Dalla “dialettica del pensato” alla “dialettica del pensare”, un saggio di Maria Teresa Murgia – parte II

Hegel
Hegel

Di MARIA TERESA MURGIA

Quanto segue è contenuto in Maria Teresa Murgia,“La dialettica gentiliana. Premesse e Esiti” pubblicato presso l’editore Limina Mentis nel dicembre 2015.

[…]Hegel, secondo Gentile, con il risultato della Fenomenologia, che è lo stesso concetto da cui prende avvio la Logica, perviene a quel concetto dell’assoluto, a quel logo, che consiste nell’unità di mente e ente; egli acquisisce che “la realtà è lo stesso pensiero, e il vero, il solo reale concetto, è lo stesso concepire”. A causa, tuttavia, della sua concezione del sistema di tipo prekantiano, che interpreta la realtà in termini di opposizione di soggetto-oggetto, vanifica quella conquista fenomenologica, che è anche e tutta logica, ed elabora una scienza altra, depositaria del logo come idea in sé, che dovrebbe essere una traccia per la coscienza che intende ripercorrere il processo già intrapreso dalla verità che ancora non si possedeva come tale.

Il logo sopraggiunge attraverso lo svolgimento che esso attua in se stesso verso la consapevolezza di sé, verso l’autocoscienza; a questo punto, sostiene Gentile, si dovrebbe avere la realtà assoluta, invece essa per essere raggiunta compiutamente, secondo la sistemazione hegeliana, abbisogna dell’integrazione prima di una filosofia della natura e poi di una filosofia dello spirito. Non si riesce a capire, per il filosofo di Castelvetrano, come sia possibile integrare qualcosa che già di per sé dovrebbe essere assoluto, ovvero come si possa passare dalla logica alla filosofia della natura e poi a quella dello spirito. Infatti, com’è possibile che l’assoluto che come tale dovrebbe essere perfetto e autosufficiente venga mosso a uscire da sé per compiersi e realizzarsi quando esso stesso dovrebbe avere per sua essenza tutto dentro di sé? Questa è la stessa questione che solleva il logo platonico, del quale non si capisce come nella sua perfezione e assolutezza abbia bisogno di uscire da se stesso per attuarsi. Da qui la difficoltà insuperabile all’interno del sistema hegeliano di giustificare il passaggio dalla logica alla natura.

Donde per questa filosofia la conseguenza ineluttabile di dibattersi in una alternativa: o la logica è metafisica, e pensando il logo si pensa il mondo (natura e spirito); e allora bisogna sopprimere la natura e lo spirito come sviluppo dell’idea. Ovvero l’idea è un universale, la cui concretezza si attinge attraverso lo sviluppo del particolare nella individualità, che sulla base della natura, si erge, eterno monumento, nell’autocoscienza; e allora la logica non è più metafisica come Hegel vuole, e deve intenderla, dopo la Fenomenologia; e il logo suo, come quello di Platone, e di Aristotele, non è più il mondo, ma l’intelligibilità del mondo, nella quale il mondo stesso si risolve tutto senza residuo.[1]

Insomma, se non ci si vuole arenare nelle difficoltà insormontabili del logo hegeliano, che nel suo schema essenziale coincide, come abbiamo visto, con quello platonico; se si vuole pensare concretamente il logo, l’assoluto, l’Idea, bisogna affrancarsi del tutto dal giogo dello schema oppositivo soggetto-oggetto e concepire l’Idea non come oggetto di pensiero — come facevano gli hegeliani ortodossi, per citarne uno, in Italia, Augusto Vera — ma come “forma assoluta, cioè assoluto soggetto, sich wissende Wahrheit, come diceva Hegel”. Pensare l’Idea come esterna al pensiero e presupposto di esso, alla maniera degli hegeliani ortodossi, significa concepire una dialettica non del divenire, del farsi, del pensare, ma ritornare alla vecchia dialettica platonica del logo astratto ‒ che ponendo il pensiero di fronte alla realtà, esso si sforza di adeguarsi ad essa, ma invano, in quanto i suoi termini sono inquadrati come costituzionalmente separati ‒ e ricadere nell’astratto concetto del divenire di tipo eracliteo; il quale non è un reale divenire, ma un movimento apparente, «visto come esterno al pensiero, si ferma e sta, come pictura in tabula. Il divenire è vero divenire del reale, quando il reale non è di fronte al pensiero che lo pensa (muovendosi lui, o illudendosi di far muovere il reale), ma dentro il pensiero, lo stesso pensiero che pensando diviene e genera appunto quella realtà che esso è»[2].

Tale concezione del logo, dell’idea in sé, come un termine esterno e di fatto immobile, in quanto già da sempre dato il cui movimento è soltanto apparente, rischia di annullare il valore della dialettica, congelata in una dimensione ideale alla maniera del logo platonico, e in questo modo di ridiventare “natura (ancorché ideale) e non più spirito”.

Spaventa si oppone alla suddetta concezione del logo, affermando vigorosamente che esso non è pensiero come oggetto esterno del pensare, ma il pensiero come pensare, l’organismo, l’eterno atto teorico e pratico che realizza se stesso dando vita a tutto il reale, essendo consapevole che la verità dell’intuito consiste nella riflessione, cioè che la verità dell’Idea in sé, come termine ideale, è il soggetto come pensare. Da qui l’esigenza di porre come soluzione della Logica la dimostrazione dell’identità del pensiero col reale o il “mentalizzare la logica”. Difatti l’esito della riflessione spaventiana nella memoria Le prime categorie della logica hegeliana, come abbiamo mostrato nella prima parte di questo capitolo, consiste nell’affermare il pensare, il non-essere logico, come verità dell’essere. Sempre nello stesso scritto, Spaventa dice che la riforma della dialettica hegeliana che bisogna avviare deve consistere proprio nell’assunzione di questo nuovo significato del concetto di nulla, diverso da quello che ci viene dato nella logica di Hegel. «Se non si fa […] all’hegelismo come sistema della spiritualità assoluta – giacché ei non è altro che questo ‒ contraddicono le prime categorie della sua logica stessa: la base a tutto l’edificio»[3].

Tale è la prova della conquista speculativa di Kant, in quanto il modello concettuale della triplicità proprio dell’essenza dell’idealismo assoluto è la vera realizzazione, dice Spaventa, dello schema dell’unità sintetica originaria.

Triplicità e unità sintetica originaria sono la stessa cosa; e lo spirito non sarebbe attivo senza di essa. Il concetto della triplicità domina in tutte le opere di Kant: e si vede sin dal principio nella stessa tavola delle categorie […] E la stessa ragione che altro è (o almeno dovrebbe essere) se non l’unità, non formale come poi la intende Kant, ma concreta della sensibilità e dell’intendimento? Se la vera forma è l’assolutamente originario, e tale non può non essere né l’uno né l’altro degli opposti, ma solo la triplicità, è manifesta tutta la verità della dottrina kantiana.[4]

Gentile, a questo proposito, afferma che tale riforma intrapresa dal filosofo di Bomba, che è indubbiamente all’altezza dell’esigenza posta dal problema hegeliano, non implica la negazione della tripartizione hegeliana di logo, natura e spirito; e che, di conseguenza, egli, non negando tale sistemazione, non realizza mai completamente il valore di tale riforma.

Ciò che Spaventa fa è introdurre il pensare nella logica e, soprattutto, in un punto di questa, all’origine del logo, dove, secondo lo schema hegeliano, vi dovrebbe stare solo il pensiero oggettivo, mostrando, al fine di un’adeguata comprensione della dialettica delle prime categorie, che è poi la legge stessa della dialettica, la necessità del rapporto tra la Logica e la Fenomenologia e l’origine di quella da questa. Infatti alla fine della Fenomenologia si perviene al superamento della posizione fenomenologica che consiste nella risoluzione dell’opposizione propria della coscienza in generale, la quale muove dalla coscienza immediata che costituisce l’inizio del percorso fenomenologico, tra soggetto e oggetto; i quali non sono più pensati come elementi separati, ma come termini distinti dell’unica unità spirituale costituita dalla realtà assoluta del logo come mentalità; unità che è il soggetto assoluto come l’atto della realtà stessa. Nonostante, nel sistema hegeliano, la posizione fenomenologica, che dovrebbe essere definitivamente superata alla fine della Fenomenologia, si ripresenti nella Filosofia dello spirito, il risultato di essa è proprio quello che Spaventa precisa e, di conseguenza, alla Logica viene attribuito il processo del pensiero puro come puro atto, sostiene Gentile.

In questo scritto sulle prime categorie, però, sostiene il filosofo attualista, Spaventa non compie la riforma della dialettica da lui stesso auspicata, in quanto egli risolve il non-essere nel pensiero, ma non l’essere, il quale resta un presupposto del pensare. Dal punto di vista di Gentile, la riforma della dialettica di Hegel si può realizzare solo a condizione di afferrare l’unità logica degli opposti, superando realmente l’opposizione tra essere e pensiero; operazione che comporta il riportare lo stesso essere nell’atto del pensare.

Considerando i risultati del suddetto scritto spaventiano, Vittorio Stella scrive:

Dal polarizzarsi dell’astrazione come Essere di contro all’astrazione come Nulla scaturisce quindi la concretezza del pensiero e del concetto del divenire, quel concetto cioè di essere come divenire esposto e penetrato avendo davanti a sé nella pagina riferita delle sue Prime categorie della Logica di Hegel il primo logico della scienza della logica. Ma la differenza tra pensare ed essere che così permane è ciò che non permette di risolvere l’essere-pensiero in atto e segna la distanza che separa Spaventa da Gentile.[5]

Questa distanza sembra ridursi più tardi nella Logica spaventiana del ’67, nella quale egli ribadisce con forza il concetto che l’essere si muove col pensare e che non si dà fuori dal pensare, affermando che “l’essere senza il pensare non è l’essere”; ovvero che l’essere pensato come separato dal pensare non è l’essere logico della filosofia, ma un essere astratto concepito alla maniera dei naturalisti. Ma è soprattutto nel Frammento postumo del 1880 che, per Gentile, il filosofo di Bomba si è avvicinato di più a realizzare quella riforma della dialettica di Hegel da lui avvertita come essenziale per comprendere appieno l’effettiva portata della grande scoperta del maestro di Stoccarda. Difatti, in quest’ultimo scritto Spaventa afferma esplicitamente che “l’essere è essenzialmente atto del pensare”, ponendo così fortemente l’accento sul concetto di essere come categoria e su quello di quest’ultima come soggetto assoluto che è pensare come “l’essere stesso dell’essere”. Forte di questa conquista speculativa, Spaventa critica con forza lo sdoppiamento dell’unico soggetto che rappresenta la spirituale unità assoluta in due soggetti: uno assoluto che realizza un processo eterno e immutabile, il Vordenken, e l’altro umano, che si limita a ripensare  l’eternamente pensato dal primo, il Nachdenken.

Separando il logo dalla natura e dallo spirito, come se, senza di questi, egli fosse qualcosa, se ne fa da una parte un astratto, e d’altra parte, come astratto si identifica con l’assoluto; si sostanzializza o personalizza, si piglia così per sé come la verità, tutta la realtà, l’assolutamente reale, Dio medesimo. ‒ A fronte del logo così concepito o, meglio, rappresentato, natura e spirito appariscono come qualcosa che non ha in sé valore, anzi sebbene dipendano dal logo così sostanzializzato e ne rivedano la luce e la vita, e perciò in certo modo lo esprimano, imitino, e rappresentino, pure hanno il difetto di alterarlo, guastarlo, oscurarlo, velarlo più tosto che svelarlo; lo svelano negativamente, cioè mostrando che lo velano e ne intorbidano la natìa purezza.[6]

Tale presunta esistenza di due soggetti, uno assoluto e l’altro umano, determina, come su esposto, un concetto di Denken che consiste di due attività distinte e separate, il Vordenken e il Nachdenken. Tali percorsi di pensiero, che hanno funzioni e prerogative diverse, in quanto fanno capo a due distinti soggetti, lasciano Spaventa oltremodo perplesso. Infatti egli sostiene che se il processo logico perfetto del soggetto assoluto realizza l’Idea pensandola eternamente, di fatto, la funzione del pensiero umano, che è un ripensare, limitandosi a rifare il percorso originario del primo soggetto, è vuota e la sua esistenza è immotivata. “A che pro questo imperfetto e perciò inutile duplicatum? E come è possibile?” .

Ammettere due soggetti e due percorsi di pensiero separati è la conseguenza di concepire, come facevano gli hegeliani di destra, l’essere e il pensiero come separati, appunto. Tuttavia, l’essere da solo senza il pensare, sostiene Spaventa, è inconcepibile, ossia non è l’essere. Quest’ultimo per potersi sviluppare e muovere deve coincidere col pensiero logico, ovvero con il pensiero assoluto che è distintivo dell’unico soggetto concreto.

Come pensato – il primo pensato ‒ l’essere, secondo la giusta interpretazione del traduttore ‒ è insieme pensiero (pensée), cioè proprio atto del Denken; e ci è una profonda ragione che sia così. Infatti tutte le determinazioni (tutto il processo) devono apparire e dichiararsi come lo sviluppo intimo dell’essere e del non-essere stessi (eux-memes); altrimenti sarebbe il caso già notato e condannato delle déterminations extérieures; e, giacché la vis produttiva è il Denken, il Denken non deve rimanere, diciamo così, in sé, separato dai prodotti suoi, ma essere sempre immanente in essi e produrre solo in essi e con essi. E così la vera entità di questi prodotti è il Denken, non solo in quanto essi sono prodotti dal Denken, ma in quanto essi stessi non producono senza il Denken, come immanente in essi.[7]

Il pensiero logico, prosegue Spaventa, il Denken, è “la categoria” come attualità mentale che istituisce il processo dialettico. Il soggetto compie questo processo logico-dialettico e nello stesso tempo si realizza come mentalità assoluta; insomma, io, in quanto soggetto umano, non sono un mero spettatore del movimento esterno dell’Ente, “ma l’atto dell’Ente è l’atto mio, in quanto io dico di ripensare, sono uno e medesimo atto”.

Spaventa, sostiene Gentile, ha il merito di ravvisare il nocciolo del sistema hegeliano, che, per il filosofo di Catelvetrano, coincide col futuro principio della sua dottrina attualistica. Il filosofo di Bomba, mostrando la reale differenza che sussiste tra essere e nulla, e così replicando efficacemente all’obiezione di Trendelemburg, identifica l’essere come la categoria che è atto mentale e che consiste nell’unità di essere e non-essere, cioè nel divenire. La dialettica, che è la base su cui si regge il sistema hegeliano, si risolve nel vero concetto del divenire, che è l’atto in atto, l’atto che si fa.

L’essere che costituisce il primo della logica per essere se stesso deve svilupparsi, divenire, essere non essendo, ossia essere un pensare, un farsi. La differenza che si scorge nel concetto dell’essere è quel pensare che per realizzarsi dà origine a uno dei due termini dell’unità assoluta in cui consiste, cioè all’essere. Spaventa dimostra che fin dall’origine del percorso logico è presente il pensiero, in quanto intende che l’unico modo di afferrare l’essere è pensarlo, appunto, e che la sola maniera che ha l’essere di svilupparsi è quindi di negarsi nel non-essere è di essere compreso nel pensare. In breve, il filosofo di Bomba si sofferma sul primo momento della logica hegeliana insistendo su quell’elemento attivo, il pensare, che Hegel trascura.

In questo modo, concependo il pensare, l’attività pura, come immanente all’essere, e quindi risolvendo la dialettica nell’atto del pensare, secondo Gentile, vengono meno tutte le insidie che contengono la Logica e l’intera dottrina idealista così come sono sistemate dal loro autore di Stoccarda. Nel 1912 scrive il pensatore attualista:

[Questo scritto postumo] documenta che già lo Spaventa giunse a scorgere il principio dell’idealismo come noi ora lo intendiamo, distruggendo l’opposizione della logica (Denken) e della riflessione (Nachdenken), ossia risolvendo completamente il processo dialettico, a partire dallo stesso essere, nel puro atto del pensare: dov’è la vera liquidazione del trascendente, e l’inveramento dell’hegelismo come dialettica trascendentale, e quindi assoluto immanentismo.[8]

Anche nel 1913 il filosofo attualista riprende a commentare il Frammento postumo e a portare alla luce, afferma lui, quello che in esso rimane implicito, ovvero la correzione di Hegel che rappresenta il punto di svolta in cui l’idealismo si supera nell’attualismo.

Spaventa, per Gentile, concependo la logica come il fastigio della fenomenologia e ricollocandola nel processo fenomenologico diventato a tutti gli effetti logico, apre la via verso la realizzazione dell’unità di essere e pensiero che permette il superamento di quello sdoppiamento di soggetti e di percorsi di pensiero che caratterizza il sistema di Hegel, di origine prekantiana, che serba tracce di trascendenza.

Tuttavia, rifacendoci alla rilettura gentiliana del ‘13, anche nel Frammento postumo, che per l’attualista rappresenta il punto più alto di speculazione raggiunto dal suo autore, non vengono sciolti alcuni nodi essenziali della sistemazione hegeliana complessiva, come il ruolo della filosofia della natura, che nello scritto non viene menzionata. Stando così le cose, Gentile si pone la domanda se Spaventa compia effettivamente quell’inveramento della filosofia della natura, e insieme della logica e della filosofia dello spirito, risolvendola definitivamente nella fenomenologia, rafforzando le conseguenze della posizione più tarda che emerge nel Frammento, o se il suo silenzio in merito a tali parti del sistema, in primo luogo riguardo alla filosofia della natura, sia da imputare a un arretramento verso quella sua vecchia posizione che considera la natura separata dal logo, “in se stessa, benché non per se stessa”.

Per questo, nell’oscillazione che in questo modo si costituiva, il profilo prevalente del pensiero non era quello della generazione dell’essere (concepita come creazione della forma dell’essere), ma piuttosto quello della negazione: il pensiero non riusciva, alla maniera che sarà di Gentile, a manifestarsi come concreto, ma si presentava come il non dell’essere, chiuso nel suo orizzonte intrascendibile, e tuttavia capace di penetrarne e scuoterne l’immobilità, generando non l’essere ma il movimento dell’essere, secondo il ritmo caratteristico del progresso. [9]

Inoltre, sempre stando alla rilettura gentiliana, ancora nello scritto suddetto si mantiene quell’erroneo concetto della nuova dialettica che elabora Hegel e che poi acquisiscono i suoi critici. Tale errore consiste nel considerare essenzialmente la dialettica una deduzione di concetti. Il carattere della nuova dialettica non è di essere analitica, di muovere da concetti, ossia di presupporre un concetto in sé, cioè una realtà oggettiva, ma di essere attualità, farsi del pensiero. Essa è quell’unità di distinti che fonda i concetti, che sono i suoi termini, e che non è, all’opposto, fondata da essi. L’essere non preesiste al suo contraddirsi, all’attualità dialettica, cioè non sussiste, ma è quella contraddizione che è divenire, pensare. Di conseguenza, la dialettica non presuppone nulla, ma tutto pone.

Giacché il processo analitico è il processo (apparente) della logica aristotelica retta dal principio di identità; laddove il vero processo hegeliano è quello della sintesi a priori, per cui non si unisce l’identico, ma il diverso. L’analisi, che rende esplicito l’implicito, presuppone un concetto in sé e una potenza di pensiero di là dall’atto, quindi una realtà oggettiva: tutte le vecchie intuizioni del platonismo.[10]

Sia la prima ambiguità che il sopraccitato errore rappresentano i punti deboli del pensiero spaventiano che vengono rafforzati, dal punto di vista di Gentile, dalla sua dottrina attualistica.

L’attualismo considera così la propria opera d’innovazione teoretica sulla unità originaria di fenomenologia e logica da cui muove, con l’ulteriore qualificazione come dialettica attuale, quale prosecuzione inverante il nisus non interamente esaudito di Spaventa. […] i confini tra la pur robusta incoazione spaventiana e la posizione, ben altrimenti matura e articolata, dell’attualismo restano nettamente segnati. In quest’ultimo l’unità originaria è il risultato stesso della identità dialettica del logo concreto col logo astratto e non vi è quindi più luogo a porre il problema del “cominciamento.[11]

[…]Hegel, secondo Gentile, con il risultato della Fenomenologia, che è lo stesso concetto da cui prende avvio la Logica, perviene a quel concetto dell’assoluto, a quel logo, che consiste nell’unità di mente e ente; egli acquisisce che “la realtà è lo stesso pensiero, e il vero, il solo reale concetto, è lo stesso concepire”. A causa, tuttavia, della sua concezione del sistema di tipo prekantiano, che interpreta la realtà in termini di opposizione di soggetto-oggetto, vanifica quella conquista fenomenologica, che è anche e tutta logica, ed elabora una scienza altra, depositaria del logo come idea in sé, che dovrebbe essere una traccia per la coscienza che intende ripercorrere il processo già intrapreso dalla verità che ancora non si possedeva come tale.

Il logo sopraggiunge attraverso lo svolgimento che esso attua in se stesso verso la consapevolezza di sé, verso l’autocoscienza; a questo punto, sostiene Gentile, si dovrebbe avere la realtà assoluta, invece essa per essere raggiunta compiutamente, secondo la sistemazione hegeliana, abbisogna dell’integrazione prima di una filosofia della natura e poi di una filosofia dello spirito. Non si riesce a capire, per il filosofo di Castelvetrano, come sia possibile integrare qualcosa che già di per sé dovrebbe essere assoluto, ovvero come si possa passare dalla logica alla filosofia della natura e poi a quella dello spirito. Infatti, com’è possibile che l’assoluto che come tale dovrebbe essere perfetto e autosufficiente venga mosso a uscire da sé per compiersi e realizzarsi quando esso stesso dovrebbe avere per sua essenza tutto dentro di sé? Questa è la stessa questione che solleva il logo platonico, del quale non si capisce come nella sua perfezione e assolutezza abbia bisogno di uscire da se stesso per attuarsi. Da qui la difficoltà insuperabile all’interno del sistema hegeliano di giustificare il passaggio dalla logica alla natura.

Donde per questa filosofia la conseguenza ineluttabile di dibattersi in una alternativa: o la logica è metafisica, e pensando il logo si pensa il mondo (natura e spirito); e allora bisogna sopprimere la natura e lo spirito come sviluppo dell’idea. Ovvero l’idea è un universale, la cui concretezza si attinge attraverso lo sviluppo del particolare nella individualità, che sulla base della natura, si erge, eterno monumento, nell’autocoscienza; e allora la logica non è più metafisica come Hegel vuole, e deve intenderla, dopo la Fenomenologia; e il logo suo, come quello di Platone, e di Aristotele, non è più il mondo, ma l’intelligibilità del mondo, nella quale il mondo stesso si risolve tutto senza residuo.[12]

Insomma, se non ci si vuole arenare nelle difficoltà insormontabili del logo hegeliano, che nel suo schema essenziale coincide, come abbiamo visto, con quello platonico; se si vuole pensare concretamente il logo, l’assoluto, l’Idea, bisogna affrancarsi del tutto dal giogo dello schema oppositivo soggetto-oggetto e concepire l’Idea non come oggetto di pensiero — come facevano gli hegeliani ortodossi, per citarne uno, in Italia, Augusto Vera — ma come “forma assoluta, cioè assoluto soggetto, sich wissende Wahrheit, come diceva Hegel”. Pensare l’Idea come esterna al pensiero e presupposto di esso, alla maniera degli hegeliani ortodossi, significa concepire una dialettica non del divenire, del farsi, del pensare, ma ritornare alla vecchia dialettica platonica del logo astratto ‒ che ponendo il pensiero di fronte alla realtà, esso si sforza di adeguarsi ad essa, ma invano, in quanto i suoi termini sono inquadrati come costituzionalmente separati ‒ e ricadere nell’astratto concetto del divenire di tipo eracliteo; il quale non è un reale divenire, ma un movimento apparente, «visto come esterno al pensiero, si ferma e sta, come pictura in tabula. Il divenire è vero divenire del reale, quando il reale non è di fronte al pensiero che lo pensa (muovendosi lui, o illudendosi di far muovere il reale), ma dentro il pensiero, lo stesso pensiero che pensando diviene e genera appunto quella realtà che esso è»[13].

Tale concezione del logo, dell’idea in sé, come un termine esterno e di fatto immobile, in quanto già da sempre dato il cui movimento è soltanto apparente, rischia di annullare il valore della dialettica, congelata in una dimensione ideale alla maniera del logo platonico, e in questo modo di ridiventare “natura (ancorché ideale) e non più spirito”.

Spaventa si oppone alla suddetta concezione del logo, affermando vigorosamente che esso non è pensiero come oggetto esterno del pensare, ma il pensiero come pensare, l’organismo, l’eterno atto teorico e pratico che realizza se stesso dando vita a tutto il reale, essendo consapevole che la verità dell’intuito consiste nella riflessione, cioè che la verità dell’Idea in sé, come termine ideale, è il soggetto come pensare. Da qui l’esigenza di porre come soluzione della Logica la dimostrazione dell’identità del pensiero col reale o il “mentalizzare la logica”. Difatti l’esito della riflessione spaventiana nella memoria Le prime categorie della logica hegeliana, come abbiamo mostrato nella prima parte di questo capitolo, consiste nell’affermare il pensare, il non-essere logico, come verità dell’essere. Sempre nello stesso scritto, Spaventa dice che la riforma della dialettica hegeliana che bisogna avviare deve consistere proprio nell’assunzione di questo nuovo significato del concetto di nulla, diverso da quello che ci viene dato nella logica di Hegel. «Se non si fa […] all’hegelismo come sistema della spiritualità assoluta – giacché ei non è altro che questo ‒ contraddicono le prime categorie della sua logica stessa: la base a tutto l’edificio»[14].

Tale è la prova della conquista speculativa di Kant, in quanto il modello concettuale della triplicità proprio dell’essenza dell’idealismo assoluto è la vera realizzazione, dice Spaventa, dello schema dell’unità sintetica originaria.

Triplicità e unità sintetica originaria sono la stessa cosa; e lo spirito non sarebbe attivo senza di essa. Il concetto della triplicità domina in tutte le opere di Kant: e si vede sin dal principio nella stessa tavola delle categorie […] E la stessa ragione che altro è (o almeno dovrebbe essere) se non l’unità, non formale come poi la intende Kant, ma concreta della sensibilità e dell’intendimento? Se la vera forma è l’assolutamente originario, e tale non può non essere né l’uno né l’altro degli opposti, ma solo la triplicità, è manifesta tutta la verità della dottrina kantiana.[15]

Gentile, a questo proposito, afferma che tale riforma intrapresa dal filosofo di Bomba, che è indubbiamente all’altezza dell’esigenza posta dal problema hegeliano, non implica la negazione della tripartizione hegeliana di logo, natura e spirito; e che, di conseguenza, egli, non negando tale sistemazione, non realizza mai completamente il valore di tale riforma.

Ciò che Spaventa fa è introdurre il pensare nella logica e, soprattutto, in un punto di questa, all’origine del logo, dove, secondo lo schema hegeliano, vi dovrebbe stare solo il pensiero oggettivo, mostrando, al fine di un’adeguata comprensione della dialettica delle prime categorie, che è poi la legge stessa della dialettica, la necessità del rapporto tra la Logica e la Fenomenologia e l’origine di quella da questa. Infatti alla fine della Fenomenologia si perviene al superamento della posizione fenomenologica che consiste nella risoluzione dell’opposizione propria della coscienza in generale, la quale muove dalla coscienza immediata che costituisce l’inizio del percorso fenomenologico, tra soggetto e oggetto; i quali non sono più pensati come elementi separati, ma come termini distinti dell’unica unità spirituale costituita dalla realtà assoluta del logo come mentalità; unità che è il soggetto assoluto come l’atto della realtà stessa. Nonostante, nel sistema hegeliano, la posizione fenomenologica, che dovrebbe essere definitivamente superata alla fine della Fenomenologia, si ripresenti nella Filosofia dello spirito, il risultato di essa è proprio quello che Spaventa precisa e, di conseguenza, alla Logica viene attribuito il processo del pensiero puro come puro atto, sostiene Gentile.

In questo scritto sulle prime categorie, però, sostiene il filosofo attualista, Spaventa non compie la riforma della dialettica da lui stesso auspicata, in quanto egli risolve il non-essere nel pensiero, ma non l’essere, il quale resta un presupposto del pensare. Dal punto di vista di Gentile, la riforma della dialettica di Hegel si può realizzare solo a condizione di afferrare l’unità logica degli opposti, superando realmente l’opposizione tra essere e pensiero; operazione che comporta il riportare lo stesso essere nell’atto del pensare.

Considerando i risultati del suddetto scritto spaventiano, Vittorio Stella scrive:

Dal polarizzarsi dell’astrazione come Essere di contro all’astrazione come Nulla scaturisce quindi la concretezza del pensiero e del concetto del divenire, quel concetto cioè di essere come divenire esposto e penetrato avendo davanti a sé nella pagina riferita delle sue Prime categorie della Logica di Hegel il primo logico della scienza della logica. Ma la differenza tra pensare ed essere che così permane è ciò che non permette di risolvere l’essere-pensiero in atto e segna la distanza che separa Spaventa da Gentile.[16]

Questa distanza sembra ridursi più tardi nella Logica spaventiana del ’67, nella quale egli ribadisce con forza il concetto che l’essere si muove col pensare e che non si dà fuori dal pensare, affermando che “l’essere senza il pensare non è l’essere”; ovvero che l’essere pensato come separato dal pensare non è l’essere logico della filosofia, ma un essere astratto concepito alla maniera dei naturalisti. Ma è soprattutto nel Frammento postumo del 1880 che, per Gentile, il filosofo di Bomba si è avvicinato di più a realizzare quella riforma della dialettica di Hegel da lui avvertita come essenziale per comprendere appieno l’effettiva portata della grande scoperta del maestro di Stoccarda. Difatti, in quest’ultimo scritto Spaventa afferma esplicitamente che “l’essere è essenzialmente atto del pensare”, ponendo così fortemente l’accento sul concetto di essere come categoria e su quello di quest’ultima come soggetto assoluto che è pensare come “l’essere stesso dell’essere”. Forte di questa conquista speculativa, Spaventa critica con forza lo sdoppiamento dell’unico soggetto che rappresenta la spirituale unità assoluta in due soggetti: uno assoluto che realizza un processo eterno e immutabile, il Vordenken, e l’altro umano, che si limita a ripensare  l’eternamente pensato dal primo, il Nachdenken.

Separando il logo dalla natura e dallo spirito, come se, senza di questi, egli fosse qualcosa, se ne fa da una parte un astratto, e d’altra parte, come astratto si identifica con l’assoluto; si sostanzializza o personalizza, si piglia così per sé come la verità, tutta la realtà, l’assolutamente reale, Dio medesimo. ‒ A fronte del logo così concepito o, meglio, rappresentato, natura e spirito appariscono come qualcosa che non ha in sé valore, anzi sebbene dipendano dal logo così sostanzializzato e ne rivedano la luce e la vita, e perciò in certo modo lo esprimano, imitino, e rappresentino, pure hanno il difetto di alterarlo, guastarlo, oscurarlo, velarlo più tosto che svelarlo; lo svelano negativamente, cioè mostrando che lo velano e ne intorbidano la natìa purezza.[17]

Tale presunta esistenza di due soggetti, uno assoluto e l’altro umano, determina, come su esposto, un concetto di Denken che consiste di due attività distinte e separate, il Vordenken e il Nachdenken. Tali percorsi di pensiero, che hanno funzioni e prerogative diverse, in quanto fanno capo a due distinti soggetti, lasciano Spaventa oltremodo perplesso. Infatti egli sostiene che se il processo logico perfetto del soggetto assoluto realizza l’Idea pensandola eternamente, di fatto, la funzione del pensiero umano, che è un ripensare, limitandosi a rifare il percorso originario del primo soggetto, è vuota e la sua esistenza è immotivata. “A che pro questo imperfetto e perciò inutile duplicatum? E come è possibile?” .

Ammettere due soggetti e due percorsi di pensiero separati è la conseguenza di concepire, come facevano gli hegeliani di destra, l’essere e il pensiero come separati, appunto. Tuttavia, l’essere da solo senza il pensare, sostiene Spaventa, è inconcepibile, ossia non è l’essere. Quest’ultimo per potersi sviluppare e muovere deve coincidere col pensiero logico, ovvero con il pensiero assoluto che è distintivo dell’unico soggetto concreto.

Come pensato – il primo pensato ‒ l’essere, secondo la giusta interpretazione del traduttore ‒ è insieme pensiero (pensée), cioè proprio atto del Denken; e ci è una profonda ragione che sia così. Infatti tutte le determinazioni (tutto il processo) devono apparire e dichiararsi come lo sviluppo intimo dell’essere e del non-essere stessi (eux-memes); altrimenti sarebbe il caso già notato e condannato delle déterminations extérieures; e, giacché la vis produttiva è il Denken, il Denken non deve rimanere, diciamo così, in sé, separato dai prodotti suoi, ma essere sempre immanente in essi e produrre solo in essi e con essi. E così la vera entità di questi prodotti è il Denken, non solo in quanto essi sono prodotti dal Denken, ma in quanto essi stessi non producono senza il Denken, come immanente in essi.[18]

Il pensiero logico, prosegue Spaventa, il Denken, è “la categoria” come attualità mentale che istituisce il processo dialettico. Il soggetto compie questo processo logico-dialettico e nello stesso tempo si realizza come mentalità assoluta; insomma, io, in quanto soggetto umano, non sono un mero spettatore del movimento esterno dell’Ente, “ma l’atto dell’Ente è l’atto mio, in quanto io dico di ripensare, sono uno e medesimo atto”.

Spaventa, sostiene Gentile, ha il merito di ravvisare il nocciolo del sistema hegeliano, che, per il filosofo di Catelvetrano, coincide col futuro principio della sua dottrina attualistica. Il filosofo di Bomba, mostrando la reale differenza che sussiste tra essere e nulla, e così replicando efficacemente all’obiezione di Trendelemburg, identifica l’essere come la categoria che è atto mentale e che consiste nell’unità di essere e non-essere, cioè nel divenire. La dialettica, che è la base su cui si regge il sistema hegeliano, si risolve nel vero concetto del divenire, che è l’atto in atto, l’atto che si fa.

L’essere che costituisce il primo della logica per essere se stesso deve svilupparsi, divenire, essere non essendo, ossia essere un pensare, un farsi. La differenza che si scorge nel concetto dell’essere è quel pensare che per realizzarsi dà origine a uno dei due termini dell’unità assoluta in cui consiste, cioè all’essere. Spaventa dimostra che fin dall’origine del percorso logico è presente il pensiero, in quanto intende che l’unico modo di afferrare l’essere è pensarlo, appunto, e che la sola maniera che ha l’essere di svilupparsi è quindi di negarsi nel non-essere è di essere compreso nel pensare. In breve, il filosofo di Bomba si sofferma sul primo momento della logica hegeliana insistendo su quell’elemento attivo, il pensare, che Hegel trascura.

In questo modo, concependo il pensare, l’attività pura, come immanente all’essere, e quindi risolvendo la dialettica nell’atto del pensare, secondo Gentile, vengono meno tutte le insidie che contengono la Logica e l’intera dottrina idealista così come sono sistemate dal loro autore di Stoccarda. Nel 1912 scrive il pensatore attualista:

[Questo scritto postumo] documenta che già lo Spaventa giunse a scorgere il principio dell’idealismo come noi ora lo intendiamo, distruggendo l’opposizione della logica (Denken) e della riflessione (Nachdenken), ossia risolvendo completamente il processo dialettico, a partire dallo stesso essere, nel puro atto del pensare: dov’è la vera liquidazione del trascendente, e l’inveramento dell’hegelismo come dialettica trascendentale, e quindi assoluto immanentismo.[19]

Anche nel 1913 il filosofo attualista riprende a commentare il Frammento postumo e a portare alla luce, afferma lui, quello che in esso rimane implicito, ovvero la correzione di Hegel che rappresenta il punto di svolta in cui l’idealismo si supera nell’attualismo.

Spaventa, per Gentile, concependo la logica come il fastigio della fenomenologia e ricollocandola nel processo fenomenologico diventato a tutti gli effetti logico, apre la via verso la realizzazione dell’unità di essere e pensiero che permette il superamento di quello sdoppiamento di soggetti e di percorsi di pensiero che caratterizza il sistema di Hegel, di origine prekantiana, che serba tracce di trascendenza.

Tuttavia, rifacendoci alla rilettura gentiliana del ‘13, anche nel Frammento postumo, che per l’attualista rappresenta il punto più alto di speculazione raggiunto dal suo autore, non vengono sciolti alcuni nodi essenziali della sistemazione hegeliana complessiva, come il ruolo della filosofia della natura, che nello scritto non viene menzionata. Stando così le cose, Gentile si pone la domanda se Spaventa compia effettivamente quell’inveramento della filosofia della natura, e insieme della logica e della filosofia dello spirito, risolvendola definitivamente nella fenomenologia, rafforzando le conseguenze della posizione più tarda che emerge nel Frammento, o se il suo silenzio in merito a tali parti del sistema, in primo luogo riguardo alla filosofia della natura, sia da imputare a un arretramento verso quella sua vecchia posizione che considera la natura separata dal logo, “in se stessa, benché non per se stessa”.

Per questo, nell’oscillazione che in questo modo si costituiva, il profilo prevalente del pensiero non era quello della generazione dell’essere (concepita come creazione della forma dell’essere), ma piuttosto quello della negazione: il pensiero non riusciva, alla maniera che sarà di Gentile, a manifestarsi come concreto, ma si presentava come il non dell’essere, chiuso nel suo orizzonte intrascendibile, e tuttavia capace di penetrarne e scuoterne l’immobilità, generando non l’essere ma il movimento dell’essere, secondo il ritmo caratteristico del progresso. [20]

Inoltre, sempre stando alla rilettura gentiliana, ancora nello scritto suddetto si mantiene quell’erroneo concetto della nuova dialettica che elabora Hegel e che poi acquisiscono i suoi critici. Tale errore consiste nel considerare essenzialmente la dialettica una deduzione di concetti. Il carattere della nuova dialettica non è di essere analitica, di muovere da concetti, ossia di presupporre un concetto in sé, cioè una realtà oggettiva, ma di essere attualità, farsi del pensiero. Essa è quell’unità di distinti che fonda i concetti, che sono i suoi termini, e che non è, all’opposto, fondata da essi. L’essere non preesiste al suo contraddirsi, all’attualità dialettica, cioè non sussiste, ma è quella contraddizione che è divenire, pensare. Di conseguenza, la dialettica non presuppone nulla, ma tutto pone.

Giacché il processo analitico è il processo (apparente) della logica aristotelica retta dal principio di identità; laddove il vero processo hegeliano è quello della sintesi a priori, per cui non si unisce l’identico, ma il diverso. L’analisi, che rende esplicito l’implicito, presuppone un concetto in sé e una potenza di pensiero di là dall’atto, quindi una realtà oggettiva: tutte le vecchie intuizioni del platonismo.[21]

Sia la prima ambiguità che il sopraccitato errore rappresentano i punti deboli del pensiero spaventiano che vengono rafforzati, dal punto di vista di Gentile, dalla sua dottrina attualistica.

L’attualismo considera così la propria opera d’innovazione teoretica sulla unità originaria di fenomenologia e logica da cui muove, con l’ulteriore qualificazione come dialettica attuale, quale prosecuzione inverante il nisus non interamente esaudito di Spaventa. […] i confini tra la pur robusta incoazione spaventiana e la posizione, ben altrimenti matura e articolata, dell’attualismo restano nettamente segnati. In quest’ultimo l’unità originaria è il risultato stesso della identità dialettica del logo concreto col logo astratto e non vi è quindi più luogo a porre il problema del “cominciamento.[22]

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[1] G. Gentile, Sistemi di logica come teoria del conoscere, II, Firenze, Le Lettere, 2003, pp. 128-129.

[2]G. Gentile, Le origini, III, 1°, cit., pag. 304.

[3] B. Spaventa, Scritti filosofici, cit., pp. 215-217, in La rifor. spav.gent., cit., pag. 706.

[4] Spaventa, La filosofia di Kant, cit., pag 229.

[5] V. Stella, Spaventa nella riforma della dialettica hegeliana e nel giudizio di Croce, in Bertrando Spaventa. Dalla scienza della logica alla logica della scienza, cit., pag. 49.

[6] B. Spaventa, Principi di etica, 1904, (prima Studi sull’etica di Hegel, 1864), in Bertrando Spaventa Opere, cit., pp. 620-621.

[7] B. Spaventa, Frammento inedito, in Gentile, Rif. d. dial., cit., pag. 52.

[8]Ivi, pag. 37.

[9]Filosofia italiana, http://www.filosofia-italiana.net/marcello-muste-il-senso-della-dialettica-nella-filosofia-di-bertrando-spaventa/, cit., pag. 17.

[10] G. Gentile, Rif. d. dial., cit., pag. 18.

[11] V. Stella, op. cit., pag. 61.

[12] G. Gentile, Sistemi di logica come teoria del conoscere, II, Firenze, Le Lettere, 2003, pp. 128-129.

[13]G. Gentile, Le origini, III, 1°, cit., pag. 304.

[14] B. Spaventa, Scritti filosofici, cit., pp. 215-217, in La rifor. spav.gent., cit., pag. 706.

[15] Spaventa, La filosofia di Kant, cit., pag 229.

[16] V. Stella, Spaventa nella riforma della dialettica hegeliana e nel giudizio di Croce, in Bertrando Spaventa. Dalla scienza della logica alla logica della scienza, cit., pag. 49.

[17] B. Spaventa, Principi di etica, 1904, (prima Studi sull’etica di Hegel, 1864), in Bertrando Spaventa Opere, cit., pp. 620-621.

[18] B. Spaventa, Frammento inedito, in Gentile, Rif. d. dial., cit., pag. 52.

[19]Ivi, pag. 37.

[20]Filosofia italiana, http://www.filosofia-italiana.net/marcello-muste-il-senso-della-dialettica-nella-filosofia-di-bertrando-spaventa/, cit., pag. 17.

[21] G. Gentile, Rif. d. dial., cit., pag. 18.

[22] V. Stella, op. cit., pag. 61.

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