Che cosa significa pensarti? Una prosa filosofica di Vladimir D’Amora

Di VLADIMIR D’AMORA

Che cosa significa pensarti?
Una radicatissima e tradíta tradizione, la nostra, riferisce ancora che la mente, quest’astrazione tutta attaccata al corpo suo, e nostro, sarebbe da figurare, riportare all’immagine… E immagine è la tavoletta di cera, anzi, il suo strato di cera: il rasulum di quella tabula, in cui nulla è mai scritto: tutto può, e potrà, sempre lo scriversi – cioè non-stare-scritto?
Una volta, stracciato nervo in fascio di tensioni, sdraiato sulla lettiga d’ospedale di un Sud d’Italia, mi dibattevo come uomo. E mi diedero saluti, mi offrirono farmaci, mi obbligarono a pisciare, a ingurgitare pappe e bietole scipite, mi destai. E urlai, mentre nulla sapevo, nulla ero, urlai: Io posso.
Ma, come allora potevo? Cosa io – avrei potuto?
Pensare è l’unico verbo del comune, della partizione e essenziale mortale, cui siamo consegnati, e che possiamo lavorare in punto (di) insieme. Solo perché e quando si pensa, si è in più di uno… Prima di creare, quel dio che s’è sempre arrogato la più solida maiuscola e violenta, era solo; e annoiandosi, cioè facendosi idolo della sua stessa solitudine: come un dio stuprato dallo spettro del suo volto alto e vuotatosi per poi, di nuovo ancora, colmarsi – si decise a volere. E fece un mondo, e un animale capace di nome. E di dargli la grazia. A lui, al Dio…
E se pensassi, pensandoti, se pensassi implacabilmente me stesso? E’, proprio questo chiuso fare, la virtualità? Ossia: è immaterialità?
Chi pensa di pensare, e sempre per pensarti, mi sto pensando – si appassiona alla cera spalmata sulla superficie della tavoletta della mente.
E mente è memoria. E memoria è vegliare sull’illatenza, serbarla tale, la manifestazione che una verità è: sul vero che qui, ecco – esso c’è: è schiuso… Per non sentire null’altro di te, che alla tua presenza la distanza dei tuoi pezzi d’occhi: l’altrove di un istante, che abiti tu come una ninfa eterna, nell’eterno non pisciare ma femminile…
In greco antico, idea ha due nomi. Idea-ideas, che è femminile; e eidos-eidous, un neutro… L’idea, questa visione della donna, quest’aura che accanto a te schiude come un agio, uno spazio sempre, inesorabilmente (illuso di) vuoto: da destinare a sempre nuovo & possibile… – l’idea non è mai maschio: perché o può-essere, come un neutro (dà) infinito, o piscia, come una donna – l’idea è la ninfa: né può soltanto tutto e cioè nulla: né piscia lasciando resti di sé soltanto come residui d’altro: come rifiuti… La tua idea: sia la scorrente che porta in fretta la traccia di un nome: il segno d’una vita. Tua.
Se ti penso, non sono solo: non in esilio da me, a me stesso: non adorata dispersione sono – con te partorisco una potenza di vita: sola-mente sorriso d’essere, quasi tremassi. E piovesse oggi: qui là per te – Sole.

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