Il senso della domanda: Heidegger e la pietà

Martin Heidegger in una foto giovanile

Di MASSIMO MARASSI*

«Das Fragen ist die Frömmigkeit des Denkens» (1). Ogni questione attesta uno stato di mancanza, la finitezza in cui versa il soggetto che pone la domanda, il pensiero che è tale soltanto se depone un sapere compiuto e intende colmare un’assenza. Dalla modernità la cesura tra soggetto e oggetto domina la rappresentazione del mondo. Non solo l’uomo chiede, ma l’intero mondo in cui egli è gettato prende nella sua estraneità e distanza forma di domanda, la realtà esterna delle cose passa attraverso la forma interna del pensare e del dire.
È nota l’importanza con cui Heidegger riveste il domandare, una delle forme con cui la pietà appare, giunge al pensiero e guida l’azione. Qui la Frömmigkeit, originariamente radicata in un atteggiamento di fede, rimane declinata in un’accezione originale e l’uomo stesso trae la propria singolare specificità, rispetto agli altri esseri viventi e agli altri uomini, per la capacità di porre particolari domande. Senza considerare la complessa e lunga produzione di Heidegger, è sufficiente considerare un testo che per la sua collocazione storica riassume i guadagni di Essere e tempo, risente del nuovo pensiero dei Contributi e testimonia l’attenzione poi rivolta alla poesia, al linguaggio, alla differenza. In tal senso l’intera Introduzione alla metafisica (1935) svolge tale compito, si apre e poi continua a reggersi esclusivamente su una domanda: «Perché vi è in generale l’essente e non il nulla?» A partire dai Principi della natura e della grazia (1714) (2) di Leibniz, è possibile derivare la «domanda metafisica fondamentale» e Heidegger giustifica questa affermazione di principio sostenendo che la questione metafisica sorge dalla meraviglia di fronte alla totalità degli enti come pure dall’angoscia quando sembra venir meno la consistenza delle cose. Non qualsiasi domandare, dunque, attesta la pietà del pensiero, ma soltanto quando il pensiero sorge da una domanda prima, da una sorta di protologia in cui esso stesso prende forma, che è prima non per gli effetti che produce, ma perché radicata nei principi primi della realtà. La domanda è suscitata da una presenza (An-wesen) che mantiene in sé il tempo passato e si volge verso il futuro. Essa è infatti la più «vasta», confinando proprio con il nulla, la più «profonda», volgendosi a un fondamento così primigenio da risultare senza fondo come un abisso, e infine è «originaria», dato che riguarda l’orizzonte della totalità che comprende anche gli uomini che pongono la domanda: la questione posta da Leibniz, per il suo rango e intensità, resta definita da Heidegger come la domanda filosofica per eccellenza.
Molti lettori si sono confrontati con queste prime pagine di Introduzione alla metafisica. Resta da trarre una conseguenza da tale ricostruzione: ciò che contraddistingue l’uomo nella sua essenza non è tanto la razionalità, come una caratteristica che eccelle rispetto alla produzione simbolica, alla dimensione politica ecc., bensì il domandare, che assume la forma incisiva e contratta del «perché il perché?». In questione non c’è la realtà considerata nella sua fisicità, qui regna la physis e la forza incoercibile della vita, ma quando sorge la domanda che chiede le ragioni del darsi delle cose ecco che nella storia fa irruzione l’evento del loro apparire e della loro comprensione.
Ci accorgiamo così di uno scarto tra l’apparire delle cose e il chiedere ragione, e la domanda si colloca appunto in questo scarto, o come Heidegger lo chiama nel «rischio», nel «salto», nel «pericolo». Non è superficiale questa indicazione perché è proprio questo domandare nel «salto» che fa sorgere l’esigenza del fondamento abissale come origine da cui proviene la totalità, l’orizzonte degli eventi. Da questo punto di vista la filosofia stessa resta caratterizzata non genericamente, bensì secondo modalità distinte e precise. La filosofia si pone come una forma di sapere autonoma e realmente creatrice di mondi, capace di conferire alle cose la loro giusta misura e la loro posizione nel mondo, non sceglie soluzioni facili ma quelle che rendono l’esserci storico degno della grandezza per la loro difficoltà, può sembrare un sapere a prima vista inutile, ma rende l’uomo degno della vita. La filosofia – Heidegger richiama Nietzsche – invita l’uomo a interrogarsi su ciò che è straordinario, su ciò che è fuori dall’ordinario (3) e il termine Dasein significa appunto quell’ente in grado di porre il problema. Non si tratta di trovare risposte a tutti i costi, ma di comprendere su che cosa il chiedere deve esercitarsi come pietà, per che cosa e da che cosa la domanda è mossa a pietà. La pietà si volge al passato,
a ciò che siamo stati; l’esistenza, nel domandare dell’essere, si apre all’altro a cui deve la possibilità di esistere. Chiedere vuol dire sapere ascoltare il passato nella sua alterità, ma anche un sapersi ascoltare, un chiedere per ritrovarsi nella storia della propria finitezza, nella condizione di estremo bisogno di chi non riesce più neppure a riconoscere il proprio bisogno. La domanda, e quindi la pietà, sorge da questa necessità patita dall’esistenza di un essere che è stato e che continua ad accadere nel suo sottrarsi, nel suo restare via dall’apparire.

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(1) Heidegger, M. (2000), Vorträge und Aufsätze, a cura di F.-W. Von Herrmann, Gesamtausgabe, Bd. 7, Klostermann, Frankfurt am Main; tr. it. Heidegger, M. (1976a), Saggi e discorsi, a cura di G. Vattimo, Mursia, Milano. p. 36; tr. it. Id. (1976a), p. 27: «il domandare è la pietà del pensiero».

(2) Leibniz, G.W. (1960), Principes de la Nature et de la Grâce, fondés en raison, in Id., Die philosophischen Schriften, hrsg. v. C.I. Gerhardt, Olms, Hildesheim; tr. it. Leibniz, G.W. (1988), Principi della natura e della grazia, a cura di D.O. Bianca, in Id., Scritti filosofici, UTET, Torino, p. 278 (§ 7).

3 Heidegger, M. (1983), Einführung in die Metaphysik, P. Jaeger ed., in Gesamtausgabe, Bd. 40, Klostermann, Frankfurt am Main 1983; tr. it. Heidegger, M. (1972), Introduzione alla metafisica, a cura di G. Masi, Mursia, Milano, p. 15; tr. it. Id. (1972), p. 24.

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* Estratto da Sui molteplici usi della pietà di Massimo Marassi, pubblicato in “Bollettino Filosofico” 31 (2016), pp. 195-215.

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