Jacques Lacan e Ferdinand De Saussure: la psicoanalisi del dopo Freud e lo strutturalismo linguistico

Freud e Lacan
Freud e Lacan

Di ALESSANDRO SICILIANO

Nella vita psichica del singolo l’altro è regolarmente presente come modello, come oggetto, come soccorritore, come nemico, e pertanto, in quest’accezione più ampia ma indiscutibilmente legittima, la psicologia individuale è al tempo stesso, fin dall’inizio, psicologia sociale.

Sigmund Freud, 1921

Nella psicoanalisi del dopo Freud, durante tutto il secolo scorso, si sono formate numerose diramazioni teoriche che possono esser fatte risalire a due modelli epistemologici alternativi: il modello evolutivista ed il modello strutturalista. Sono modelli che vengono entrambi ricavati dall’opera di Freud, la cui lettura può essere interpretata sia in un senso sia nell’altro [1]. I teorici che fanno riferimento al primo modello propendono per “una psicoanalisi fondata su un concetto finalistico-maturativo del soggetto che implica una concezione fasica, a stadi, evolutivistica del divenire soggettivo. […] L’idea di fondo che anima questo modello teorico è l’idea dello sviluppo come svolgimento progressivo di una potenzialità innata e finalisticamente orientata” [2]. La nascita psicologica del bambino, l’origine dello psichismo, l’acquisizione del linguaggio, del pensiero, del simbolo, sono i problemi affrontati dalle scuole psicoanalitiche evolutiviste nel dopo Freud. A partire dall’opera di Anna Freud, con l’importanza accordata all’osservazione diretta del bambino, si apre una biforcazione che porta a due scuole di pensiero diverse: 1) la Psicologia dell’Io e, in seguito, la Psicologia del Sé; 2) l’opera di Melanie Klein.

In estrema sintesi, la prima pone l’accento sulle relazioni ambientali (in particolare quella madre-bambino), dove gli eventi della relazione determineranno e plasmeranno il programma originario-biologico del bambino, che punta alla relazione oggettuale matura. Per la Klein, invece, lo psichismo coincide integralmente con il mondo interiore, con l’intrapsichico; alla nascita, il bambino non vivrebbe in uno stato di simbiosi con la madre ma sarebbe in relazione con un oggetto parziale – il seno – per poi realizzare con lo sviluppo l’oggetto totale. Al di là di questa differenziazione, entrambe le scuole condividono l’idea che ci sia un’origine, un pre-edipico, un pre-simbolico, insomma un “programma biopsichico che punta a svilupparsi secondo determinate leggi evolutive” [3]. Il modello evolutivista è stato indubbiamente il più quotato nel campo della psicoanalisi.

Dall’altro lato, il modello strutturalista cancella il luogo dell’origine, della nascita psicologica dell’essere umano e pone come unica origine la struttura, intesa come ciò che preesiste e che anticipa la nascita del bambino: il linguaggio, la cultura, il registro del Simbolico sono le strutture in cui l’essere umano è gettato e da cui viene inevitabilmente segnato. All’origine non ci sarebbe nessun soggetto ma solo la struttura, il discorso umano, il linguaggio. La natura dell’uomo sarebbe inevitabilmente contaminata da ciò che intendiamo per cultura, ossia tutte le formazioni sociali e comunitarie, i simboli. Alla nascita, il soggetto è preso nella struttura linguistica e determinato dalle leggi simboliche, dalla cultura, “fin nel più intimo dell’organismo umano” [4]. “Così il soggetto, se può apparire servo del linguaggio, lo è ancor di più di un discorso nel movimento universale del quale il suo posto è già iscritto alla sua nascita, non foss’altro che nella forma del nome proprio” [5]. L’azione che la struttura esercita sull’essere umano è quella di un filtro, una rete di simboli che avvolge l’individuo stesso. Sono le leggi dell’Altro (come si esprimerà poi Lacan), culturali, storiche, familiari, sociali, che precedono la venuta al mondo del soggetto e che la condizionano strutturalmente.

La necessità di una distinzione tra il modello evolutivista e quello strutturalista coincide con la comparsa dell’insegnamento di Jacques Lacan nella scena psicoanalitica. Il famoso ritorno a Freud, di cui Lacan si fa iniziatore e promotore, avviene sotto l’influenza culturale dello strutturalismo linguistico.

Il linguista Emile Benveniste afferma che la funzione del linguaggio è quella di “ri-produrre la realtà, […] la realtà viene prodotta di nuovo mediante il linguaggio. […] Il linguaggio riproduce il mondo ma sottomettendolo alla propria organizzazione. Esso è logos, discorso e ragione a un tempo” [6]. Che la realtà sia ri-prodotta nel linguaggio equivale a dire che la struttura linguistica è il solo dispositivo con cui gli uomini possono interagire, avvicinarsi alla realtà. Il linguaggio ordina la realtà, costituendo un orizzonte nel quale la rappresentazione della realtà è la stessa per tutti gli uomini.

È questa una delle basi della linguistica strutturalista di Ferdinand De Saussure, considerata da Jacques Lacan la scienza pilota della rivoluzione scientifica che sembrava delinearsi a partire dall’interesse scientifico per la struttura linguistica e per il significante. Viene fatta risalire alla sua opera postuma Corso di linguistica generale [7] la nascita della linguistica moderna e dello strutturalismo linguistico. De Saussure ha inteso la lingua come un sistema autonomo e unitario di segni e si è occupato dei valori e delle funzioni determinate dalle relazioni reciproche dei singoli elementi linguistici, considerati come parti di un ordinamento strutturale in continua interazione. In questo senso la sua linguistica è definita strutturale. La determinazione del valore o dell’identità del segno, sia fonico sia concettuale, parte dal presupposto che esista una totalità, una universalità del sistema linguistico identificabile nella struttura linguistica. Questo ci rimanda ad uno dei concetti basilari dell’opera di De Saussure, la distinzione tra Langue e Parole.

La lingua è il sistema che raccoglie gli elementi linguistici, il codice di regole e di strutture grammaticali che ogni individuo assimila dalla comunità storica in cui vive, senza poterle alterare. “È la parte sociale del linguaggio, esterna all’individuo, che da solo non può né crearla né modificarla; essa esiste solo in virtù d’una sorta di contratto stretto tra i membri di una comunità” [8]. In questo senso, il vocabolario, l’alfabeto, un vocabolario di sinonimi e contrari, sono tutti linguaggi perché hanno a che fare con delle universalità; sono degli insiemi di segni, “sono tutti sistemi che pretendono di esaurire l’universalità, la totalità degli elementi che compongono un sistema” [9].

La parola, invece, è il prendere la parola, l’atto del parlare, il modo in cui il soggetto parlante “utilizza il codice della lingua in vista dell’espressione del proprio pensiero personale” [10]. Rispetto al linguaggio, che è universale, la parola rientra nell’ordine del particolare. Carmelo Licitra Rosa dice che “la parola si configura come quell’operazione attraverso la quale andate a mettere le mani dentro un sacco che raccoglie tutti gli strumenti espressivi e ricavate quello che vi interessa, cioè qualcosa di particolare” [11].

Tutto ciò è evidenziato nel titolo di uno degli scritti cardine di Lacan degli anni ’50, Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi [12], giudicato unanimemente il testo che inaugura l’insegnamento lacaniano, il suo manifesto ufficiale. Qui Lacan fissa le basi del suo insegnamento, affidando alla parola lo statuto di funzione (un meccanismo messo in funzione da un soggetto) ed al linguaggio lo statuto di campo (un insieme di regole che non ha bisogno di alcun soggetto per esistere, che esiste indipendentemente dalla messa in funzione delle regole stesse; in definitiva, una struttura).

Un altro punto alla base dell’opera di De Saussure è la distinzione tra significante e significato, concetto portante di tutto lo strutturalismo linguistico: “Il segno linguistico unisce non una cosa e un nome, ma un concetto e un’immagine acustica. Quest’ultima non è il suono materiale, cosa puramente fisica, ma la traccia psichica di questo suono [… ] Il carattere psichico delle nostre immagini acustiche appare bene quando noi osserviamo il nostro linguaggio. Senza muovere le labbra né la lingua possiamo parlare tra noi o recitarci mentalmente un pezzo di poesia” [13].

Il significante equivale al piano dell’espressione, dell’enunciato, mentre il significato rimanda al piano del contenuto. Il significante è una forma che rimanda ad un contenuto, un significato. La definizione di De Saussure – immagine acustica – è essenziale per intendere la natura del significante.

Ora, la rivisitazione lacaniana della scissione del segno linguistico in significante e significato è rappresentata in questo algoritmo  [14]

algoritmo

dove S maiuscolo sta per significante e s minuscolo sta per significato.

Lacan crea un algoritmo per significare il primato del significante sul significato. Perché si parla di algoritmo? “Algoritmo” è un termine del campo linguistico matematico che sta ad indicare un procedimento che risolve un dato problema in un numero finito di passi, eseguendo una serie di ordini e condizioni impostate a priori (dagli studiosi di matematica, in questo caso) e che noi utilizziamo meccanicamente, automaticamente, senza conoscere la logica alla base della sequenza di operazioni (a meno che non si sia matematici). In questo senso, l’algoritmo lacaniano “significante su significato” – S/s – è qualcosa che “deve funzionare meccanicamente, e noi dobbiamo essere in grado di applicare automaticamente, quasi senza pensarci, tutte le volte che ci troviamo dinanzi ad una produzione verbale, ad un fenomeno di parola”[15]. Questo algoritmo è il condensato della lettura lacaniana degli studi di De Saussure.

Secondo l’algoritmo S/s è possibile, davanti ad un fenomeno di parola, separare il significante dal significato, l’immagine acustica dal concetto che veicola. È tutta qui la portata rivoluzionaria dell’intuizione di De Saussure. Prima di quest’opera, l’idea era che significante e significato fossero collegati tra loro in modo naturale, a formare il cosiddetto segno linguistico, una corrispondenza biunivoca tra significante e significato.[16] Ad esempio, il concetto di albero e la materia, la realtà indicata dal concetto, erano praticamente inseparabili. De Saussure, invece, riconosce che il segno linguistico è come una medaglia composta dalle due facce del significante e del significato, e si spinge più in là, affermando che non esiste una legge naturale che li lega. Il legame che unisce il significante e il significato è frutto di una convenzione sociale, per cui “il significante è immotivato, vale a dire arbitrario in rapporto al significato, con il quale non ha nella realtà alcun aggancio naturale”.[17] Questa proprietà è definita da De Saussure arbitrarietà del segno linguistico. Il significante rappresenta uno dei possibili modi in cui la massa amorfa del suono può essere correlata a quella del pensiero: “Il ruolo caratteristico della lingua di fronte al pensiero non è creare un mezzo fisico materiale per l’espressione delle idee, ma servire da intermediario tra pensiero e suono, in condizioni tali che la loro unione sbocchi necessariamente in delimitazioni reciproche di unità. Il pensiero, caotico per sua natura, è forzato a precisarsi decomponendosi. Non vi è dunque né materializzazione dei pensieri, né spiritualizzazione dei suoni, ma si tratta del fatto, in qualche misura misterioso, per cui il “pensiero-suono” implica divisioni e per cui la lingua elabora le sue unità costituendosi tra due masse amorfe” [18].

Se  il segno linguistico è arbitrario, se significante e significato sono in un rapporto immotivato, prodotto della vita sociale, la lingua non può essere intesa come una nomenclatura (corrispondenza naturale fra parole e cose). “Il legame che unisce il significante al significato è arbitrario, o ancora, poiché intendiamo con segno il totale risultante dall’associazione di un significante a un significato, possiamo dire più semplicemente: il segno linguistico è arbitrario”[19].

L’opera di De Saussure non si esaurisce tutta qui, questi sono soltanto i punti cardine del suo discorso. È importante notare un altro punto dell’opera, questa volta di carattere epistemologico. Nelle prime pagine, dopo aver definito la lingua come un’istituzione sociale, De Saussure si interroga sullo statuto scientifico di questa: “La lingua è un sistema di segni esprimenti delle idee e, pertanto, è confrontabile con la scrittura, l’alfabeto dei sordomuti, i riti simbolici, le forme di cortesia, i segnali militari, ecc. Essa è semplicemente il più importante di tali sistemi. Si può dunque concepire una scienza che studia la vita dei segni nel quadro della vita sociale; essa potrebbe formare una parte della psicologia sociale e, di conseguenza, della psicologia generale; noi la chiameremo semiologia. Essa potrebbe dirci in che cosa consistono i segni, quali leggi li regolano. Poiché essa non esiste ancora non possiamo dire cosa sarà; essa ha tuttavia diritto ad esistere e il suo posto è determinato in partenza. La linguistica è solo una parte di questa scienza generale; le leggi scoperte dalla semiologia saranno applicabili alla linguistica e questa si troverà collegata ad un dominio ben definito dei fatti umani” [20].

Con De Saussure, per la prima volta, una disciplina che ha come oggetto un fenomeno squisitamente culturale come la lingua guarda verso uno status scientifico in senso proprio. In questa direzione si muoverà Lacan: “si ha qui ciò che renderà possibile uno studio esatto dei legami propri del significante, e dell’ampiezza della loro funzione nella genesi del significato” [21].

Lacan applicherà lo strutturalismo linguistico alla psicoanalisi, facendo comunicare le due scienze a partire dallo studio del significante. Porterà alle estreme conseguenze la separazione tra significante e significato rendendo la barra che li separa impermeabile e mostrerà che l’inconscio freudiano funziona con la parola e risponde a leggi che sono proprie della struttura del linguaggio. L’interesse scientifico del primo insegnamento di Lacan verte tutto sul significante: “si può dire che è nella catena del significante che il senso insiste, ma che nessuno degli elementi della catena consiste nella significazione di cui è capace in quello stesso momento. Si impone dunque la nozione di uno scivolamento incessante del significato sotto il significante” [22].

De Saussure ha il merito di aver messo in luce il rapporto arbitrario esistente tra  significante e significato. Lacan si è spinto oltre, nel campo della psicoanalisi, dove il significante, lungi dall’essere il solo piano della forma che rimanda ad un contenuto, deve essere oggetto di maggiori attenzioni da parte dell’analista rispetto al significato. Il significante, per sua natura, anticipa sempre il senso, e nel testo L’istanza della lettera dell’inconscio Lacan lo dimostra con alcuni esempi, tra cui uno in particolare, un ricordo d’infanzia di un amico: “Un treno arriva in stazione. Un bambino e una bambina, fratello e sorella, sono seduti in uno scompartimento l’uno di fronte all’altro dal lato in cui il finestrino che dà sull’esterno permette di vedere le costruzioni del marciapiede lungo il quale il treno si ferma: – Tò, – dice il fratello, – siamo a Donne! – Imbecille! – risponde la sorella, – non vedi che siamo a Uomini!” [23].

Qui si vede bene la discrepanza esistente tra significante e significato. L’incontro con i due significanti “Uomini” e “Donne” è solo il punto iniziale di un percorso che porterà, un giorno, ad un senso che potrebbe non essere (soltanto) quello canonico: “Uomini e Donne saranno da questo momento per quei bambini due patrie verso cui le loro anime si rivolgeranno con ali divergenti, e sulle quali sarà loro tanto più impossibile venire a patti in quanto, trattandosi in verità della stessa patria, nessuno dei due potrebbe cedere sulla precellenza dell’una senza attentare alla gloria dell’altra” [24].

Se Lacan, psicoanalista, può spingersi più in là rispetto a De Saussure, linguista, è sulla base della scoperta psicoanalitica dell’Inconscio e delle sue formazioni, in primis il sogno, che nella forma del racconto consiste in una catena di significanti apparentemente senza senso, ma che pure veicolano un senso che è da costruire. Gli elementi per una ulteriore sistematizzazione del linguaggio inconscio Lacan li recupera ancora una volta dalla linguistica, facendo riferimento allo studio di Roman Jakobson, linguista e semiologo russo, di cui parleremo nel prossimo articolo.


[1] Recalcati M., Cosenza D., Colombo L., Teorie dello sviluppo e logica della struttura: il bambino nella psicoanalisi, in Recalcati M., a cura di, Introduzione alla psicoanalisi contemporanea. I problemi del dopo Freud, Bruno Mondadori, Milano 2003, p. 7.

[2] Ivi, pp. 2-7.

[3] Ivi, p. 2.

[4] Lacan J., Il seminario su La lettera rubata (1955), Jacques Lacan. Scritti, a cura di Contri G. B., Einaudi, Torino 2002, vol. 1, p. 7

[5] Lacan J., L’istanza della lettera dell’inconscio o la ragione dopo Freud (1957), in Scritti, cit., vol. 1, p. 490.

[6] Benveniste E., Uno sguardo allo sviluppo della linguistica, in Benveniste E., Problemi di linguistica generale (1966), Il Saggiatore, Milano 2010, p. 32.

[7] De Saussure F., Corso di linguistica generale (1916), a cura di De Mauro T., Laterza, Roma-Bari 2009.

[8] Ivi, p. 24.

[9] Licitra Rosa C., Parola e linguaggio, in La Psicoanalisi, n. 26, Astrolabio, Roma 1999, p. 4.

[10] De Saussure F., Corso di linguistica generale, cit., p. 24.

[11] Licitra Rosa C., Parola e linguaggio, cit., p. 4.

[12] Lacan J., Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi (1953),  in Scritti, cit., vol. 1.

[13] De Saussure F., Corso di linguistica generale, cit., pp. 83-84.

[14] Lacan J., L’istanza della lettera dell’inconscio o la ragione dopo Freud, cit., p. 491.

[15] Licitra Rosa, Parola e linguaggio, cit., p. 6

[16] Ibidem.

[17] De Saussure F., Corso di linguistica generale, cit., p. 87.

[18] Ivi, p. 137.

[19] Ivi, p. 85.

[20] Ivi, pp. 25-26.

[21] Lacan J., L’istanza della lettera dell’inconscio o la ragione dopo Freud, cit., p. 492.

[22] Ivi,  p. 497.

[23] Ivi,  p. 495.

[24] Ibidem.

7 pensieri riguardo “Jacques Lacan e Ferdinand De Saussure: la psicoanalisi del dopo Freud e lo strutturalismo linguistico

  1. che il significante sia del tutto irrelato alla realtà non lo credo….e le onomatopee? e quei suoni che sorgono naturalmente nei bambini e gli fanno premere le labbra nella mmm di mamma?…

    1. Ci sono dei casi in cui è più logico pensare a un rapporto meno arbitrario tra significante e significato, in primis i fonosimbolismi. Ma anche in questi casi, la forma significante di un certo dato di realtà è pur sempre frutto di una convenzione sociale.

      1. Ma la grammatica è già lì da prima della nascita del parlante. Ecco la distinzione che riporto anche nell’articolo: il linguaggio (il codice, la sintassi) esiste come struttura al di là del soggetto, l’atto della parola è la soggettivazione del linguaggio.

    1. Si, nel senso del riconoscimento del dispositivo del significante come regno dell’umano.
      Io intendevo dire, con l’espressione ‘soggettivazione del linguaggio’, che il parlante dovrà, oltre che riconoscere il linguaggio (ciò a cui credo ti riferisca tu), usarlo per esprimere qualcosa di proprio, di soggettivo, tramite quello che Saussure e Lacan chiamano la parola. La parola è dal lato del soggetto, è attingere dal mare magnum del linguaggio ed impregnare un enunciato di soggettività. Lacan farà anche una distinzione tra parola piena (questa appunto, la parola che veicola una intima verità del soggetto) e parola vuota (il piano del bla bla).

      1. Si ci siamo intesi, per quanto poi la parole, ovvero la creatività individuale sia rara, come dimostra anche l’arte …diciamo che ci sono moltissimi bla bla molti artigiani e pochissimi artisti veri…uno per es era Ungaretti, che prima di lacan parlò di parola pregna di senso…

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