Performatività del sacrificio: Oggetto e Immagine

Caravaggio, Il sacrificio di Isacco (particolare)

Di VLADIMIR D’AMORA

Il pensiero contemporaneo, le sue metafisiche immanentistiche, i suoi vestimenti narrativo-poetici: le sue pubblicità, sono veicolo di ana-oggettualismo: qui i soggetti si accartocciano in danze senza posture, in gesti senza maniere, in stili senza pellicole d’inezie e nel controllo più precario della propria fuga da scopi e mezzi che non siano altro che… scopi e mezzi. L’ana-oggettualismo, cioè si perde l’oggetto. Come è la gestione e l’esposizione di una perdita? Perdere l’oggetto corrisponde a tralasciare che possa perdersi ciò che non conti… Piuttosto: a perdersi è quanto, perduto, non fa che contare. Solo ciò che conta (vantaggio), si perde (svantaggio): qui la doppio-vincolarità è nella perdita stessa, nell’oggetto stesso, che retroagisce sull’oggetto del soggetto. Vero valore è non l’oggetto (un dio), ma la perdita dell’oggetto (morte di Dio): se è la morte di dio (del valore) il vero valore, allora non si può opporre alla morte di Dio/perdita dell’oggetto il suo recupero; ma c’è da risalire alla genesi, all’origine della morte di Dio, alla storicità radicale della perdita dell’oggetto/morte di Dio. E se l’oggetto vale proprio perché si perde, allora Dio, e ogni dio, ogni oggetto, è un evento, un fatto, anzi, una storicità: è la radice della storicità: e l’evento dell’oggetto/Dio che nella sua stessa natura è la sua stessa perdita, è un evento costituente un oggetto della sua perdita: il processo, per il quale c’è l’oggetto, (oggetto che è, quindi, prima del processo stesso), è un processo che è il valore in sé, cioè è una estasi: e una estasi non è uscita istantanea e attimale. ma è la durata stessa, dell’uscire, è la consistenza stessa, è l’essere, del divenire, del processo).

E se il processo è una perdita, e ogni processo è la perdita, e il processo è estasi e l’estasi è esposizione che dura in sé; allora, oggetto e perdita sono l’identità e la differenza loro: in una circolarità che è confusione non caotica, solo indistinzione, ma organizzazione gerarchica di livelli interscambiabili di focalizzazione onto-poietica: e se l’oggetto è la perdita stessa, e se la perdita però ha una sua propria consistenza e durata, per cui allo stesso tempo oggetto e perdita sono differenti e identici – allora, l’oggetto sta dentro alla perdita come lo spingere (far-uscire) la perdita al suo fuori: l’oggetto, e un dio, e ogni oggetto è un dio, come ogni telos: tutti i fini e tutte le fini, non è è trascendente ma è il fatto stesso della trascendenza: sia l’oggetto che la perdita non sono oggetti come irrelatezze e, quindi, relazioni: ma sono eventi: sono eventi di rapporto. E Dio, che è la sua stessa morte, non è un oggetto cosale ma è un evento, è qualcosa di storico, è la storia stessa. Ora-dove-quando-come: quale-evento-è-tale? Qui-e-ora non è evento che non abbia queste marche di evento: come se esistessero eventi così ma anche eventi non così. Quale evento è la radicalità, la radice stessa di ciò che è evento, di ciò che è la storia? La radice della storia è la sua perdita: e perdere la storia non significa che la storia finisce, ma vuol dire che la storia è i suoi significati, le sue immagini, i suoi simboli, i suoi pensieri – il rito, l’evento, l’azione, che è sempre nello spazio e nel tempo determinati, e che è sempre la sua fine, la sua cessazione, conclusione, la sua perdita: il rito è il suo stesso mito, significato: il simbolico, rito e mito sono una analogia…. L’azione è la sua stessa immagine, la sua stessa messa in scena – e a maggior ragione se il mito molto spesso è di segno opposto, è il significato opposto al e del rito.

Ora, geneticamente, originariamente, storicamente qual è quel dispositivo della perdita oggettuale che è il funzionamento di fatto e di significato, di natura e di cultura, quale macchina è il suo stesso funzionamento? Quale evento si eventua ripetendo non altro che sé stesso, trasformando, anzi, ri-formando la sua singolarità, istitutività eccezionalità, anomalia nella sua stessa normalità e iteratività e durata? Qual è l’evento, cioè, che ha la sua realtà nel suo simbolo, nel suo significato, nella sua immagine? Qual è l’evento che non accade prima e poi è una rappresentazione, un significato; ma accade proprio come simbolo, come scena, come rappresentazione?

E’ una scena d’origine che non è altro che un mettersi in scena dell’origine: è il sacrificio. Che è insieme identico e differente rispetto al suo oggetto, cioè la vittima: che vive non altro che la sua morte, la sua perdita, il suo significato, la sua simbolicità: che è la sua uccisione, la sua violenza. Perché il sacrificio è un facere un’azione (un rito), un evento, che è performativo, è la produzione di se stesso, è la sua ripetizione (appunto rituale: è il ritornare ciclico in cui ogni presente commemora in un adesso, in un oggi, ciò che è accaduto e si immagina che sia accaduto allora, all’origine), è la sua sacralità: la sua nota, è la sua possibilità di riconoscerlo, di distinguerlo, di saperlo, di pensarlo, rappresentarlo, immaginarlo dirlo poetarlo: di perderlo. Viverlo. Ogni fare umano (facere) è un sacrum-facere: sacri-ficio, e ogni sacrificio è la sua vittima, è il suo oggetto: ogni perdita è il suo oggetto e ogni oggetto è la sua perdita. Se la storia nasce, e la storia nasce ed è nata, ma nasce e c’è senza una ragione, che non sia la sua ragione, la storia della sua ragione, la ragione nella sua storia; allora, tutto ciò che accade dopo l’origine, tutto ciò che nasce ed è nato, ogni futuro e avvenire è la sua stessa origine. Prima dell’origine che è il primo, prima del primo, il primo del primo: c’è l’origine.

E l’origine è il suo originare, generare originati, nati, animali, viventi: è produrre storia, e la storia prodotta. E storia è sempre una scena dell’origine, scena che è la sua stessa ipo-tesi: la sua stessa finzione, la sua stessa produzione e riproduzione: la storia è il suo perdere storia: tempo. Storia è epoca: e epoca è fare violenza: sacrificare sempre x per y: produrre vittime. E insieme, è salvare le vittime stesse dalla loro insignificanza, cioè farle ri-sorgere. Rinascere: riperdere: riprodurre nelle loro perdite: nei loro oggetti. E farle risorgere significa darle alla scena-reale della loro morte, del loro sacrificio.

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