
Di GUIDO TURCO
Il Rifiuto
parte 1
Il mondo è il Mondo-Dell’Evidenza. Il mondo dell’evidenza è circondato dal Mondo-Che-Non-C’è.
Il Mondo-Che-Non-C’è accerchia il Mondo-Dell’Evidenza, si insinua, rendendo il Mondo-Dell’Evidenza mai uguale a sé stesso.
Il Mondo-Dell’Evidenza esiste ma, strictu sensu, non è.
parte 2
Quando nel III secolo il filosofo Plotino esortava “abbandona tutto” (afele panta) non poteva immaginare che secoli più tardi avrebbe trovato una discepolanza planetaria e massimalista, tanto quell’invito assoluto e paradossale è preso alla lettera dalla contemporaneità. L’uomo contemporaneo abbandona tutto, butta tutto, non fa in tempo ad avere qualcosa che già se ne sbarazza, officiante ortodosso del Rifiuto.
parte 3
Il Rifiuto (diffuso, dis-evidente, rimosso) intrama il paesaggio contemporaneo. I luoghi che ne cifrano la presenza ne segnano insieme la scomparsa, emblemi del kitsch che ci vede impegnati nel tentativo non riuscito di eliminare la merda dalla nostra vita, nell’estenuante battaglia quotidiana per nasconderla.
parte 4
Noi siamo ciò che buttiamo, eliminiamo ciò che rifiutiamo e poi rifiutiamo ciò che eliminiamo. Riportiamo tutto a zero, senza cominciare mai di nuovo. Esistere equivale a lasciare. Siamo per non essere mai gli stessi, simulacri della presenza aureolati da un’elementare appercezione di essere-per-la-morte: ironica iattura che ci qualifica come spazzatura.
parte 5
Prima ci sono i doni, gli oggetti desiderati e concupiti, i mezzi del sostentamento e del piacere; poi tutto finisce per non esserci, l’abbandono come cifra ontologica della praxis e sua ἔσχατος (éskatos): tutto ci annoia, perde interesse, grida al cielo che l’uomo non è solo ma con-vive con le proprie deiezioni.
parte 6
Si può dire la destra/la sinistra, l’altro/lo stesso, il normale/il folle, ma per il Rifiuto non esiste il termine opposto di opposizione binaria. Il Rifiuto e l’accettato, il Rifiuto e l’utilizzabile, il Rifiuto e il nuovo, non sono affatto opposizioni distintive. Il Rifiuto “vive solo”, ἄπειρον (apéiron) che rigetta da sé ogni contrarietà e opposizione, e quando lo nominiamo “resto” non è per dirlo emblema della scorta ma per battezzarlo “riserva di sé”, valore di scambio che si afferma a patto di una sua concordata dimenticanza.
parte 7
Resiste nel nostro tempo Tempo il simbolo più aderente del Rifiuto, il più immediato che la Storia abbia prodotto: l’immane tragedia mille volte trattata e mai risolvibile nella sua immane immanenza, l’inelaborabile Shoah. I campi di sterminio concentravano i rifiuti umani, incarnata allegoria del “resto umano” che trattavano. In quei magazzini uno dei “resti” più imponenti era quello delle valigie, un’autentica montagna di contenitori in pelle, in cuoio, in cartone: è necessario il bagaglio a mano per andare a scomparire, ci vogliono le scarpe per partire per l’ultimo viaggio, spazzolini, pannicelli, fazzoletti, biancheria di ricambio. Bisogna avere tanto per sbarazzarsi di tutto. Era questo il monito degli aguzzini affinché fosse più agevole ingannare la buonafede dei deportati sugli esiti del loro viaggio. Ciò nonostante nessuno si sarebbe separato da quel “bene” con cui ognuno contribuiva all’ultimo spettacolo: denaro, residui gioielli, occhiali, cappelli: primitiva e vera “dis-incarnazione” degli odierni trash people, le mille statue di Ha Schult realizzate con tonnellate di rifiuti urbani e industriali compattati che nel nostro mondo girano le piazze.
parte 8
Nelle discariche spiccano i colori. Il maculato biancore degli elettrodomestici e delle ceramiche dei cessi; carte e plastiche che rimandano tonalità di pastello; i lucori repentini dei materiali ferrosi. E sedie deformi, reti metalliche, bidoni e fustini perché sia possibile sostare lungo la strada, riposarsi a contemplare la fisionomia della dissoluzione, l’inizio di una nuova Preistoria.