La Poesia Sonora, un saggio di Jonida Prifti

 

Di JONIDA PRIFTI *

Il mondo della Poesia Sonora è vasto e carico di nomi, opere, correnti, manifesti, terminologie, nozioni, sperimentazioni, contaminazioni tra varie discipline come quella visiva, liquida e concreta. Cercherò di soffermarmi sugli autori che più hanno colpito la mia attenzione con un occhio di riguardo per la poesia di Patrizia Vicinelli.

Si sa che originariamente la poesia veniva declamata con l’accompagnamento della lira, già allora era pensata per essere un atto performativo. Il futurismo, con Marinetti in cima,  toccherà i tasti della sperimentazione partendo dal testo stesso. Infatti, la parola diventerà partitura per essere eseguita rispettando il testo in tutta la sua struttura ; per essere declamata/urlata con l’intenzione di attirare anche l’ultimo della fila. Il futurismo aprirà le porte della comunicazione con lo spettatore attraverso la “declamazione dinamica[1]”, rendendolo partecipe dell’azione della parola in scena, a volte anche forzando i mezzi espressivi. Il futurismo quindi ha preparato il terreno per le innovazioni in ambito poetico e quindi avremo la poesia visiva, la poesia totale e la poesia sonora.

Per poesia sonora si intende un atto di scrittura performativa che vive prima di tutto nel componimento. I confini della poesia sonora sono incerti perché essa coinvolge diversi linguaggi che portano alla decomposizione del testo scritto e la ricomposizione dello stesso testo in chiave sonora. È stato il tedesco dadaista Hugo Ball a parlare ufficialmente di poesia sonora. Infatti, il suo poema Karawane composto da parole senza alcun senso apparente, come in una partitura, segna l’interpunzione vocale performativa di quello che sarà in scena ; una composizione che nutre l’assurdità che il senso non produce, riflettendo i principi cardine del dadaismo. Come lui ci saranno molti altri poeti sonori come Kurt Schwitters, Dick Higgins, Raoul Hausmann, Bob Cobbing, Franz Mon, Arthur Petronio, Brion Gysin, Bernard Heidieck etc. Sulle influenze di Kurt Schwitters, più tardi, negli anni ottanta,  il poeta sonoro olandese Jaap Blonk farà uso delle parole e dei frammenti fonetici introducendo fischi, soffi labiali e nasali, creando così una dimensione allucinatoria ed estraniante, confondendo e provocando il pubblico anche con l’ausilio poco ortodosso del video.

Negli anni Cinquanta la poesia sonora incontra le sperimentazioni fonetiche delle tecnologie magnetofoniche. Utilizzando le tecniche di registrazione su nastro, il poeta può finalmente individuare nuovi spazi espressivi. In questo periodo avviene una netta separazione tra la poesia fonetica –  la voce come pura potenza senza altro ausilio -, dalla poesia sonora/tecnologica, come conseguenza dei primi magnetofoni Sony, che permettevano la registrazione e la manipolazione della voce. Il registratore a nastro permette al poeta di liberarsi anche dal recitare e di sviluppare una multimedialità che prevede la performance ; il suono puro, lo sgretolarsi della parola, con piglio spontaneo, per cercare nuovi significati. Il primo a capire l’importanza dell’uso del registratore è senz’altro il francese Henri Chopin. Henri utilizza i primi magnetofoni a nastro commerciali per fissare registrazioni sperimentali dove la voce viene deformata con variatori di velocità, echi, riverberi, frizioni e sovrapposizioni. Arrivò a comporre persino cinquanta sovrapposizioni. La voce del poeta, così manipolata, è alla base di composizioni che egli chiamerà “audio-poèmes”. Chopin, si occupa anche di poesia concreta[2], di grafica e di arti visive.  I suoi “dactylopoèmes” sono accolti con molto interesse nell’ambito del “concretismo” internazionale. “Con le ricerche elettroniche – scrive Henri Chopin – la voce è diventata finalmente concreta”[3] .

Con il montaggio si diffondono le tecniche del collage e del décollage in analogia con quanto già avveniva nelle arti visive. Da qui derivano i cut up di Brion Gysin, nel 1959 (idea ripresa poi da William Burroughs[4]), una tecnica letteraria stilistica che consiste nel tagliare fisicamente il testo, lasciando intatte solo parole o frasi, mischiandone in seguito i vari frammenti e ricomponendo così un nuovo testo che, senza filo logico e senza seguire la corretta sintassi, mantiene pur sempre un senso logico anche se a volte incomprensibile. Questa tecnica era già stata utilizzata nel dadaismo da Tristan Tzara[5].

In Italia, negli anni Sessanta, il poeta Adriano Spatola sperimentò nel modo più completo la parola nella sua totalità, espressa pienamente nella stagione della rivista Malebolge (1964). A lui si deve  Baobab (Ed. Rumma, Salerno 1979), prima audiorivista di poesia sonora italiana. Con il saggio Verso la poesia totale, Spatola si impose all’attenzione della critica. Il saggio, costituisce ancora oggi uno dei più importanti testi teorici dell’area della sperimentazione poetica novecentesca. Vicino a Spatola troviamo il poeta ciociaro  Giovanni Fontana, autore di “romanzi sonori” dove la prosa è sostenuta da strutture ritmiche caratterizzate dall’uso di slash, come si trattasse di partiture musicali, in luogo dei correnti segni d’interpunzione. Tra questi si collocano “Tarocco Meccanico” (1990), “Chorus” (2000) e “Frammenti d’ombre e penombre” (1993-2003). Si colloca nello stesso periodo la poetessa fonetico/sonora/performativa Tomaso Binga, nome d’arte di Bianca Menna, che trasporta la poesia dalla pagina alla bocca con un fare magnetico, la rende visiva dalla bocca al corpo. Tutt’oggi Binga, come anche Fontana, semina la sua scrittura verbo/visiva in festival di poesia sonora nazionali e internazionali.

Contemporaneamente a loro, si muove nello stesso terreno ma producendo frutti con altri gusti, il poeta sonoro Arrigo Lora Totino[6], l’autore della collana di ben sette dischi Lp (1978), – sostenuto dall’etichetta indipendente milanese “Cramps” di Gianni Sassi, – intitolata “Futura, poesia sonora” ; primo esempio di sistemazione critico-storica della materia, a partire dalle avanguardie sino alle esperienze contemporanee in ambito internazionale. Sul libretto allegato al cd, Lora – Totino espone l’obiettivo di questo insieme di esempi sonori:

Si parla di poesia da ascoltare, poesia orale, sonora, fonica, parlata, acustica, di audipoema, testo sonoro, vocale, eccetera. […] Ciò che conta è che è l’autore a creare, a provvedere l’effetto sonoro o registrando di persona sul magnetofono con o senza partitura di supporto oppure dando al testo scritto una veste tipografica idonea o ancora ricorrendo a glossolalie … o a chissà quanti altri modi.

Inoltre, sottolinea la debolezza e la totale mancanza di incisività della poesia in versi tradizionali, considerandola ormai “stanca, banale, costruita più o meno sapientemente di luoghi comuni, senza novità tecniche di rilievo[7]”, tanto che arriverà a promuovere la “poesia liquida” tramite un apparecchio di sua invenzione, il liquimofono atto a produrre poesia nell’acqua anziché nell’aria. Egli includerà nella raccolta anche Patrizia Vicinelli, pubblicandone un’esecuzione sonora – frutto di un lavoro svolto fra il 1967 e il 1976 – dal titolo Settepoemi , della durata di sette minuti.  Si tratta di un singolare e interessante tentativo di trasformare le corde vocali in un vero e proprio strumento musicale, ovvero un mezzo di trasmissione puramente fonico; le parole sono portate avanti da un balbettio incerto e sincopato di contrazioni dell’ugola, quasi telecomandati da centri nervosi periferici. È un tentativo, questo, che ricorda per certi versi gli esperimenti vocali studiati ed eccellentemente portati avanti con grande passione da Demetrio Stratos. Quest’ultimo, straordinario interprete – che fu fra l’altro esecutore vocale delle composizioni di  John Cage, forse il musicista più influente della seconda metà del ventesimo secolo – era in grado di padroneggiare diplofonie, trifonie e quadrifonie (ossia due, tre e quattro suoni contemporaneamente emessi con la voce) : senz’altro il massimo vocalista di quegli anni, in grado di utilizzare e studiare la voce come strumento in sé.

Nella prospettiva della poesia sonora promossa da Lora-Totino, si riprendeva l’esperienza delle avanguardie storiche, soprattutto del futurismo; in questo, Stratos, al pari del John Cage di Empty Words[8], era portatore di un modo avanzato di intendere il suono, capace di influenzare profondamente la poesia a lui contemporanea. Quando nel 1948 eseguì con libera interpretazione il mitico Pour en finir avec le jugement de Dieu di Antonin Artaud, che sarebbe dovuto andare in onda sulla radio francese ma fu invece censurato dalle autorità, Stratos dichiarò una discendenza dal poeta e teorico della “crudeltà” (tramite tra il primo arco di esperienze sonore condotte dalle avanguardie storiche e la loro ripresa nel secondo dopoguerra) nell’implicita convinzione che non sia tanto la voce a tendersi alla sperimentazione, quanto soprattutto il corpo dietro la voce. La ricerca della voce come strumento musicale, porta Stratos a raggiungere risultati al limite delle capacità umane ; anch’egli donerà un contributo all’Antologia storico-critica “Futura, poesia sonora di Lora-Totino”, un brano intitolato “O tzitziras o mitziras”, in cui esplora la forza onomatopeica del canto delle cicale.

Nello stesso progetto, oltre ai brani di Stratos, Artaud e la Vicinelli, sono inclusi esecuzioni di altri poeti come  Adriano Spatola, Maurizio Nannucci, Henri Chopin  etc.  La capacità di Stratos di esplorare, sperimentare con la voce utilizzando gli organi articolatori come le labbra o la lingua a fini puramente sonori  –  al confine tra la poesia sonora e la musica concreta – lo porta a un sperimentazione che, per molti versi, è da considerare pienamente poetica.  Se vogliamo trovare una analogia tra Stratos e la Vicinelli, sua contemporanea,  è proprio la capacità di esplorare attraverso la voce, i limiti del linguaggio, i meccanismi che regolano le emissioni dei suoni, i collegamenti che esistono tra parola e pensiero. Le analogie tra i due artisti toccano innanzitutto la sfera concettuale. Pur non incrociandosi mai in senso stretto, le loro prassi intimamente convergono. A differenza di Stratos, Patrizia conduce un lavoro sulla parola in senso proprio. La vocazione performativa del suo lavoro si rivela fin dall’esordio: “à, a. A”, un’opera di ricerca sia fonica che grafica, che si avvera in una tesa declamazione sillabica. Alla raccolta a cura della rivistaMarcatré”  per la casa editrice Lerici (1967) è collegato di fatto un disco di poesia sonora. Il libro è dedicato ad Emilio Villa, da lei conosciuto attraverso Adriano Spatola, a Bologna. In questo libro, Patrizia realizza ardite prove di sperimentazione vocale, scardinando i meccanismi linguistici sulla scorta della poesia di Villa.

Adriano Spatola (uno dei primi che scrisse su “à, a. A”,) parlò di una poesia che “calpesta quelle convenzioni letterarie e culturali che la prudenza aveva consigliato per tenerlo a distanza”, e che procede in direzione di  “una neodisumanizzazione dell’arte,”  nella speranza di “trovare e mettere allo scoperto le radici di un male che è vecchio quanto l’avanguardia”.[9] A differenza della gran parte degli autori di area avanguardista, nella pratica di Patrizia Vicinelli è difficile ricavare una poetica compiuta attraverso sue dichiarazioni dirette. Per molti versi, però, è indispensabile rifarsi alla teoresi comune al gruppo radunatosi intorno alla rivista «Tam Tam»[10], e in particolare al concetto di “poesia totale” sviluppato da Adriano Spatola, (da lui espresso soprattutto nel volume del 1969, “Verso la poesia totale”[11]) giungendo alla concezione della poesia come fatto artistico “visivo”, “gestuale”, “fonetico” oltre che letterario. Spatola espone una visione globale della poesia intesa come azione, interazione con le altre arti, in particolare con le “arti plastiche” per farsi “oggetto” e “rifiutare la lettura”. In questo processo la lingua non è più un codice per comunicare, “ma una materia cui bisogna dar vita”. Una materia che si traduce in una sorta di provocazione verbale e si pronuncia nella totalità di una conflagrazione fisica della scrittura, che si sottrae alle regole grammaticali ritenute inadeguate alla comunicazione. La prospettiva di una poesia totale è quella di offrire al lettore “non un prodotto definitivo”, da accettare nella sua chiusa perfezione, “ma gli strumenti stessi della creazione poetica, nella loro strutturale rimaneggiabilità”. La funzione delle strutture sintattiche e grammaticali viene posta in discussione : esse vengono intese da Spatola come non più “adeguate al pensiero e alla comunicazione del nostro tempo”. Un atteggiamento questo strettamente collegato all’interesse “per il materiale fisico con il quale il testo viene costruito”.[12] Ma, una volta precisata la partecipazione alla poetica spatoliana da parte di Patrizia Vicinelli, forse più urgente sarà avvicinarsi al nodo di un fare poetico che visceralmente mette in contatto la parola scritta ed eseguita con l’esperienza vitale più lacerante.

Una testimonianza forte della sua esperienza si riscontra innanzitutto nelle sue opere: à, a. A (1967), Apotheosys of schizoid woman (1970), Non sempre ricordano (1985), Cenerentola (1978), Messmer (1988) e Fondamenti dell’essere (1987). La costruzione testuale dell’opera della Vicinelli è posta nella posizione di un incrociarsi di uno spazio temporale molteplice e multiforme e di una frantumazione verbale, in cui risalgono isolati frammenti memoriali, che si manifestano attraverso continue rotture sintagmatiche. Si tratta di un uso espressionistico della lingua, sul piano lessicale ma ancor più su quello della “spezzatura” sintattica, funziona in qualche modo come scossa per risvegliare l’attenzione del lettore ; e se questo è assai evidente, a livello vocale, nel momento della performance, tanto più è vero soprattutto al livello della costruzione testuale. Difatti, se Patrizia interpreta i suoi testi in modo dirompente, scandito, persino violento, è perché è il testo stesso a deterrere caratteri “esplosivi”; una forma di scrittura che non è contenibile in alcun modo dalle norme stilistico-retoriche, ma esplode nell’impulso del dire, nell’urgenza di stravolgere i piani temporali o spaziali della lingua, senza potersi uniformare ad alcuna “soluzione di continuità” :

…devo trovare una soluzione di continuità

pensa, del resto nessuno aveva voglia di

fuggire, “non resta altro tempo”.

Aver preso una dose eccessiva non servì,

cadaveri come polvere nell’aria infetta

seppie ovunque traslucono colano

sogni senza luce e senza  riguardo

(tramonti intuiti ma erano le sue albe)

non servì arrampicarsi in mutande

sul materiale scosceso di un intonaco

di un muro di un giardino buio

di pietre e piante verdi scure minacciose

[…] I’m a gambler – he said -, ed ho perduto.

… the highway’s

for gamblers

better

use your senses…[13]

In questa necessità di irrompere nella coscienza del lettore e conflagrarvi, la parola della Vicinelli sembra accostarsi alle urgenze espressive della “crudeltà” teorizzata da Antonin Artaud, e alla sacralità del suo spazio non-teologico. La sua  poesia  si pronuncia quasi sempre dall’interno di spazi sacri, di campi visivi affollati di miti: dalle simbologie protocristiane a quelle bretoni (nelle immagini del Graal, del cavaliere e del drago), attraverso le figure mitologiche appartenenti a una mitologia pagana soprattutto ctonia (Saturno, Proserpina, Giano, Iside, Pandora e Orfeo con la sua fede rovente).[14] L’immagine mitologica assume perlopiù il ruolo del testimone, che si fa carico di una parola marcata da scorticamenti ; “esteriorizzazione di una interiore affabulazione che si autocensura al momento di prorompere”[15].

In questo processo di frantumazione verbale, la significazione si forma e de-forma attraverso continue rotture sintagmatiche: una struttura testuale in cui si dispongono una serie di frammenti isolati, come se fossero dei fotogrammi che si avvicendano per martellanti allitterazioni. A tale riguardo, possiamo assumere come esempio un passaggio dalla sezione Il tempo di Saturno dei Fondamenti dell’essere, in cui l’autrice produce una dimensione a limiti del rituale, che ha come fulcro l’uso della voce, tramite la sillabazione o nella scomposizione del testo in fonemi. I versi ospitano una sorta di spartito fonetico in grassetto, ricavato dai suoni che Patrizia intendeva potenziare al momento dell’interpretazione vocale e gestuale. Sulla destra dei versi viene trascritta la parte fonetica, scomponendo le sillabe in unità di suono :

si inginocchia, al sogno del suo nome […] /dalla fonte, se li poteva vedere / i convitati nella loro allegria e scintillano,/le coppe, un’alba come di gravida lunga.[16]

Sul piano retorico prevale invece un procedimento di carattere allegorizzante, nell’uso di figurazioni mitiche e astratte che si riportano immediatamente alla concretezza e fisicità quasi “scorticata” dei corpi ; e soprattutto, alla condizione-limite del corpo stesso dell’autrice e performer, il quale nell’eseguire i propri testi li incarna e ne compie scenicamente le allegorie, allargandosi “a fiotti” in passaggi di luce e di ombra. L’intera opera della Vicinelli sembra attenersi a questa dialettica di luce e ombra; nella struttura del verso spezzato, continuamente attraversato – e perforato quasi – da contrasti grafici e ritmici, dall’alternarsi delle note alte e di un incalzante, saturo cantinelare, dove il senso del discorso si eleva seguendo le sonorità e le cadenze della voce.

Come abbiamo visto, il contesto storico-culturale in cui Patrizia Vicinelli conduce la sua ricerca poetica è quello posto tra l’inizio degli anni sessanta e la fine degli anni ottanta: è il periodo in cui, nella cultura del secondo novecento, la poesia più a fondo si contamina di altri linguaggi artistici, come la pittura o l’happening, e travalica nella pura sperimentazione vocale. Si sperimentano nuove tecniche e possibilità di espressione, in una ricchezza di stimoli derivante dallo sperimentalismo congenito a una stagione ricca di sincretismi : una stagione dominata e guidata dai bagliori delle ultime “avanguardie”, che raccolgono e fissano l’eredità del secolo. In quel giro di anni si va a formare quella che Luciano Anceschi definiva una nuovaistituzione della poesia” :[17] innovazioni non solo linguistiche e non solo formali, ma ancherelazionali”, portate nel mondo letterario dall’esperienza della neoavanguardia.

Con le nuove tecnologie,  negli anni ottanta, prende forma  il Cyberpunk, una corrente letteraria e artistica nata nell’ambito della fantascienza. Uno dei maggiori temi è il rapporto tra l’essere umano e la tecnologia che si esprime con la trasformazione del corpo attraverso innesti meccanici, tecnologie che diventano parte integrante aumentando le capacità intellettive, consentendo azioni altrimenti impossibili. Queste tematiche sono esposte principalmente nell’antologia di racconti di fantascienza “Mirrorshades” curata da Bruce Sterling nel 1986.  Al Cyberpunk si ispireranno molti poeti sonori come  il giapponese Kenji Siratori che crea un linguaggio alternativo attraverso l’inseminazione della realtà informatica alla realtà naturale verso una frontiera elettronica e musicale. In questo clima nasce la poesia elettronica che integra testo poetico e arte dei nuovi media (videoarte, digital art, net.art, installazioni). Si possono distinguere in essa due grandi aree, spesso intrecciate nella ricerca: la videopoesia (video poetry), definitasi come genere negli anni ottanta, e la computer poetry, che integra l’uso di tecnologie digitali e si afferma con il diffondersi di queste, tra la fine degli anni ottanta e gli anni novanta. Il poeta Nanni Balestrini (attivo nel Gruppo 63) nel 1961 con l’aiuto di un calcolatore elettronico (il prototipo del computer), concepì il progetto di un romanzo da riprodurre in un numero illimitato di esemplari ognuno diverso dall’altro, ricavati da diverse combinazioni degli elementi di un medesimo testo base. Ma le tecniche di stampa dell’epoca non ne consentirono la realizzazione. Così nel 1966 l’editore Feltrinelli si limitò a pubblicare il testo base con il titolo Tristano. Solo nel 2007, con lo sviluppo della stampa digitale, il romanzo multiplo secondo il progetto iniziale, assumendo molteplici varianti, viene stampato in copie uniche una diversa dall’altra dalla casa editrice Derive Approdi.

Con un salto sonoro cacofonico ci spostiamo in Belgio, in particolar modo ad Anversa, per parlare dell’artista/poeta sonoro Ludo Mich, attivo nel fluxus belga degli anni settanta. Ludo ha sperimentato vari linguaggi espressivi e tutt’ora esplora la poesia in tutte le sue forme, soprattuto in  quella sonora. Riesce molto bene a incorporare la parola con la voce, il corpo e l’immagine. Ha prodotto vari film in 8mm, 16mm, 35mm, video e in digitale, come Saturnus (1971), Lysistrata (1975) e molti altri.  L’ultimo lavoro sonoro dell’artista Odysseus Insanity (2013), è stato pubblicato in cassetta dall’etichetta londinese di poesia sonora My Dance The Skull, curata dall’italiano Marco Cazzella. Vediamo pubblicare con la stessa etichetta, nel 2015, la raccolta sonora “VS 1979/1984” del poeta Enzo Minarelli, autore del manifesto Polipoesia che non è altro che “una commistione tra linguaggi appartenenti a diversi media, dove la poesia sonora ha il ruolo guida ed è l’elemento che dà omogeneità a tutte le diverse componenti mediali, coinvolte”[18]. Ho avuto modo di conoscere di persona sia Ludo Mich che Enzo Minarelli, in occasione della quarta edizione (corrispondente alla lettera D dell’alfabeto), del mini festival di poesia sonora “Poesia Carnosa”[19], nato dal 2010 da me e il musicista/performer Stefano Di Trapani. Di certo, Mich e Minarelli sono diversi sia nel contenuto che nell’esecuzione. Ludo ha un piglio più punk rispetto alla cadenza sonora “classicista” della parola poetica di Minarelli. Mich scombina i suoni, tenta di unirli alla ricerca di un corpo perduto in un estratto onirico, dove succedono varie storie. Il tutto viene detto in una lingua sconosciuta ma di grande spessore sonoro. Non per niente, nei suoi film surreali, Ludo tenta di portare la lingua in una dimensione altra, dove il significato risiede nell’onirismo delle immagini, i personaggi sono corpi che cercano di tornare allo stato di origine, ovvero all’inizio di tutto. Minarelli invece, come un chirurgo, sventra i suoni per ridefinire in essi altri timbri che possano riportare indietro gli echi, e di nuovo rimandarli avanti nel tempo, come un videoregistratore della parola.

Come loro, al giorno d’oggi, ci sono molte artiste e artisti sonori che si cimentano alla scoperta di altri suoni, rinnovando la parola, scomponendola attraverso la commistione sonora vera e propria come per esempio il duo  Esse Zeta Atona, composto da Laura Cingolani, conosciuta con il suo “Graphemium” (2009). Quest’ultimo è «uno strumento di poesia sonora, che coniuga la parola poetica all’elaborazione musicale elettronica. Ad ogni grafema digitabile nella tastiera del pc è associata una nota: il testo viene letteralmente suonato e ogni esecuzione può essere effettuata con un diverso suono, timbro e strumento[20] ». L’altro componente del duo è il poeta visivo/sonoro Fabio Lapiana,  autore del libro verbo/visivo  “Gramma” (Else Edizioni 2014). Insieme generano esperimenti principalmente vocali, quasi mixando le voci l’una all’altra per esplorare tutte le modulazioni possibili del senso e del non senso.

Oggi come oggi, in vari ambienti letterari, la poesia ancora è incastrata in quel “dire tradizionale” di cui parlava Lora – Totino, che costringe l’ispirazione a chiudere il “dire” in una forma accademica, per entrare in quelle nicchie dove si devono coltivare determinate amicizie per essere recensiti su riviste riconosciute. I festival di poesia invece sono sempre meno, come  Romapoesia e  Poetronics  che hanno cessato di esistere e non sono gli unici. La poesia  non viene più sostenuta come prima, i fondi vengono a mancare a causa del cambiamento politico repentino a sfavore della cultura. Ma ci sono poi quelle piccole realtà che nascono in ambienti undergound, dove la poesia viene contaminata sempre dal suono, ma da un suono diverso, perché appartiene ad un altra riva temporale, perché le cose cambiano e le espressioni vengono modificate da altre discipline. Non a caso negli ultimi anni l’ascesa dell’ hip hop, sperimentale e non, e delle sottoculture musicali (come l’hardcore, il noise, l’electro etc.) per cui l’uso non ortodosso dell’apparato fonetico/vocale è importantissimo, dimostrano che il linguaggio e la voce hanno trovato nuovi terreni fertili da coltivare.

______________________

[1] Francesco CANGIULLO, «Piedigrotta: parole in libertà» ; contenente il «Manifesto sulla declamazione dinamica sinottica»  di F. T. Marinetti, Milano, Edizioni futuriste di Poesia, 1916.

[2] La sperimentazione concreta è così definita perché sposta l’attenzione dal significato del testo e dal suo contenuto ai suoi elementi costitutivi, che sono parole, sillabe, fonemi, lettere alfabetiche, di cui è esaltata la dimensione tipografica, variamente valorizzata a livello grafico mediante la disposizione sul foglio e anche su materiali molto diversi dalla carta. Tali elementi basilari della scrittura costituiscono, appunto, la materia prima, della scrittura stessa. L’intento è quello di penetrare nella materia prima del linguaggio, scomponendolo e ricomponendolo a livello visivo e sonoro.

[3] Henri CHOPIN,   «La voce» , in «La Taverna di Auerbach», n° 9/10.

[4] William BURROUGS,  «Electronic Revolution», New York, 1971 (tr. it. La rivoluzione elettronica, in “È arrivato Ah Pook”, Milano, Sugarco Edizioni, 1980); William Burroughs, «Il metodo cut-up» di Brion Gysin, in «The beat book», a cura di Anne Waldman, Milano, Il Saggiatore, 1996.

[5] Davis SCHNEIDERMAN, Philip WALSCH, «Retaking the universe. William S. Burroughs in the age of globalization»,  Pluto Press, 2004, p.215.

[6] L’etichetta milanese “Holidays Records” pubblicherà il nuovo lavoro sonoro di Arrigo Lora Totino, in  LP, dal titolo “Trio Prosodico N.1 LP HOL-093”. L’LP uscirà a fine maggio 2016 ( http://www.holidaysrecords.it/ ). L’etichetta ha pubblicato vari nomi di jazz sperimentale e il catalogo ospita  nomi di performer vocali di poesia sonora a tutti gli effetti come Ghédalia Tazartès e Fantamatres, in un’ideale passaggio di testimone tra la vecchia e la nuova guardia. I ragazzi della Holidays si occupano anche della stampa del catalogo della fiorentina Alga Marghen, una delle etichette più importanti riguardo la pubblicazione di materiali d’archivio e lavori inediti di importanti poeti sonori nazionali e internazionali. https://www.discogs.com/it/label/9805-Alga-Marghen

[7] Arrigo LORA – TOTINO, «Futura, Poesia Sonora, Antologia storico critica della poesia sonora», introduzione di Renato Barilli, Cramps, Milano, 1978.

[8] «Empty words», è uno studio che John Cage ha fatto traendo parole e fonemi dal diario di H.D. Thoreau, eseguiti al teatro lirico di Milano nel 1977. Si tratta di uno spettacolo dove Cage per due ore e mezza articola un canto in cui le parole e le sillabe vengono disaggregate e avulse da ogni reticolato codificato. Oggi questo spettacolo è disponibile in due cd,  i quali testimoniano tutto il montare della reazione del pubblico, dall’insofferente disagio iniziale fatto di invettive, urla e fischi alla violenza finale, invasione di palcoscenico, scoppio di petardi e aggressione a Cage comprese.

[9] Adriano SPATOLA, su « à, a. A », ( in una recensione dedicata a opere di Vittorio Bodini, Achille Bonito Oliva, Giuliano Gramigna, Patrizia Vicinelli ), in « Il Verri », 27, giugno 1968, p. 105.

[10] « Tam Tam » è una rivista letteraria fondato da Adriano Spatola e Giulia Niccolai (allora sua compagna).  Tale rivista diventò un punto di riferimento internazionale per giovani artisti e scrittori negli anni settanta.

[11]  Adriano SPATOLA, « Verso la poesia totale », Rumma, Salerno, 1969; poi Paravia, Torino, 1978.

[12]   Ivi, pp. 34-40.

[13]  Patrizia VICINELLI, « Non sempre ricordano », a cura di Cecilia Bello Minciacchi, con una prefazione di Niva Lorenzini, Le Lettere, Firenze 2009, p. 99.

[14]  In   «  Fondamenti dell’essere », op. cit., p. 208

[15]  Claudio PARMIGGIANI su Patrizia Vicinelli, in « Alfabeto in sogno. Dal carme figurato alla poesia concreta », Milano, Mazzotta, 2002, p. 418.

[16]  «  I Fondamenti dell’essere. Il tempo di Saturno  », op. cit., p. 215.

[17]  Luciano ANCESCHI « Problematica delle istituzioni poetiche, in Id., Le istituzioni della poesia », Milano, Bompiani [1968], 1983, pp. 7 – 100.

[18]  Enzo MINARELLI, « Vocalità & Poesia. Studio per una storia della poesia sonora nel Novecento », Reggio Emilia, Elytra Edizioni, 1995, p. 76.

[19]  « Poesia Carnosa » è un mini festival di poesia sonora nato nel 2010 da Stefano Di Trapani e la sottoscritta e si tiene ogni anno a Roma. Ogni edizione viene contata con le lettere piuttosto che con i numeri. In collaborazione con il creatore e artista dell’etichetta londinese “My Dance The Skull” Marco Cazzella, il festival ha aperto le porte a poeti  esteri come: Ludo Mich (Anversa),  Dylan Nyoukis (Londra), Tom White (Londra), la vocalist Israeliana Sharon Gal, Antonella Bukovaz (Slovenia) etc. Non di meno importanza gli italiani: Enzo Minarelli, Fantamatres,  Tomaso Binga (Roma), Esse Zeta Atona (Roma), Laura Cingolani (Roma),Tommaso Ottonieri (Roma), Gilda Policatro (Roma), Maria Grazia Calandrone (Roma), Rosaria Lo Russo, Luca Tedesco (Roma), Lidia Riviello, Marco Simonelli e molti altri.

[20]  Laura Cingolani, Sonata n.2 – Graphemium, https:/youtu.be/QDX770HiAX8

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*  Contributo critico per gli Atti del Convegno “Opera Contro – Giornate di Studio: L’opera di rottura sulla scena italiana contemporanea”, Università di Tolosa – Jean Jaurès.

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