La natura selvaggia di Beloslava Dimitrova

Beloslava Dimitrova, La natura selvaggia, Arcipelago Itaca 2017

Di FLAVIO COGO

La natura selvaggia di Beloslava Dimitrova, giovane poetessa e giornalista bulgara, è una raccolta poetica il cui contenuto, man mano si prosegue nella lettura, si rivela duro, originale, affascinante e terribile. Varie e contraddittorie sono le sensazioni che Dimitrova suscita nel suo lettore grazie alla sua serrata scrittura ritmica, dove l’io narrante spesso parla ora al lettore ora a un ipotetico testimone che l’affianca nelle situazioni narrate o sognate. L’alienazione, lo sgomento, la violenza, la speranza, la tensione, lo stupore, la sopraffazione, il dolore e la paura sono presenti in una realtà frammentata che si confonde trasmutandosi senza soluzione di continuità dal mondo umano a quello animale, e viceversa, nel segno del caos che prelude a un mondo nuovo, dove forse tornerà la felicità perduta della natura, natura che nella sua indifferente crudeltà non fa sconti né agli uomini né agli animali.

Nella sua prefazione Danilo Mandolini, traduttore dal bulgaro de La natura selvaggia assieme a Emilia Mirazchiyska (fondatrice/direttrice della casa editrice bulgara “Scalino”), definisce la raccolta come un’operazione originale che va ben oltre una banale e convenzionale antropomorfizzazione della natura, un esperimento il cui obiettivo principale è “cercare di unire, come di fondere (anche ri-fondere o rifondare) l’umanità con, soprattutto, il mondo animale, e viceversa”, arrivando a “indicare una via concreta per un nuovo inizio, per un nuovo «prodotto» di vita; proponendo come un rinnovato e più armonioso unicum di equilibrio tra le varie manifestazioni dell’esistere a noi oggi note” (p. 5).

L’oceano si spacca, la prima poesia della raccolta, si presenta al lettore come un vero e proprio manifesto programmatico della Dimitrova, come sottolinea Mandolini nella sua prefazione:

L’oceano si spacca / diviene rifugio dei sensi / ci raggeliamo / io le altre persone / uccelli e animali / aspettiamo / che il mondo ricominci / daccapo (p. 11)

Annuncio di una nuova Apocalisse in questa immagine potente di un “oceano che si spacca”, una visione catastrofica e violenta che diventa nel contempo “rifugio dei sensi”, del mondo, la prima attesa svelata della fine del mondo per la rinascita di una nuova natura, una ri-creazione.

Le poesie successive sono lo sviluppo in rivoli dal senso contrastante e convergente di questi versi. Colpisce a una prima lettura l’esplicita presenza di animali: formiche, cavalli, pesci, ricorrono in ben tre poesie, all’interno di un bestiario numeroso composto dalle creature più disparate. Oltre agli insetti di ogni sorta presenti in «Brulica di loro – prendono energia direttamente dalla luce solare» (p. 54), notiamo innanzi tutto formiche e insetti, cavalli, uccelli e pesci, scimmie, cetacei e rettili vari e a seguire: leoni, un orso, coyote, cani, plankton, gatti, anemoni, aragoste, un polpo, mostri marini e infine pure i batteri. Inutilmente il lettore troverà in esse ritratti realistici di animali: al contrario, ogni regola dell’etologia viene sovvertita in vista di un nuovo inizio cosmico: esempio eloquente è in due, dove l’arrivo di due giovani leoni stravolge la vita di un branco di leoni; l’uccisione del capo branco fa impazzire le leonesse che sterminano la propria prole per far luogo alla nuova generazione che partoriranno in seguito all’accoppiamento furioso con i nuovi maschi (p. 23). Sovente la violenza espressa dalla Dimitrova arriva a stravolgere la stessa natura degli animali: i pacifici delfini Tursioni (qui Tursiopi) si trasformano in “esseri selvaggi / che ucciderebbero non solo per fame” (p. 51). Spesso l’uomo si tramuta o si confonde nelle specie animali o vegetali, un destino ipotizzato da Primo Levi nel racconto Disfilassi[1]. In Gatto (p. 31-32) un vecchio gatto nero si tramuta da giocoso felino in animale crudele e sanguinario che infierisce sulla donna distesa a letto accanto al suo uomo, vittima impotente della ferocia dell’animale che si fonde violentemente nel suo corpo.

La personificazione umana con le azioni, i sentimenti, le azioni animale è caratteristica de La natura selvaggia e incalza senza sosta il lettore, con un’acutezza visionaria che nella letteratura italiana trova pochi precedenti (uno su tutti: Bestie di Federigo Tozzi). L’io narrante, quasi sempre femminile, è come un’orca ammaestrata (p. 25) dal “torso enorme” che fa acrobazie nelle piscine, simbolo del “perdere della natura”, mentre in altre poesie la protagonista/narratrice viene graffiata, aggredita, morsa, assaggiata, punta, uccisa.

Eros, passione, ferocia e rassegnazione pervadono la poesia In due (p. 20-21) dove la protagonista cavalca assieme al suo compagno montano due cavalli bianchi attraversando un paesaggio di “boschi mare montagne” destinato a diventare un’eredità di rovine la cui divisione non risulterà “così difficile” in un’allegoria sia del rapporto uomo/donna sia della storia umana:

così tanti spazi / abbiamo popolato / così tanta aria / abbiamo respirato / che ormai non ricordiamo più / ci abituiamo e mentiamo perciò / viviamo assieme / lui mi accarezza la schiena / spera che mai ci lasceremo / perché allora dovrebbe farlo / lui (p. 20)

accorgendosi di aver crudelmente infierito con gli speroni sul cavallo durante la folle corsa.

L’amore ne La natura selvaggia assume varie inclinazioni: ferocia, attrazione fisica, sentimento, esperimento, nostalgia, violenza, fatalità sia riguardo gli animali che l’umanità: ogni aspetto contraddittorio dell’amore e dell’eros è sintetizzato nel titolo di una poesia, peraltro di per sé emblematica: “Noi abbiamo due cuori, l’uno buono, l’altro maligno” (p. 50).

Ogni poesia de La natura selvaggia esprime l’immensa casistica visionaria di una natura allo sbando, dove violente e assurde metamorfosi si accompagnano alla perdita di senso e allo stravolgimento dello scorrere usuale della vita di ogni specie vivente, travolta dal caos. Il trittico dedicato alla Natura (Natura, Natura#2, Natura#3, pp. 15-17) è esemplificativo al riguardo. In Natura è protagonista un’umanità impazzita dove “alcuni figli molto bravi / sono diventati tossicodipendenti” la cui speranza è il veleno che porrà fine alla procreazione della specie (“prendi questo veleno / avvicinalo alla tua bocca / mentre sei incinta / ti supplico”, p. 15). Natura#2 narra con crudele semplicità la fine di un pesce finito in una rete da pesca, mentre in Natura#3 l’autrice assiste, invidiandoli, all’accoppiamento di due animali, alla cui visione si sovrappone la sua riflessione, “la brama inopportuna / per l’agire per la pace / né con dio né con te” (p. 17), un “possibile atto di felicità” (evento raro in questa raccolta!) che non vuol disturbare.

Ogni possibile sfumatura, ipotesi, situazione, casistica di una realtà fisica, umana e animale in via di rapido e ineluttabile disfacimento e violento sovvertimento (inclusa la tossicodipendenza, affrontata magistralmente nel personaggio di Anna Maria, protagonista di Malata, che “predilige una vena attraverso la quale / trasmette vita che così è eternità”, p. 27), trova la palingenesi in Essere umano: l’auspicato e visionario rinnovamento universale enunciato ne L’oceano si spacca finalmente trova compimento. In una terra in via di rapida trasformazione (geyser e vulcani “vomitano vapor acqueo”) un uomo ci chiede “come siamo arrivati a questo punto” invocando una nuova creazione priva degli “improvvisi cambiamenti” dell’evoluzione: dall’acqua i pesci e rettili non dovranno uscire dall’acqua e avventurasi in terra per trasformarsi in mammiferi, uccelli e altri rettili. Essere umano termina con una richiesta terribile:

Che il miracolo dell’evoluzione non accada / che non appaia l’uomo / che tu non appaia di nuovo / che sia soltanto io ad apparire (p. 56).

Il volume si chiude con sei poesie estranee all’edizione originale che, a nostro avviso diversamente da quanto afferma Mandolini nella sua prefazione, appaiono poco legate al tema della Natura selvaggia. A nostro parere solo l’ultima, Mi addentro, dal sapore autobiografico, rende comprensibile un passato familiare e personale di violenze, disperazione e disillusione che attraversano la raccolta, memoria lacerata di uno stato d’animo ossessivo da cui solo la resa poetica salvò la narratrice:

E collera e paura sono germogliate / Non sapevo cose ne avrei fatto / per questo le ho raccolte dentro / non potevo buttarle via / non mi hanno aiutata né le medicine / né la terapia più economica a Sofia / né la società pseudo democratica in cui sono cresciuta (pp. 65-66)

Da notare l’illuminante frase: “la società pseudo democratica in cui sono cresciuta”. Data la giovane età (Dimitrova è nata nel 1986) l’autrice in Natura selvaggia è cresciuta nella “democrazia” e la considera “falsa”, e la Natura selvaggia (a quanto c’è dato conoscere) risulta quindi immune dai ricordi e dalle condanne del burocratico e plumbeo socialismo reale bulgaro, un passato che non passa che condiziona pesantemente la nuova letteratura bulgara restando una ferita aperta che quasi sempre porta ad un anticomunismo che confonde l’esito poetico e letterario di opere pur artisticamente valide (vedi su tutti Amore in piazza di Vladimir Levchev[2] in cui lo stile vario e complesso, ricco di richiami poetici e culturali europei, i ricordi autobiografici, la resa poetica e i sentimenti espressi sono strettamente connessi con l’onnipresente condanna del comunismo bulgaro).

L’io narrante si risolleva dalla tragedia famigliare e personale grazie alla visione attraverso la televisione della tragedia vissuta da profughi in fuga (si suppone da qualche guerra). La Dimitrova rende manifesta senza ipocrisie la crudele capacità di consolarsi dalla propria disperazione di fronte a quella ben peggiore provata dagli altri, e al contempo aiuta la comprensione dell’universo con lo,  squarcio del velo che ottenebra la coscienza di ognuno.

Allora li ho visti come correvano, come si salvavano / come gli istinti si sono svegliati / ho guardato nel profondo con insistenza / ho dimostrato coraggio mi sono presa per il collo / qualcosa ho cominciato a comprendere (p. 66)

anche se alla fine conclude che la tragedia osservata coinvolge tutti, lettore e autore compresi, ed è scritta nel nostro animo, è un’offesa e un dolore da cui non si può scappare: Ho visto una barca in cui hanno messo un bambino / e la madre ha spinto la barca / Ero io quel bambino? / Eri tu quel bambino? (p. 66)

La natura selvaggia di Beloslava Dimitrova è una raccolta originale, dura e complessa, un ottimo biglietto da visita per far conoscere la nuova poesia bulgara, partecipe di un mondo letterario in fermento ingiustamente ignorato in Italia.

  • Beloslava Dimitrova, La natura selvaggia
  • traduzione di Emilia Mirazchiyska e Danilo Mandolini
  • prefazione di Danilo Mandolini
  • Arcipelago Itaca, Osimo (AN), 2017
  • euro 12

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[1] P. Levi, Disfilassi, in Lilith e altri racconti, Einaudi, 1981. Ora in P. Levi, Tutti i racconti, Einaudi, Torino, 2005, pp. 675-682.

[2] V. Levchev, Amore in piazza, postfazione di F. Dall’Aglio, traduzione di E. Mirazchiyska e F. Izzo, Terra d’ulivi, Lecce, 2016.

 

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