Domenico Calcaterra, Niente stoffe leggere, Meligrana – Priamo 2013

Domenico Calcaterra, Niente stoffe leggere, Meligrana Editore 2013
Domenico Calcaterra, Niente stoffe leggere, Meligrana Editore 2013

Di SONIA CAPOROSSI

La peculiarità della critica militante, il quid attraverso cui è possibile fornirne una seppur vaga definizione primigenia, è quella di gettare un occhio ermeneutico più o meno penetrante all’interno della letteratura contemporanea battagliando sulle pagine delle riviste e dei giornali di contro all’opposto modello pratico della critica accademica che invece, per definizione, s’attiene all’analisi della letteratura del passato ed opera nel più elitario ambito delle ricerche universitarie. Eppure, come anche in Critica Impura andavamo dicendo tempo addietro, ormai la definizione appare sinceramente superata, non tanto perché s’è reso nel frattempo evidente quanto i confini fra le duplici possibili istanze definitorie si sia reso evanescente giacché, e lo si diceva anche in tempi non sospetti (prima del phainomenon TQ insomma), i militanti ad altro non aspirano che a divenire accademici tramite l’esercizio della conclamatio (ma com’è noto, presso i romani tale pratica apparteneva all’orazione per i defunti); quanto perché, a scribacchiare ovunque, sulle riviste e sui lit – blog, diciamocela tutta, c’è chi si arrischia per proprio esclusivo tornaconto (sull’onda del desiderio irrefrenabile del divenire bello di fama e di ventura), e c’è chi invece ci si mette per pura lena, amor di scienza, passione Perpetuae et Felicitatis (se al di là dell’agiografia paleocristiana mi si consente il solito sibillino calembour), a rischio di sembrare presenzialista anche laddove è invece il lavoro critico come urgenza intestina a manifestarsi in sé, a mo’ di possessione satanica, in tutta la sua incorreggibile, veemente,  intrinseca necessità.

A quale di queste categorie appartiene la figura di Domenico Calcaterra, critico letterario e dottore di ricerca in quel di Sassari? A quella, certamente, della terza via, giacché tertium datur in barba ad Aristotele, eccome. Il nostro scrive infatti, all’interno della premessa al suo Niente stoffe leggere (Meligrana – Priamo 2013), che occorre, per esser critico, predisporsi senz’altro alla fuga. Ma alla fuga da chi, da che cosa?: “Dagli asettici notomizzatori, i verificatori in camice, gli ordinati compilatori di referti; dal lazzaretto parassitario degli specialismi, dai gelidi pirotecnici furori filologici, dagli ottusi scienziati di professione. Epperò: verso dove? Di quale tensione è pregno quel perentorio accenno di potenziale e dinamico scatto, prima ancora che esso si compia? Il desiderio fortissimo di un ricongiungimento, l’appassionato bisogno di ritornare alla vita; volontà di strappare l’arte, la letteratura, dal proprio orto concluso, in apparenza autoreferenziale, restituirla all’endogeno magma che l’ha generata. Non ho mai smesso di pensare l’attività del critico nei termini di un simile e decisivo tentativo di risalire la corrente: «rifare la strada» – ha scritto da qualche parte Debenedetti. Vissuta come atto di fede “protestante”, la critica rivendica le ragioni della letteratura che sono, in uno, quelle della vita”.

Ecco allora la novità: càpita che Calcaterra s’autoattribuisca la nomea di “critico militante” quando invece agisce ed opera come un vero e proprio critico impuro: egli, e lo dico sorridendo, prende una specie di abbaglio su se stesso. Della critica impura in senso notorio gli piacciono infatti l’indipendenza, l’onestà intellettuale, la posizione schietta di alcuni punti fermi metodologici che dichiaratamente condivide e mette in atto, come ad esempio la centralità del testo e l’impostazione del critico che è anche e soprattutto, contemporaneamente, lettore. All’interno di questo volume antologico, che presenta i propri lavori recensorii e critici via via pubblicati negli ultimi due anni su riviste e su blog letterari come Segno, Narrazioni, O.b.l.i.o, Sul Romanzo, Il Paradiso degli Orchi, FuoriAsse, Letteratitudine Lankelot, Il Recensore, Nazione Indiana, il piglio è sempre indagatorio, vi traspare il “corpo a corpo con l’autore” di blanchotiana memoria, sia che esso metta in atto panoramiche sullo stato dell’arte sia che si periti di recensire più settorialmente questo o quell’autore; e, nella fattispecie, i suoi interessi chiarificano a tutti la levatura delle indagini conoscitive incentrate su autori o critici come ad esempio Tonon, Consolo, Perriera, Borgese, La Capria, Di Paolo, Cappelli, Vettori, Schields, Ottaviani, Trevi, Permunian, D’Amato, Targhetta, Giglio, Martorani, Morandini, Zumbo, Orecchio, Ferlita, Nothomb, Williams, Baldacci, Manacorda, La Porta, Onofri, fra gli innumerevoli citati ed esaminati all’interno del volume.

Si tratta, insomma, del delinearsi passo passo di “una precisa idea di critica vissuta come speciale avventura di costante agnizione, piena restituzione di cittadinanza al critico-lettore”, come scrive l’autore stesso nelle note conclusive dell’opera, alla cui prassi ermeneutica, già matura e feconda, si accompagna uno stile scrittorio a volte un poco desueto (gli “in ispecie” e gli “epperò” fanno tanto retrogusto crociano!), ma comunque efficace e centrato, ricolmo di sagacia critica e di metodo, cosa peraltro rara in tempi in cui di norma basta scrivere qualche recensionuccia sul web per dichiararsi critico. L’importante, in critica letteraria, è pur sempre andare al punto.

  • Domenico Calcaterra, Niente stoffe leggere
  • Meligrana – Priamo Editori
  • Aprile 2013, pp. 127, ebook, euro 3,99

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