieca, si materializzano nella coscienza, divenendo inequivocabili segni di riconoscimento della nostra memoria visiva e uditiva. E’ un attimo, ma sembra eterno, in cui noi diventiamo memoria vivente. Sotto le querce di Montesole, ci riappropriamo delle voci degli eventi, ci consegnamo ai loro ricordi permettendo che non si perda il segno di quell’esperienza: la trasmissione della memoria, che da sempre passa attraverso il racconto orale, in questo luogo sembra cedere il passo all’emozione della Memoria che diviene fascinazione per la libertà, rabbia profonda e indignazione, dolore muto, coraggio.

Il corpo scelto di “sacrificatori speciali” (nella definizione di Giuseppe Dossetti) della 16° SS Panzer Granatier Division Reichssfuhrer, comandata dal Maggiore Walter Reder – e il loro compito di “sterminare la popolazione civile” –  nel fondamentale nodo di senso che è l’acrocoro di Montesole, hanno miseramente fallito. La popolazione civile ha generato dal suo stesso sangue la coscienza civile della memoria e della cultura della pace. A fianco dei ruderi della chiesa di Casaglia, troviamo il coraggio di interrogarci sulla Storia, di conservare l’infinita capacità d’indignarsi e di reagire.

Su quelle montagne mai dome, abita ancora il senso di quello che, oggi, è il 25 Aprile: lavorare con il passato, evitando quelle che Todorov definisce “le Scilla e Cariddi del lavoro della memoria”, cioè la sacralizzazione e la banalizzazione, processi entrambi pericolosi ed estremamente dannosi, che si possono insinuare, non facilmente riconoscibili, minando e compromettendo il risultato delle nostre energie conservative e storiografiche. Ecco perché, la testimonianza e il ricordo di chi ha vissuto quelle tragedie, le voci dei sopravvissuti e dei loro luoghi, ci aiuteranno, per sempre, a non cadere in questo pericolo e a superare indenni lo stretto.

Sinossi dolorosa

Le stragi nazifasciste perpetrate sull’Appennino Emiliano, nella seconda metà del 1944, sono rimaste in gran parte impunite, colpevolmente dimenticate fino alla scoperta, nel 1994, del famigerato “armadio della vergogna” nel Palazzo della Procura Militare Generale a Roma. Nella colpevole e marginale visibilità data dai media, un processo è stato celebrato a La Spezia, contro quasi una ventina di criminali di guerra ancora in vita, per le loro responsabilità penali in uno dei più grandi massacri della seconda guerra mondiale: l’eccidio di Monte Sole. Quando, nell’estate del 1944 , gli Alleati sfondarono la Linea Gotica e si avvicinarono a pochi chilometri da Bologna, il Monte Sole rimase l’ultimo baluardo naturale prima del capoluogo emiliano. La sua importanza strategica si accrebbe fino a divenire decisiva per le sorti della campagna d’Italia e pertanto gli alti comandi tedeschi impartirono l’ordine di ripulire tutta l’area dai ribelli. Non diversamente da quanto era accaduto in altre parti dell’Italia centrale, l’operazione si risolse nel massacro della popolazione: dal 29 settembre al 5 ottobre, i nazisti batterono la zona, anche grazie alla collaborazione dei fascisti locali, uccidendo, saccheggiando e bruciando le abitazioni. La maggioranza delle vittime di questo massacro furono donne, anziani e bambini. Vennero uccisi anche cinque sacerdoti. Le comunità insediate a Monte Sole da secoli, famiglie di piccoli proprietari e mezzadri, sparse in casolari e borghi, vennero cancellate in pochi giorni. In alcune località la vita fu del tutto cancellata.

Durante quei terribili giorni, furono uccisi dai nazifascisti 955 cittadini dei comuni di Marzabotto, Monzuno e Grizzana, dei quali 817 civili e 138 partigiani della brigata “Stella Rossa”. Di queste vittime, 216 erano i bambini con meno di dodici anni, 316 le donne, 142 gli ultrasessantenni. L’operazione, di cui è responsabile il maggiore delle SS Walter Reder, scattò all’alba del 29 settembre 1944, quando reparti delle SS e della Wehrmacht, diedero inizio ad un violento rastrellamento accompagnato da eccidi, razzie e incendi. I tedeschi impiegarono almeno 1500 uomini armati di mitra, mortai, lanciafiamme, cannoni; i partigiani in quel momento erano soltanto poche centinaia.

 

 

3 pensieri riguardo “25 Aprile 2012, all’ombra delle querce di Montesole, liberi di non dimenticare

  1. Grazie, un bellissimo ricordo e una toccante testimonianza! Montesole è il luogo dell’anima soprattutto quando è visto con gli “occhi” di una scrittura magnifica.

  2. Pagina intensa e di grande commozione. Mi ricorda il riferimento ai “fantasmi” degli amici e colleghi del passato che Tolkien raccontava di aver visto a Birmingham in una sua visita alla città cambiata, tanti anni dopo il tempo degli studi liceali. Anche lì, in mezzo, c’era stata una guerra, e un’altra era in corso. E fenomenale l’apertura di Platone, che tocca nel vivo il calore ardente del ricordo/emozione incarnatosi nella materia e fattosi ossessione, eppur anche spunto per un ritorno alla fonte.

  3. Intenso e di una bellezza metafisica. Induce alla riflessione, prendendoti alla gola come una mano che ti strangola per scuotere la tua coscienza. Grazie all’autrice.

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