Ebraismo e cristianesimo: il tempo della Storia

Il Muro del Pianto

 

Di VLADIMIR D’AMORA

La Torah è il Libro Ebraico – in greco libro è appunto… Bibbia – in latino Liber dice tanto Libro quanto Libero: si tratta, quindi, di una doppia vincolarità: il libro è voce scritta, cioè bloccata, vincolata a supporto, a una materialità; e, insieme, è tradizione, è una autorità, se non proprio un dogma inalterabile e immodificabile; e tuttavia proprio tale complexio, coappartenza del vincolare e dell’essere vincolato, libera: svincola: consente (a) una libertà certa: da accertare… Quale?

Si tratta della libertà della lettura, della interpretazione… Si è, dunque, liberi – solo – di leggere il libro della tradizione: di tradire la tradizione tramandata: alterare rinnovare modificare il passato: il già stato: come già scritto…

La Torah è una Legge: legame; e un legame può legare avvincere proprio perché è, esso stesso, legato: un legato: un mandato testamentario: eredità avvinta: legata ad altro, a quanto la precede come anche al suo stesso legare e avvincere.

La legge ebraica è, quindi, posizione, un blocco di crisi: è una custodia di divisione: un mantenimento, conservazione di alterazione tradimento superamento. Sicché questa legge > la Legge è sempre bi-unitaria: funziona sempre duplicemente proprio nella sua univocità, unitarietà, e mono-liticità: è una legge orale e una legge scritta: una legge pratica e una legge spirituale – legata e legante al Tempio, alla preghiera, al sacrificio, al comportamento morale e pratico; e consistente nei racconti, nelle parabole: tanto fissa fissata legale, quanto soggetta alle interpretazioni.

Sacerdoti e Profeti sono le due categorie: chiamate umane: le due vocazioni (sia intellettuali sia sociali: sia anche politiche), che gestiscono e organizzano e controllano la vita religiosa del popolo (ebraico): di una popolazione così messa in parte: partecipante di una partizione: di un’operazione di ventaglio di potenzialità; e disciplinare la possibilità – è leggere… Cioè: i rapporti interni alla sfera umana e quelli tra questa e la sfera divina – sono mediatori tra il popolo e Dio: come mediatore è ogni Messia, ogni Inviato da Dio: ogni personificazione dell’oggetto mediatorio: di Dio; e mediatore e messia è tanto il sacerdote quanto il Rabbi, maestro, quanto il Re, il sovrano; e per lo più questa sovranità è aliena agli uomini, invisa agli uomini, lontana dal popolo che sia il suo tutto: è una eccezione umana: una non-desiderabilità.

Dove vive, come si storicizza il popolo ebraico?

E’ gente semitica: una gente di deserto; quindi, la sua Legge è di deserto: è blocco del e nel deserto: il popolo ebraico è un popolo che resta: è un resto eterno di se stesso: è sempre quanto resta in un esilio: quanto del popolo fuoriesce, esce da una patria: da una posizione: da una cattività: da un vincolo – a una liberazione? A una libertà integrale assoluta?

Piuttosto: la libertà ebraica è una liberazione-da, cioè uno stare svincolato liberato sì, ma sempre comunque in vincolo con ciò da cui si libera, e sempre libero-di: libero di essere fuori-da: in esilio da: verso la Terra sì, verso la Patria sì, ma promessa: pattuita stabilita in un accordo con Dio: da Dio viene il significato e il destino: da un fuori contrattuale: da ciò viene la chiamata (significato e destino) del popolo ebraico…

Storicità radicale è, dunque, l’esistenza ebraica: l’esilio è storico: è la storicità – appunto da una radicale/radice: da una terra, da una città, un tempio, un tempio di pietra: da un blocco di patria: da una origine sempre perduta, sempre tanto stabile e fondata da andare proprio a fondo, da inabissarsi: da rendersi come-statica – a una radicalità/radice: terra patria spirituale, promessa, sempre attesa, sempre desiderata: attraverso il deserto: attraverso un elemento insieme volatile e stabile: insieme fluido dinamico e fisso inalterabile: la sabbia: da cui ci si vela, ci si ripara con la tenda, con la skené, la scena: con il velo. Quanto scherma l’origine tanto quanto la meta: rendendo invincibile insuperabile eterno l’esilio: la traversata appunto del deserto: della storia.

Nel deserto, nell’esilio, nella traversata storica: nella dispersione/Diaspora: nell’uscita dalla terra patria: dalla origine: dalla violenza, dalla sconfitta – il popolo ebraico ha una legge, insieme, stabile e dinamica: fissa e sempre rinnovata: il tempio di pietra, in muratura, si fa tempio velato: scena di tempio: scena di origine: si fa Libro: da leggere, quindi: da interpretare?

Quale elemento di novità si impone nel deserto della diaspora, dell’eterno esilio ebraico?

La novità è solo una ripetizione dell’origine: è una nuova cattività: una nuova prigionia: la dominazione romana ripete rinnova le cattività egiziane e babilonesi: si abbatte il tempio di pietra e si destina Israele al tempio spirituale, al libro – il libro antico, a sua volta, l’antica legge si rinnova: si altera: si fa nuova: il vecchio testamento, cioè il vecchio patto tra Dio e popolo, si trasforma in un nuovo testamento, patto tra Dio e popolo, ora tra Dio e Uomo: la legge, il patto, si spiritualizza: si fa sempre più volatile: sempre meno vincolante – sempre più interpretabile? Meno vincolante perché più leggibile? Più leggibile, cioè interpretabile?

Il profetismo ebraico, cioè la mediazione tra Dio e popolo gestita moralmente spiritualmente, prende il sopravvento sulla mediazione pratica concreta legale stabilita nel Tempio, nel sacrificio concreto e violento. Profeti e rabbi: gli interpreti della volontà divina – interpreti perché mediatori? – prendono il sopravvento su quei mediatori che sono re e sacerdoti – i messia spirituali si impongono su quelli legali – e Gesù è un messia spirituale, che tuttavia si radica storicamente: agisce praticamente concretamente come un messia legale: è Logos, Parola, che si fa Carne…

Storia e Temporalità, cioè l’immagine della vita ebraica, cioè umana…

La storia è in esilio, è un esilio: stare restare nell’Attesa.

Pure questa attesa vuol dire stare in vita: restare nella vita: nell’attesa della vita.

(Cristo è un profeta, un rabbi: è una rappresentazione: è un sacrificante simbolico: sacrificare simbolicamente è sacrificare un simbolo: sacrificare se stessi: rendere sacer se stessi: sacrum facere è sacrificare: rendere il sé allo stesso: ripetere una perdita, cioè: sacrificare è ripetere la crisi come un che di intoccabile: come un che di eccezionale: come un che di sempre ripetibile, cioè di alterato – sacrificare, quindi, è attendere… Cristo è mediazione vivente).

E si attende una vita persa, cancellata, sconfitta: si attende una generazione: si attende una nascita: si ri-nasce: si attende da un Dio un Dio: Dio è ciò da cui proviene Dio: la vita proviene dalla vita: la vita è resa alla sua ripetizione: è sacrificata: un Dio estraneo, lontano, inattingibile salva da una vita diminuita offesa: nella sconfitta si attende da Dio un segnale di rinascita: di vita: di rigenerazione: la vita è rimessa alla sua attesa: è una vita che soffre di vita: una vita porosa: una vita discreta: una vita alterata nella mancanza: doppiata – sacrificata: sacralizzata: vissuta – nei suoi vuoti: una vita, quindi, moralizzata: ritualizzata: mitizzata: interpretata: attesa: pregata: e si prega (un) Dio… – che si rifiuta.

Per ricordare, memorare, ripetere si accede alla origine, ossia alla scissione di origine, al taglio di nascita: le parti spezzate, i pezzi – disiecta membra… – di origine garantiscono e schiudono lo spazio della durata imperfetta: si itera solo ciò che si istituisce perché un’insorgenza è una diminuzione dell’originale: la copia è –  memoria di sacrificio.

Con la Promessa allocata, da sempre finalmente confinata, (si) finisce (nel)la Diaspora perché l’attesa si compie nella fine terminando: cozzando in un punto d’evidenza: di esposizione reale alla sua essenza, al possibile.

Finisce l’Esilio e inizia la Dominazione Romana, ossia inizia la Cattività per mano dei Romani da cui inizia la Diaspora: continua come celebrazione l’Esilio: l’uscita dalla cattività: nella storia delle chiusure di abbandono: dal Deserto, al Libro: al Ghetto, al Tempio – a Lager…

Inizia la seconda diaspora: e la diaspora è sempre seconda in un inizio… La seconda diaspora corrisponde al compimento della diaspora/esilio.

(Cristo come concentrato e concentrazione di mediazione, ed è una Complexio Mediatoria: patisce non altro che una azione mediatoria…).

La storia è il (suo) senso come Mediazione, ossia inizia e finisce e ri-inizia: la storia è uno scandalo – di interpretazione…

L’Evento è ciò in cui si ha Inizio e Fine e Ri-inizio; quindi: un evento mediatorio/epocale/storico-radicale – sempre una complexio sacrificale, cioè una coalescenza di attività e di passività… Ed è bi-unitarietà: ogni scena è una possibilità realissima, ogni origine è una realtà solo realmente schiusa… Quindi è un con-tinente l’evento storico: le dispersioni, le diaspore, gli esili sono immeritatamente giusti, sono una Vita che si chiude in resti irrisori, che non restano, se non come crisi – e restano: da Lager, al rischio di una Città doppia: israelo-palestinese: doppiamente ingiustamente inconsegnabile: una: un’altra: l’altra  Gerusalemme…

E perché continua-la-vita-della-storia: la Croce si erge, viene eretta, sollevata nelle macerie: chi invia è un dio minorato, un dio nell’evento: ciò che fonda, la Pietra, è una tenda, una scena, una sinagoga, che raccoglie: un’assemblea di veli, di volti e visi anche: di fattezze di circolazione di proibizioni: di dogmi:

ciascuno dei 3 è 1: il 3 è il rapporto nel suo stesso vuoto mediatorio: i 2 coincidono, decadono in una imperfezione di storia: in una circolazione spirituale: in una auto-combustione-incenerimento… Ciò che resta dell’evento è un’autoassunzione non di colpa, ma di colpevolizzazione – dell’altro.

 

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