“La poesia”, componimento inedito di Gabriele Via

Gabriele Via, "La poesia", 27/10/2013
Gabriele Via, “La poesia”, 27/10/2013

29 pensieri riguardo ““La poesia”, componimento inedito di Gabriele Via

  1. e anche la poesia, insomma, proprio no. io capisco ‘sta cosa di voler spiegare al mondo buono ‘sta cosa della poesia,quanto è bella/terribile/schifosa ecc ma se lo si spiega così qualcuno potrebbe prendere il tutto sul serio. e questo non va bene pe’ niente

      1. grazie per l’informazione, utile sempre, ma mi dispiace che si ritenesse di dovermela fornire. 🙂 l’attitudine inetta è quella che preferisco, quella che manca di volontà. infatti non è questo il caso e la poesia, oltre a non spiegare niente, non è per niente spiegabile, nel senso che è chiara in se, ma chiaramente opaca: non ha bisogno di esegesi, non è ermeneuticizzabile. è che questa roba qui è un pippone niente male, solo traslato forzatamente nella forma poeticizzante ed estetizzante del verso. Non è molto diversa da una pubblicità della coca cola, insomma. spiace per via che mi sa che non è che volesse questo, ma pare si sia infilato in un bel trappolone, come molti altri (“la speranza giaceva a terra come una trappola”). comunque la versificazione è ottima, ma non è quello il problema.

      2. Questo (“questo”) tipo di critiche è sempre ben accetto. Eri partito molto male, con una profusione di astio da soggetto autocentrato. Vediamo se l’autore interverrà per spiegare le sue intenzioni.
        Alla prossima.

    1. Forse non ti è chiaro che si tratta di una poesia

      Evidentemente non sei un poeta.
      Probabilmente non sei un critico.
      Eventualmente proteggi la tua umanità dal “rischio” di venire toccato dalla puntuale semplicità di una cosa tanto antica e vibrante come una poesia

      Forse sta tutto qua.

      Gabriele Via

      1. Bravo Via, devo dire che sul fatto che io protegga “la mia umanità dal RISCHIO di venire toccato dalla puntuale semplicità di una cosa tanto antica e vibrante come una poesia”, hai ragione. In parte è un problema che però contiene già la sua soluzione. E per questo non voglio caderci, dal momento che ne sono tentato. Nella tua poesia, qua, specialmente, tutto è semplice (falso) e tutto però clamorosamente (nel senso che nessuno se ne accorge, quindi è vero) semplificato, da dare in pasto al buon gusto contemporaneo, quando si rende gratuitamente (e già morta) la parola “vertigine” al posto di provare la parola vertiginosa. Nelle due cose c’è una strana coincidenza, chepperò i più credono alla versione unica – e come potrebbe essere diversamente? – quella con cui la parola vertigine è redatta dal vocabolario =”terribile volo”, più meno, vedi che ci siamo!) Non so se la vertigine sia il fine, verto è che sia un mezzo, l’unico, che però tu non possiedi. Ma perché poi dovresti possederlo? Non credo ti interessi, sei un poeta civile, poeta cittadino unto dal tempo. E va bene così. Sul fatto che non sono un poeta, invece cicchi di brutto (almeno, se tu lo sei, certo! IO NON POSSO ESSERLO). E’ chiaro a me che si tratta di una poesia, come quando un qualsiasi didascalico progresso di “armonie da manuale” che possa essere scritto in forma sonata diventa, appunto, “sonata”. Probabilmente sei una brava persona, Via, dominato da nobili ideali e comunque tremendamente e commoventemente fiero. Sei un buon cittadino, non c’è dubbio, e non sono ironico E che io proprio mi rompo a leggere queste poesie, e la voglia che ho è proprio quella di romperti il culo (poeticamente parlando). ma anche se ci riuscissi, probabilmente, tu non te ne accorgeresti. Parliamo due lingue diverse..Quanto alla nostra piccola incompreNsione su fb, ho trovato l’errore. se vuoi comunicare civilmente (ahah scusa la battuta, ma m’era comoda) carlo.quaglia.ii@gmail.com

  2. cioè siamo nel 2013, spero (sempre) che non ci sia più bisogno di scrivere ‘ste cose, ma tant’è. io non sono nessuno, gabriele via, a quanto pare è gabrieleviaallrightsreserved e un motivo ci sarà, se si applica a usare il copyright. anche la coca cola fa così, per tutelarsi. da consumatore invito solo a migliorare la qualità del prodotto. questo mi far venire l’acidità di stomaco e un po’ di bile.

    1. A me quelli che se ne escono con “cioè siamo nel 2013 ancora a scrivere ‘ste cose” eccetera danno sempre da pensare. Ma cosa ritieni che si possa scrivere, oggi, di nuovo o diverso, ché neanche il cosiddetto “postmoderno” è mai esistito o ha mai avuto ragione di esistere se non come un bluff, esclusa l’afasia comunicativa della sperimentazione più spinta? Che pure a noi interessa e che pure abbiamo interesse a pubblicare, ma che è fatta d’altra pasta ed approda ad altri lidi espressivi, non migliori o peggiori, semplicemente diversi? Ma che spocchia insopportabile è il “siamo nel 2013”? Ma che bile inutile e dostoevskijana, da protagonista delle “Memorie del sottosuolo” ti fai venire? Suvvia, prendiamo atto che non ti piace, punto. Quanto alla C, polemiche inutili, Gabriele Via la mette sempre nelle sue scansioni ma non tutela proprio nulla e a noi non riguarda, noi non concepiamo la poesia come prodotto e siamo per il Copyleft sempre e comunque. Ad maiora.

  3. Ad ogni modo, Gabriele Via ha avuto fra i suoi maestri e amici Roberto Roversi. Roberto Roversi era uno che, come Via del resto, diffondeva le proprie poesie in ciclostilato, e a cui non fregava niente né del “prodotto”, né del “pubblicitario”.
    Mi sa che il discorso della coca-cola è stato mal centrato dall’inizio, in questo caso, eh.

    1. ma si, buttato lì. però… trovo sempre più spesso una certa ansia di diffusione (qui oltretutto in clamorosa differita) che si manifesta in minima parte ma radicalmente in simboli come questo che, intendo, è la cosa più interessante che ho trovato qua. comunque d’accordo con solennesimoblogghista, ma. la versificazione è ottima, in quanto versificazione. si, ho sbagliato termine. intendevo falsificazione.

  4. La metrica è sporca, alcuni “endecasillabi” mal costruiti (l’accento di decima non sempre rispettato), lessico banale, costruzione sintattica prosastica e prosaica.
    Da quel che leggo, non per cattiveria, ma è un Carducci venuto male: perché quell’accozzaglia arbitraria di metri (un novenario, settenari non sempre puliti, lasciamo perdere gli endecasillabi)?… ma al di là dello scempio della forma non posso rimanere in silenzio davanti alla “morte cerebrale” del contenuto: trionfo di luoghi comuni…e non parlo di “topos”nel senso nobile e retorico, ma abietti luoghi comuni (si analizzi la sfera semantica del testo: “spirito”, “parole”, “volo”, “avventure misteriose”,accoppiata quest’ultima dal sapore trito e ritrito…).
    Il copyright e il copyleft sono ben poca critica.
    La poesia può esser soggettiva ma fino ad un certo punto. Trovo deleterio incentivare ogni tentativo poetico per paura di stroncare il “deboletto”poeta che ci mette il cuore e l’anima.
    Una poesia può essere ermetica alla Luzi, arzigogolata e ricercata alla Zanzotto, cristallina alla Montale, prosastica alla Pavese e alla Withman, volutamente incomprensibile e criptica alla Mallarmé, distruttiva alla Rimbaud e così via ma questo testo qua non è nulla di tutto ciò.
    Purtroppo la scrittura non è per tutti ed alla luce di questo solo componimento, mi spiace, secondo il mio modesto parere umano (e tecnico soprattutto) questo testo non è valido (ed uso una litote per gentilezza).
    Ho conosciuto e conosco poeti ben più validi: sì, ancora vivi e vegeti nel 2013.

    1. Metrica sporca, carduccianesimo di ritorno, abietti luoghi comuni… Stiamo tornando alla vetusta e trista diatriba della rima “cuore/amore”? ” Nel cuore durava il limio/ delle cicale”, così un certo Ungaretti poeterà, volutamente significando con la scelta di un sostantivo come “cuore”, logoro nel suo valore metaforico ma rinnovato dal’immediato accostamento a un’esperienza dapprima tutta sensoriale, che la durata di quel “limio” è una circostanza psichica, radicata nella profonda vita dell’Io, e non meramente acustica. Banale e da Baci Perugina? Mi sembra che la cultura poetica di un autore sia l’insieme di linguaggi, di suoni, di musicalità a volte dissonanti che entrano concretamente a far parte del suo universo espressivo nel momento in cui, nell’atto “poietico” e maieutico della creazione, egli li costituisce, li orienta, conferendogli caratteri peculiari che lo rendono distinguibile da qualunque altro consimile universo. Sperimentare non vuol dire dunque rifiutare la tradizione ma neanche trasgredire le normative metrico-lessicali che la tradizione impone vuol significare tracimazione nell’impoetico e nell’ovviamente repellente. Quanto alla paura di stroncare il nascente astro di poetini e poetelli in erba, sarebbe forse il caso di rendere nota la quantità abissale di testi immondi (addirittura ai limiti del risibile) che arrivano in redazione per rendersi conto della fallacia di tale affermazione.
      Una buona serata,
      Antonella Pierangeli

    2. Caro il mio anonimo critico di classici che erano già nell’Olimpo prima che tu nascessi (mi sono un po’ documentato, prima di scrivere una sola replica, per vedere le tue spassose prodezze sul blog che governi e in cui coltivi il tuo anonimo piacere a far capire al mondo l’importanza di leggere Calvino o Borges. E mi
      Complimento davvero!) vorrei ti venisse mai il dubbio di chiederti a voce alta e caso mai davanti a un pubblico di dar prova di cosa sia il metro. Giacché si da metro (caso mai prendi nota. A proposito: sai scrivere?) nel riportare una misura fonetica di parola scandita in verso, sulla carta e per mezzo -appunto- di scrittura.
      Il metro si batte e su suona. Io scrivo da qualche tempo e tempro la mia scrittura sulla vocalità espressa e battuta… Cose che tu probabilmente non immagini neppure cosa vogliano dire.
      Se tu sali su un palcoscenico e coi tuoi versi tieni un pubblico per due ore e poi ti senti chiedere un bis, allora forse dai cosa vuol dire METRICA in carne ed ossa. Perché di questo di tratta. Il resto non mi riguarda.

      Circa poi i riferimenti che spruzzi a casaccio, prendendo nomi tanto più grandi di ogni tua possibile immaginazione e -soprattutto cognizione- vorrei farti notare che ad ogni nome piazzi un aggettivo, una qualificazione che fotografa nel modo più banale (e quindi riduce e imbriglia alla dimensione ottusa del tuo linguaggio completamente insignificante) occasioni di orizzonte e vero spazio che non meritano tanta cura da parte tua. È chiaro che Luzi non lo capisci, Montale lo conosci fino agli Ossi, Pavese ti sarà precluso per tanto ancora vista la sua tremenda nudità fisica misurata davanti alla sfida dell’essere (il binomio fisica e essere te lo fai spiegare da un filosofo, oppure studi almeno un po’ più di quanto malamente ciarli denigrando quanto non comprendi); e per finire Mallarmé che pure poco ha a che fare con me, mi ha scritto proprio ier sera pregandomi di dirti in maniera un po’ secca e articolata insieme -sai com’è fatto- che non solo tu non lo hai pressoché mai letto, né còlto nell’episodica lettura, ma è lui che non desidera essere letto da te…. Figurarsi addivenire al merito di un aggettivo che lo digli in eterno.
      Scopro con incredulità che sei riuscito a definire arzigogolato Zanzotto… Dal che mi si chiarisce all’istante che tu non esisti. Linguisticamente appaiono parole spulciate da vari sentito dire di timbro scolastico… Ma qui parliamo di poesia. Io sono stato pubblicato da Critica Impura e ad un certo punto ecco che arrivi tu cil tuo anonimo eloquente nomignolo e spari idiozie colossali sulla mia scrittura, sulla poesia in genere e poi vai irrorare tanti nomi con la tua baldanzosa e grossolana ignoranza

      Secondo me meno internet e più sana lettura, ti farebbe bene.

      Circa poi l’esegesi, che mi pare forse molto prematura per la tua condizione psicolinguistica (ma mi permetterai di finire ugualmente il discorso) prima di lanciarti in uno spericolato strappo arbitrario di singoli lemmi, avresti dovuto prima avere la capacità di leggere la poesia cogliere cosa dice, considerarne l’articolazione e coglierne gli snodi. Questo ti è attualmente impossibile. È chiaro che tu non leggi e non cogli la poesia, ma (per motivi oscuri ed attualmente insignificanti, legati al tuo vissuto profondo) ti fai passivamente toccare da una singola parola piuttosto che da un’altra. Questo -non discuto- è legittimo, ma non è ammissibile che condizioni il lavoro esegetico. Ma dispero che in questo stato tu possa capire di cosa parlo.

      Generalmente amo la critica, pura e impura. Ma le tue parole sono da rigettare perché sono una impostura. Tu non sai di cosa parli.
      Gabriele Via

      1. Io non intendo lanciarmi in nessuno slancio. La cosa è semplice ed ora gliela spiego in quattro e quattr’otto: non amo la sua scrittura e non la ritengo di valore se questo fa di me un impostore, allora sono un impostore.
        Gli autori citati li ho solo accennati, non di certo intendevo tenere una lectio magistralis su ciascuno di loro. Non credo di essere l’unico ad aver pensato “non bene” della sua scrittura dato che non mi pare lei sia stampato da grandi, ma neanche medie, case editrici (I libri di Emil? Corbo editore?). In ambito accademico non ho mai sentito nominarla una volta, né tanto meno ho mai letto articoli di recensione su giornali, testate o riviste su di lei.
        “Meno internet e più sana lettura”? Il mio blog ha meno di un mese di vita!
        Mi spiace ma devo concordare con lei, la mia “condizione psicolinguistica” mi impedisce di vedere la profondità di questo suo eterno ed immenso componimento (sono molto mirato nella critica, esprimo giudizi solo su ciò che leggo e non sulla sua poetica). Mallarmé, più che nei sogni, se lo vada a ripassare sui testi del Friedrich e del Raymond (non sono facili da reperire, ci ho messo una vita a trovarli, ma glieli consiglio) nonché sulla magnifica edizione Garzanti, rossa, “Poesia e prose”.
        Quanto al fatto che ha collezionato “giudizi d’autore” non mi sbalordisco: conosco un dentista, anche poeta, che è riuscito a farsi pubblicare per una media casa editrice la sua raccolta ed ha anche avuto la prefazione di Zanzotto… La lascio coltivare il suo orticello di primizie poetiche, la lascio ai suoi successi di pubblico, agli applausi e a tutta la fama che ha e che le verrà.
        Io e la mia ignoranza trasmigriamo altrove. Cordialmente.
        Ennesimo B.

  5. Non saprei dire se mi piace o non mi piace come testo poetico, tuttavia condivido il “pensiero” che contiene e che, vivaddio, parlando del processo stesso di creazione dell’opera (ho pensato a Blanchot) si contrappone a tante insulsaggini su presunte aperture di prospettiva, di speranza, di consolazione, di armonia, di universalità, di verità, che la poesia “dovrebbe” offrire e indurre. Dico questo, chiaramente, non da esperta (non lo sono), ma da lettrice di poesia e dei discorsi sulla poesia, che troppo spesso mi fanno passare ogni voglia di continuare a leggere.

  6. Quanto alle questioni tecniche, alla presunta metrica sporca, di polimetria e anisosillabismo vogliamo parlare?….
    Quanto al carduccismo presunto, a noi sembra che una critica antineolirica del genere sia abbastanza prevenuta. Andando a spulciare nella rubrica “Testi impuri”, vi si trovano componimenti sperimentali e di ricerca accanto a componimenti dalla forma e dal contenuto più tradizionale. La richiesta di novità rispetto a determinate immagini poetiche è assurda in sé perché rientra nel discorso del “siamo nel 2013” che non solo lascia il tempo che trova, ma consiste in una crassa fallacia logica: quella del tipo “i cani stanno con l’uomo da 30.000 anni, ergo oggigiorno nessuno dovrebbe più avere un cane”. Quanto alle critiche formali e contenutistiche, ne deriva un’altra del tipo: “questa supposta è ovoidale, è morbida e profumata: ergo è fatta male perché dovrebbe essere una caramella”.
    Io credo, al contrario, che l’errore soggettivista non stia nel difendere un componimento salvandolo dalle critiche prevenute contro il genere poetico a cui appartiene, critiche che chiedono che sia altro e che quindi appartenga ad un altro genere (richiesta assurda in sé, la questione della supposta e della caramella, insomma), piuttosto credo che l’errore soggettivista consista nell’estremizzare il proprio legittimo giudizio di piacere (“questa poesia non mi piace”) spacciandolo per un giudizio di gusto kantianamente universale (“questa poesia non è bella”).
    E’ insomma un problema di prospettiva estetica.
    Relativamente all’ “incentivare ogni tentativo poetico per paura di stroncare il “deboletto”poeta”, invece, non si ha forse l’idea precisa di quanta immondizia arrivi mensilmente in redazione, prontamente cestinata.
    Infine, circa i poeti vivi e vegeti nel 2013 (aridaje!), sì, ne conosciamo molti anche noi.
    Ad maiora.
    Sonia Caporossi

  7. Mi spiace che non si siano lette bene le mie critiche.
    Innanzitutto si sono lette le mie critiche come rivolte all’impostazione e gestione del sito. La mia critica era rivolta a QUESTO PARTICOLARE TESTO, e non era da banalizzare e generalizzare. Tra i grandi poeti ho volutamente citato sperimentatori (Zanzotto, Rimbaud,Mallarmé) ma anche autori più tradizionali (Montale, Pavese) proprio per schermarmi da questo tipo di obiezione: questo scrittore non rientra in nessuna delle due.
    In secondo luogo ho fatto riferimento al “2013” per citare, ma solo sulla falsariga, l’intervento precedente. La letteratura greca ha già scoperto tutta la gamma di passioni ed emozione umane, diceva un mio professore. La letteratura non fa che riciclare le tematiche più profonde, comun denominatore dell’umanità, alla luce della propria Weltanschauung. Nella poesia soprattutto (ma cnhe nella prosa) conta non il cosa, ma il COME è detta una certa cosa. Si capisce benissimo cosa vuol dire il “poeta”, ma il come lo dice è assolutamente pedante e noioso ma soprattutto banale.
    In terzo luogo sono stufo di sentire persone che non fanno altro che portare avanti la scusante dell’ “estetica avant toute chose” per schermarsi dagli attacchi: l’arte è ingiudicabile in quanto soggettiva e relativistica.
    Grazie a Dio non è così e ce lo conferma la storia: un minimo di trascendenza “kantiana” c’è perché reggono solo i poeti migliori, tradizionali o meno, quelli che sanno scrivere, che dicono e comunicano qualcosa coi loro versi non quelli che vengono estratti a caso dal grande cilindro relativista.
    Che poetica è sottesa a questo testo? Al di là della forma che rimane, mi spiace ma per me è così, sporca (e non volutamente).
    Non c’è musica (sottolineo perché non c’è).
    Non MI smuove sentimenti (sottolineo a me).
    Non c’è una poetica (questo testo non ha, e sfido a definirmela, una cifra stilistica chiara: può averlo scritto chiunque! Se leggo una poesia di Montale(stile tradizionale) o Zanzotto(stile sperimentale) sfido a scrivere un testo in maniera simile).

    Forse

  8. Forse mi sbaglio, ma i geni non crescono come funghi. L’Italia è uno dei paesi con più premi letterari e con meno scrittori validi in assoluto. Solo perché ogni anno qualcuno vince lo Strega od il Montale non vuol dire che ogni anno si aggiunge uno scrittore ed un poeta in più alla letteratura?
    Basta con tutto questo relativismo nell’arte perchè sta uccidendo l’arte stessa.
    E’ vero: il giudizio artistico ha una buona dose di soggettività, ma non schermiamo tutto e tutti usando questo paravento perché c’è un limite.
    Io credo che questo testo non sia valido, poi alla Storia larga sentenza.
    Cordialmente.
    Ennesimo B.

    1. Non ti preoccupare, non consideravamo la tua critica contro la rivista in sé: noi ci occupiamo di focalizzare sempre e solo il TESTO.
      Tu scrivi:
      “I geni non crescono come funghi”.
      Concordo, nemmeno fra i critici.
      Lo Strega? Il Montale? Ce ne freghiamo, per dirla drasticamente, a noi piace l’emergenza del sommerso: per noi che a scuola si arrivi a malapena a Montale col “programma” è un male: proviamo sempre ad inserire un poeta ultracontemporaneo, un Villa, un De Angelis, un Cepollaro, un Giovenale persino nelle nostre lezioni.
      “Basta con tutto questo relativismo nell’arte perché sta uccidendo l’arte stessa. E’ vero: il giudizio artistico ha una buona dose di soggettività, ma non schermiamo tutto e tutti usando questo paravento perché c’è un limite.”.
      Che malinteso colossale, mi viene da sorridere. 🙂
      Infatti è esattamente ciò che ho detto io, il soggettivismo rientra nel becero “mi piace / non mi piace” che non detiene potenza di canone, perché “de gustibus non est disputandum” ed è proprio per questo che i gusti personali sono relativi: in quanto tali, lasciano il tempo che trovano.
      Questo perché il giudizio di gusto vero e proprio si fonda sull’aisthesis, che è quel quid che “pretende di essere” (sono parole di Kant nella Terza Critica) universalmente condivisibile (da non confondere con “universalmente oggettivo”, perché mantiene pur sempre una certa dose di soggettività nel fatto che è pur sempre un individuo a percepire e sussumere l’opera d’arte – cfr. Diz. Hoepli: sussumere, “nella logica aristotelica, ricondurre un concetto nell’ambito di un altro più generale”). Ciò che non vuoi capire è che nel momento in cui affermi “io credo che questo testo non sia valido”, non rimane che il tuo “non mi piace”, il quale, per l’appunto, non ha valore di sentenza critica perché non ha valore estetico.
      Ma quando dico “estetico”, noto che c’è proprio un grosso travisamento filosofico di fondo.
      Tu scrivi infatti: “In terzo luogo sono stufo di sentire persone che non fanno altro che portare avanti la scusante dell’ “estetica avant toute chose” per schermarsi dagli attacchi: l’arte è ingiudicabile in quanto soggettiva e relativistica.”
      A sentirti, sembra quasi che tu creda che la filosofia estetica consista nella relativizzazione estrema dell’arte stessa.
      Quando mai la filosofia estetica ha affermato che l’arte è ingiudicabile? E no, al contrario! L’estetica si è preoccupata fin dagli albori di scindere proprio il giudizio di gusto dal giudizio di piacere! Il problema è che c’è giudizio e giudizio!
      Il giudizio di gusto propriamente detto indaga il bello che è quel quid universalmente comunicabile sì, ma in forma di sentimento soggettivo a cui la comunità partecipa; il giudizio di piacere, invece, è sempre contingente, sporcato da questioni esterne all’arte per l’arte, contenutistico, antiformalistico, relativo e soggettivo.
      Dimostri insomma, con quel passaggio, di detenere un’idea abbastanza naif di ciò che “estetica” significhi, e forse forse di confondere, addirittura, “estetica” con “estetismo” (!!!).
      Il problema ulteriore è che non basta analizzare dal punto di vista formale un testo per credersi critico in modo genuinamente estetico dello stesso: infatti, se non consideri i miei suggerimenti circa l’uso della polimetria nel testo, persino l’aspetto formale della tua critica appare mal centrato. Cioè, come a dire che PER TE, appunto, la forma metrica è guasta, e solo PER TE.
      Ed infatti, a conferma: “che poetica è sottesa a questo testo? Al di là della forma che rimane, mi spiace ma per me è così, sporca (e non volutamente).
      Non c’è musica (sottolineo perché non c’è).
      Non MI smuove sentimenti (sottolineo a me).”
      Quindi chi sta facendo del soggettivismo e del relativismo critico, a ben vedere, non sei altri che te.
      Ergo, mi sa proprio che sei stufo di te stesso. 🙂
      A presto.
      Sonia Caporossi

  9. Cara Sonia
    sai benissimo che quando si scrive una critica a qualcuno (e non si è una auctoritas alla ribalta) non posso dire “Il tuo testo non è valido per me, detentore d’un giudizio di gusto”.
    Retoricamente significa (rimanendo in tema di ognissanti) scavarsi la fossa: l’obiezione che sorgerebbe spontanea sarebbe: “e tu chi sei?” “da dove esci fuori?” “hai un pedigree che accerti ciò?”.
    Ovviamente, nel mio piccolo qualcosa decisamente ho, ma per non rischiare di creare un velo di boria e narcisismo intorno alla mia critica ho dovuto ripiegare e mascherare il mio parere con un giudizio di piacere. Questa scelta l’ho adottata solo ed esclusivamente affinché il lettore si concentrasse sul testo e non sulla critica: il testo non ha poetica e sfido un detentore di gusto a trovarmela.
    Indaghiamo pure le pecche filosofiche delle mie obiezioni, ma rimane un dato di fatto irremovibile: per me e molti altri detentori di gusto più autorevoli (che esisteranno sicuramente) questo testo non è valido.
    Tu, Sonia, non sei riuscita a dirmi cosa di grande e profondo, UNICO,ha questo testo.
    Lasciamo perdere per un attimo i giochi di parole e i pindarici voli filosofici che troppo spesso complicano le cose. Questo testo non ha una cifra stilistica: ora la critica che mi aspetto è una confutazione a questa obiezione, non una confutazione alla “natura” logico-filosofica di questa obiezione.
    Grazie, Sonia.
    E’ sempre un piacere confrontarsi (e con questo ti lascio l’ultima parola, io concludo qui).
    Ennesimo B.

    1. Caro ennesimoblogghista,
      ci sono almeno altre tre fallacie logiche contenute in questo tuo ultimo commento, dalla fallacia “ad Berlusconibus”, che in realtà è un non sequitur (consiste nel negare ciò che si è appena detto come se non lo si fosse mai detto giustificandolo con un tertium), e soprattutto una strana combinazione di “argumentum ab auctoritate” e “ad verecundiam”: cioè prima ti schermisci con la modestia, poi tiri in ballo l’auctoritas: “per me e molti altri detentori di gusto più autorevoli (che esisteranno sicuramente) questo testo non è valido.”
      Io non trovo che l’auctoritas sia mai particolarmente cogente, e tuttavia ti stupirà sapere che Via non è un poeta inedito e che eminenti critici, fin dai primi anni Novanta, si sono occupati positivamente della sua opera, da Elio Pecora a Pazzi, da Roberto Roversi a Mauro Conti. Non avrei voluto citarli, ma tant’è: saranno tutti rincoglioniti e tu sarai più bravo, che ti debbo dire.
      Ad ogni modo, auctoritas a parte, la filosofia, e soprattutto la logica, lungi dal complicare le cose, stanno lì a semplificarle, in particolar modo servono a “rendere ragione”. Come quando mi dici “tu, Sonia, non sei riuscita a dirmi cosa di grande e profondo, UNICO,ha questo testo.”
      Nessuno infatti m’ha chiesto una critica del testo, ma al di là di questo, t’ho proprio smontato, ab origine, la pretesa di UNICITA’ e NOVITA’ insita nel tuo assunto. T’ho proprio smontato, insomma, il giudizio di “tritume” annesso ad un testo schiettamente lirico, che non pretende per niente di essere né nuovo né unico.
      A me pare, non certo da parte tua ma più in generale, che ci sia proprio astio contro la tendenza neolirica in sé. In passato mi sono scontrata con Carabba per difendere la poesia sperimentale (ma da posizioni “altre” rispetto ad Ostuni).
      Il problema è che mi sembra che viga però davvero anche il pregiudizio opposto.
      E detto da me, che scrivo versi sperimentali…
      Ciao a presto, grazie per lo scambio.
      Sonia Caporossi

      1. Un trionfo di latinorum… E’ vero, hai citato molti critici, ma molti ne hai taciuti.
        Banalizzi il mio giudizio: non penso certo che quelle eminenti persone siano “rincoglionite”(passi dal latino al turpiloquio con estrema destrezza), preferisco pensare di appoggiare la visione di quei critici che non si sono espressi in merito (e ce ne sono).
        Quanto ai continui attacchi filosofici i matematici direbbero c.v.d.: come volevasi dimostrare.
        Non ho mai criticato la tua intelligenza o preparazione e non tollero che si sminuisca la mia solo per questioni retoriche, per schermare le ragioni di questo testo.
        Che sia critica di gusto o di piacere, giochicchia pure con cavillosità e pedanterie filosofiche sulla natura di questo o quel giudizio, il mio parere (che non è solo per quanto tu voglia far credere) è stato espresso: i lettori capiranno e si schiereranno dall’una o dall’altra parte, la Storia decreterà.
        E.B.

  10. Decidi, o è retorica o filosofia. Ambedue cercano solo di rendere ragione, cosa che tu non fai nel momento in cui te ne esci con un contorcimento del genere: “preferisco pensare di appoggiare la visione di quei critici che non si sono espressi in merito (e ce ne sono).” Se non si sono espressi, che diamine vorresti appoggiare, una cosa che tu supponi che sia ma non è? E poi, di quali schieramenti parli? Ma la critica che cos’è secondo te, una partita di calcio? Ecco perché accusi di cavillosità la distinzione lampante , chiara e cristallina, tra giudizio di piacere e giudizio di gusto su cui la stessa critica dovrebbe sempre fondarsi!
    E soprattutto perché ti senti colpito nell’intelligenza laddove io vada usando la logica formale? Lungi dall’essere mia intenzione, cerco anzi di parlare sempre dallo stesso piano dell’interlocutore. Gli è che spesso accusare l’usus filosofico di cavillosità o pedanteria è sintomo di un de vulpe et uva. Ad ogni modo, una cosa è certa: io ci metto sempre nome e cognome, tu solo un nickname.
    Per quanto riguarda la poesia di Gabriele Via, nello specifico non ritengo che sia il testo migliore dell’Universo e che debba rimanere particolarmente alla Storia per virtù o meriti, dunque chetiamoci così.
    Qua davvero ad maiora, eh.
    Sonia Caporossi

  11. ah gabriele via per favore
    ficcami la mia bella faccia col mio lungo nome nei tuoi lunghi e incommensurabilmente noiosissimi commenti sulle altrettanto lunghe e noiosissime poesie che ti ostini a pubblicare su fb. io sono un giovane ignorante che si chiama carlo enrico paolo quaglia. vorrei che tutti lo sapessero. grazie.

  12. Ma l’ennesimoblogghista ci ha messo una vita a trovare ad esempio “La struttura della lirica moderna” di Hugo Friedrich che si trova bellamente ristampato in edizione Garzanti Elefanti Saggi ed è di disponibilità immediata?
    Forse non ha cercato bene.
    Ad ogni modo, il suo citare a parametro continuo di giudizio l’ “ambito accademico” fa chiaramente capire che del concetto di critica impura non ha capito granché. Eppure bastava leggere il manifesto, in cui si parla di “emergenza del sommerso”, oppure questo chiarificatore articolo della stimabile Caporossi: https://criticaimpura.wordpress.com/2011/07/08/fenomenologia-della-critica-impura-con-spirito/. Ciò sia detto al di là del valore o meno del componimento poetico oggetto della presente diatriba, è un suggerimento che mi sento di dare in qualità di lettore assiduo di Critica Impura.
    Quanto al fatto che un poeta debba a priori ritenersi un poveraccio se pubblica per la piccola editoria, un’opinione del genere è segno dell’ignoranza dello stato in cui versa la scrittura poetica italiana oggi, fra un Pordenonelegge, un Parcopoesia e una tiratura con acquisto di copie al 50%. Mi sa proprio che l’ennesimoblogghista è l’ennesimolettorediciòchegiàsiconosceperchépubblicatodaigrandieditoriedinquantotalesistimamirabiledidefault.
    Saluti cordiali
    Marco G.

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