I fratelli Grimm e la tradizione fiabesca come Volksgeist

I fratelli Grimm
I fratelli Grimm

Di MAURA MASCHIETTI

 

Jacob e Wilhelm Grimm

Jacob e Wilhelm Grimm, inseparabili sin dall’infanzia, studiarono, scrissero e vissero insieme per tutta la loro vita. Anche se ebbero interessi e temperamenti diversi, più austero Jacob (1785-1863), più solare e gaio Wilhelm (1786-1859) sentirono la stessa missione: “[…] elevare il mondo germanico a un organismo poetico-politico concluso in se stesso, ma che assumesse il valore eterno di un simbolo cui essi si ispiravano” (Grimm, Le fiabe del focolare, Torino 1951, Introduzione di G. Cocchiara p.17-18).

I canti popolari furono il primo interesse dei Grimm: in effetti, in accordo con le idee del Romanticismo, i Grimm esaltarono la tradizione dell’antichità germanica, il Medio Evo ed il popolo. Vicini, in particolare, alla filosofia dell‘idealismo di Schelling e di Hegel, concepirono il Volksgeist, cioè lo spirito popolare, come collettività, come espressione di desideri e di tratti caratteristici comuni. Sulla base di questi principi, occorreva innanzitutto documentare l‘evoluzione nel corso dei secoli del Volksgeist, per creare una coscienza d‘identità nazionale tedesca.

L’idea di raccogliere, registrare e pubblicare materiali provenienti dalla tradizione popolare orale, venne a due amici dei Grimm. Infatti Achim von Arnim e Clemens Brentano pubblicarono una raccolta di canti popolari con qualche ritocco e abbellimento, nell’intenzione di dare al popolo un testo educativo (Calvino, Sulla fiaba, Torino 1988, p.84). Benché mossi da obiettivi comuni, il criterio di lavoro, seguito dai Grimm, fu, sostanzialmente diverso.

Su questo punto, in particolare, abbiamo diverse ipotesi interpretative. Secondo Italo Calvino che, nel già citato saggio Sulla fiaba, ha dedicato a Le fiabe del focolare poche ma intelligentissime pagine, i due fratelli furono i primi a intendere una raccolta di testi del folclore come un lavoro scientifico, proponendosi di rendere fedelmente con la scrittura la parola del popolo (Calvino op. cit. p. 84). Stando a Calvino, dunque, gli autori delle fiabe, oltre alla popolazione rurale intervistata direttamente dai due fratelli, sarebbero stati amici e familiari dei Grimm stessi. Avrebbero quindi avuto un ruolo di forte rilievo le narrazioni, subito trascritte, fatte dalla fidanzata e poi sposa di Wilhelm (Calvino op. cit. p.85) e poi quelle di cognate, cugine, ecc. Attingendo largamente anche a materiali tratti dall’antica tradizione germanica (manoscritti medievali, libretti, testi religiosi del tempo di Lutero) i Grimm, secondo Calvino, avrebbero tradotto dai dialetti e rinarrato le storie in base a una loro idea di semplicità popolare. Nel corso degli anni, però, cambiarono i criteri di lavoro. Infatti, se inizialmente la registrazione fedele al dettato popolare fu il loro punto d’onore (Calvino op. cit. p. 85) e, al tempo stesso, fu motivo di polemica con l’amico Arnim, poi i Grimm lavorarono esclusivamente sulla base delle varianti della stessa fiaba.

Le teorie di Calvino sono vicine e in un certo senso assimilabili a quelle di Giuseppe Cocchiara, storico del folclore, autore del saggio Storia del folclore in Europa. Fra i due, all’inizio del 1954, vi fu uno scambio epistolare decisivo per la storia della letteratura italiana e più in generale per tutta la favolistica mondiale. In breve, nella lettera indirizzata all’amico Cocchiara, Calvino, con una reticenza molto sintomatica, si presenta come il destinatario di un mandato editoriale- quello della Casa editrice Einaudi- a cui si richiamerà fin dalla prima riga della sua Introduzione alle Fiabe Italiane (Introduzione di M. Lavagetto al saggio Sulla fiaba p.8). 

Giuseppe Cocchiara,  nell’introduzione a Le fiabe del focolare, sostiene che le sette edizioni dei Kinder und Hausmarchen presentano delle differenze sostanziali, che riguardano sia il numero dei Marchen, sia il criterio di compilazione. I Grimm, infatti, erano convinti che la forma dei Marchen cambiasse col cambiare dei novellatori, assumendo di volta in volta uno stile diverso: era necessario, ove si volesse avere il più genuino dei Marchen, restituirgli la sua forma primitiva, combinando insieme le diverse varianti e integrando l’una con l’altra. (Cocchiara op. cit. pp. 6-7). Partendo, dunque, da un certo numero di varianti di una stessa fiaba, i Grimm le integravano in un’unica narrazione, introducendovi delle aggiunte personali, sostenendo tuttavia di rispettarne la verità ed il significato interiore.

Tra i principali cambiamenti introdotti nel corpus dei racconti popolari alcuni riguardano gli aspetti stilistici. A livello tematico, spiccano i tagli e le censure, mirati a riflettere da vicino la visione del mondo della borghesia, non urtando il senso morale. Secondo Zipes, la fiaba letteraria diventò uno strumento pedegogico in mano alla borghesia: si pensi ai contenuti morali ed educativi che i fratelli aggiunsero alle storie popolari, nonché ai ruoli sessuali (donne passive e docili, uomini attivi ed avventurosi) e ai modelli comportamentali (basati su virtù tipicamente borghesi quali l’ordine, l’oculatezza, la tranquillità domestica, l’operosità ecc.) che le fiabe in questione veicolavano.

Cusatelli,  analizzando le Kinder  und Hausmarchen, sfata il luogo comune che vede i due fratelli girare in lungo e in largo la Germania, alla ricerca delle radici popolari del folclore nazionale. Dal suo studio infatti risulta che i Grimm, nella fase di raccolta del materiale folclorico, si avvalsero di un gruppo di collaboratori. Si trattava di giovani universitari che, un po’ per passione, un po’ per gioco, intervistavano, con la più assoluta naturalezza gli anziani che popolavano le campagne di Munster, di Amburgo, dell’Assia fino alla zona del Mare del Nord. I materiali raccolti poi venivano inviati per lettera ai Grimm i quali, propria manu, provvedevano alla selezione e alla rielaborazione. Giunti a questo punto, consapevoli che, nel momento in cui scrivevano, la fiaba diveniva per così dire acqua purissima che scorreva dalle fonti ma che si intorbidiva al loro tocco (come scrive Cambi) i due fratelli dovevano affrontare il problema, delicatissimo, della trascrizione. Le difficoltà, naturalmente, riguardarono anche e soprattutto l’aspetto linguistico, visto che la maggior parte dei corrispondenti parlavano in dialetto. Grazie ad una fitta rete di corrispondenze epistolari con amici ed esperti, a cui veniva chiesto espressamente quali accorgimenti adottare, i Grimm in alcuni casi preferirono trascrivere le fiabe così come erano pervenute.

Anche Schenda nell’articolo intitolato Raccontare fiabe, diffondere fiabe (in La Ricerca Folklorica No. 12, Il viaggio, la prova, il premio. La fiaba e i testi extrafolklorici Oct., 1985, pp. 77-86), afferma che “la grande maggioranza delle fiabe della loro raccolta è di origine letteraria e venne notata o meglio trascritta in ambiente borghese sotto dettatura, in particolare a Kassel, presso i Wild e gli Hassenpflug”  (op. cit. p. 78). In realtà, a Kassel, i fratelli Grimm raccolsero preziose informazioni da  una contadina: Frau Viehmann. Della donna, però, che compare nell’introduzione al secondo volume delle fiabe grimmiane del 1914, non abbiamo da parte dei due presunti intervistatori notizie riguardo il suo stato sociale ed il suo livello di educazione.

Secondo Schenda, anche le Leggende tedesche, che furono pubblicate nel 1816, provengono da fonti a stampa o comunque scritte. Infatti, “là dove la loro origine è indicata come orale -precisa Schenda – si intende semplicemente che un collaboratore in una comunicazione scritta ai due fratelli aveva espresso il parere che quella particolare storia fosse stata raccontata da qualche parte e in qualche momento nei dintorni della sua zona” (op. cit. p. 78). Pur obiettando le teorie romantiche, secondo le quali, fin dall’età pagana, la narrativa popolare sarebbe nata dalla trasmissione orale degli strati sociali inferiori, Schenda riconosce ai Grimm il merito  di aver creato “piccoli poemi letterari in prosa”. Individuando i valori culturali delle popolazioni rurali analfabete, secondo Schenda, i Grimm “collaborarono alla ricostruzione, che allora sembrava necessaria, di un comune passato di storia nazionale per tutti i membri dei piccoli stati tedeschi” (op cit. p. 79).

Oltre alle fonti orali, i Grimm attinsero al repertorio già esistente di fiabe letterarie e lo rielaborarono secondo criteri stilistici propri. Naturalmente, conoscevano Le piacevoli notti  di Straparola, Lu cunto de’ li cunti di Basile, Le contes de Ma mere L’Oye di Perrault, testi che leggevano in lingua originale.

L’opera e la sua fortuna

Le sette le edizioni che ebbero le Kinder und Hausmarchen durante la vita dei Grimm presentano delle differenze sostanziali. Esse non riguardano solo la struttura ed il numero delle fiabe, soggette a  continui ampliamenti, variazioni, interventi che inizialmente furono dei due fratelli, poi, solo di Wilhelm. Lungo questo iter editoriale, che va dal 1812 al 1856, alcuni racconti furono addirittura eliminati. Il titolo, che letteralmente significa Fiabe per i bambini e per la casa, traduce la concezione dell’infanzia di Jacob Grimm.

“Il primo volume – ci informa Calvino – uscì nel 1812 a Natale, con una vignetta (disegnata da un terzo fratello Grimm, Ludwig) in cui un angelo custode appariva a fianco del cerbiatto e della bambina di Fratellino e sorellina, dando un suggello cristiano alle metamorfosi pagane del testo […]” (Calvino op. cit. p.89).

Sebbene i Kinder-und Hausmarchen non fossero destinati originariamente ad un pubblico infantile, tutte le edizioni dal 1819 in poi si rivolsero esplicitamente ai bambini, ed in questo senso possiamo notare una certa evoluzione del concetto d’infanzia e dell’importanza del ruolo sociale e letterario dei bambini come fruitori di fiabe nella società del tempo. Lo spostamento di destinazione è dovuto a Wilhelm che, avendo preso in mano le redini della raccolta del 1819, vi introdusse ulteriori cambiamenti affinché i racconti si adeguassero alla sua immagine dell’infanzia e esercitassero quella funzione pedagogica che egli attribuiva ad essi. Il pubblico borghese accolse questa iniziativa con tale entusiasmo che da quel momento in poi la raccolta grimmiana divenne una vera e propria istituzione nazionale, attraverso cui i bambini di molte generazioni assorbirono valori basilari della cultura dominante.

La fortuna dei Kinder und Hausmarchen, in realtà, fu duplice. Sulle tracce delle fiabe grimmiane, adattate e tradotte in tutte le lingue, si sono mosse, generalmente, le numerose raccolte di fiabe per bambini che hanno affollato il mercato editoriale a partire dalla seconda metà dell’Ottocento. Ma c’è di più. L’opera dei Grimm, considerata documento folclorico di altissimo livello, aprì la via alla “novellistica popolare comparata. Durante tutto il secolo migliaia di ricercatori illustri o oscuri seguirono l’esempio dei Grimm, e registrarono i racconti della tradizione orale dei loro paesi, nelle lingue e nei dialetti d’Europa” (Calvino op. cit. p.87).

 

 

4 pensieri riguardo “I fratelli Grimm e la tradizione fiabesca come Volksgeist

  1. Molto interessante, soprattutto per uno come me, che ha tratto ispirazione dal saggio “Sulle fiabe” di J.R.R. Tolkien.

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