Michele Paoletti o la voce di un altrove materico

Di DAVIDE TOFFOLI

Michele Paoletti, “FOGLIE ALTROVE”, Arcipelago Itaca Edizioni 2020

Questa nuova silloge di Paoletti è poesia che punta dritto in una dimensione altra, nel medesimo istante origine e destinazione. Scrive Maria Grazia Calandrone nella sua prefazione: “Un altrove però decisamente materico e possibile, se la natura è qui padrona dei versi ed è metafora di quasi niente: è se stessa osservata”.

In apertura troviamo una citazione di Yves Bonnefoy, “Même au-delà du temps le jour se lève”, che spinge subito in una dimensione, quasi parallela, da favola antica. In questa logica si collocano anche i versi in esergo dello stesso autore: “…e saranno foglie altrove / sopra la terra, intorno / ai nostri corpi nudi. Foglie / spalancate dentro una stagione / viva, senza nome…”. L’elemento naturale fa da specchio al mondo e spicca, tra tutti gli elementi, il vento “tiepido di attese” che “odora di abbandono” e “si fa spazio”. Strada facendo, le foglie si staccano e volano appunto altrove. E poi gli alberi… Abeti su cui “S’incagliano le nuvole”, vivi e centratissimi in apertura di testo, per poi diventare “ricordo di fuoco” o legna accatastate. Trasudano attesa. Insegnano la morte come palestra di vita, come sacrificio necessario. “Le foglie lasciano scheletri / sottili tra la terra e i respiri / dei tronchi che fanno le pance più grosse / succhiando da sotto la crosta”. Una vertigine sconfinata ne accompagna il soffio vitale: “materia cruda, culla di germogli”. Gli alberi respirano insieme a noi, filtrano e attutiscono la luce.

La successiva sezione, Un inverno tardivo, sembra aprirsi nel sentore di un incombere cupo e il vento non è più il maestrale, bensì lo scirocco oppure la tramontana. Il colore prevalente è il bianco, di un foglio, del cielo o della neve. Anche in questo caso l’elemento naturale ha funzione primaria di specchio, segna e accompagna il passo. “Fuori i campi bevono la notte / mentre cerco di dare all’amore / la forma di una roccia”. C’è la primavera dietro l’angolo, con il suo reiterato e perenne miracolo: “Sono vivi i rami, le foglie / ripetono ogni giorno / il gesto di fiorire. Un miracolo / muto, inaccessibile”.

La luce nei cortili è poi sezione che recupera la semplicità originaria dell’infanzia, nella quale il vento spingeva forte sulle spalle e lasciava che tutto corresse. Andare avanti e indietro, procedere, “fare muro / al muro ostinato delle cose”. I cortili sono luoghi privilegiati, quasi presepi,veri e propri riti, dimensioni sospese nel tempo. Sono ricordo, fiore, luce, colore. Sono unità di misura per affrontare il mondo. “Esisteva soltanto la luce in quei cortili. / Noi, la polvere / e un gomitolo di ombre accanto al muro”. Sono uno spazio indelebile della memoria, nei quali si può respirare desiderio di spazio, libertà e senso di nido protettivo.

La quarta e conclusiva sezione, Seme che sorge, è tenera e determinata. “Sei parte di me che da me già si separa” è una pietra miliare, il punto di riferimento di un amore germogliato che prende forma di uomo. “Un seme che sorge ricorda il mondo / di un’estate prima. La terra ricoperta / di promesse, i fili d’erba conficcati in fondo / lo schiaffo del sole che ti mozza il fiato”. I versi qua sono trancianti, con delle chiuse di testo che restano in eco nella mente, in risonanza, resistono e danzano in testa: “Dentro avevi tutte le voci del mondo”, oppure “Non sapevi nulla e già mi conoscevi / per intero”, o ancora “Ti insegnerò un volo verticale / per distinguere le cose da lontano, / i portoni, il confine delle case, / il profilo di chi è rimasto a terra / accanto al muro”.

Chiude il libro la sezione Seme che sorge, al tempo stesso tenera e determinata, intima ed universale. “Sei parte di me che da me già si separa” è una sorta di pietra miliare, il punto di riferimento di un amore germogliato che prende forma di uomo. “Un seme che sorge ricorda il mondo / di un’estate prima. La terra ricoperta / di promessa, i fili d’erba conficcati in fondo / lo schiaffo del sole che ti mozza il fiato”. I versi sono trancianti, con delle chiuse di testo che restano in eco, in risonanza nella testa: “Dentro avevi tutte le voci del mondo”, oppure “Non sapevi nulla e già mi conoscevi / per intero”, o ancora “Ti insegnerò un volo verticale / per distinguere le cose da lontano, / i portoni, il confine delle case, / il profilo di chi è rimasto a terra / accanto al muro”. Versi che trasudano sogno, intimità, desiderio, riconoscenza, dubbio. Si respira soprattutto vita, che diventa corpo e voce: “E nella tua voce questo coro si spande, / una luce che non dice dove andare / ma benedice il nostro stare fermi / nel tempo a braccia tese / a chiedere ancora”.

Un libro prezioso. Fuori dal tempo perché prova e riesce a dare voce appunto al suo inesorabile e vitalizzante fluire. Voce di un altrove che è principalmente materia, perché ci assorbe, nitida e cristallina, con il suo semplice essere. Una prova matura, dal sapore di favola eterna. Insomma, senza troppi giri di parole, poesia.

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