Di ALVA NOE*
SIAMO IL NOSTRO CERVELLO?
L’assunzione posta alla base di buona parte dell’indagine scientifica dedicata alla coscienza consiste nel considerare quest’ultima alla stregua di qualsiasi altro fenomeno neuroscientifico. Essa accade dentro di noi, nel cervello.
Tutte le teorie scientifiche poggiano su assunzioni. È importante perciò che queste siano vere. In questo libro cercherò di convincervi che l’assunzione da cui muove la ricerca sulla coscienza è del tutto erronea. La coscienza non accade nel cervello. Questa è la ragione per cui non siamo ancora riusciti a dare una buona spiegazione delle sue basi neurali.
Francis Crick, vincitore del premio Nobel e co-scopritore della struttura della molecola di DNA, ha affermato (in un libro dal titolo The Astonishing Hypothesis, letteralmente “L’ipotesi sorprendente”, reso in italiano con La scienza e F anima): “Tu, la tua gioia e i tuoi dolori, i tuoi ricordi e i tuoi progetti, il tuo senso di identità personale e libero arbitrio siete di fatto nient’altro che i comportamenti di un vasto sistema costituito da cellule nervose e dalle molecole che le compongono”. Con una certa enfasi lo stesso Crick ha poi aggiunto: “Quest’ipotesi è oggi così estranea all’opinione della maggior parte delle persone che può essere certamente considerata sorprendente”.
Ciò che colpisce dell’ipotesi di Crick è che, in realtà, essa non è affatto sorprendente. Non è sorprendente affermare che vi è qualcosa dentro ciascuno di noi che pensa, sente, desidera e decide. Questa era la concezione già sostenuta nel XVII secolo dal filosofo René Descartes (latinamente Cartesio), per cui ognuno di noi sarebbe identico alla propria interiorità, la cui essenza altro non sarebbe se non la coscienza stessa. Ciascuno, secondo Cartesio, è un’interna res cogitans, ovvero una cosa pensante. Questa è anche la dottrina propugnata da molte tradizioni religiose. Certo, le religioni e lo stesso Cartesio non hanno mai detto che la cosa dentro di noi che pensa e sente è una parte del nostro corpo, un pezzo di carne, come il cervello. Hanno supposto che fosse qualcosa di immateriale, o spirituale, e dunque in questo senso qualcosa di non naturale.
Come potrebbe la mera materia (la mera carne) acquisire la capacità di pensare e sentire? Una simile possibilità appare inconcepibile. È precisamente su questo punto, e solo su questo punto, che le neuroscienze contemporanee rompono con la tradizione. Come ha scritto Patricia Churchland, tra i più importanti studiosi di filosofia delle neuroscienze: “Le evidenze
oggi disponibili conducono a identificare nel cervello, piuttosto che in qualche altro oggetto immateriale, l’organo che sente, pensa e decide”.
A questo punto, però, merita di essere evidenziato il fatto che i neuroscienziati, nel tentativo di superare la concezione tradizionale della coscienza, sono soltanto riusciti a sostituire un mistero con un altro. Al momento, riguardo al problema di come sia possibile che “un vasto sistema di cellule nervose e le molecole che le compongono” possano dare origine alla coscienza, non disponiamo di alcuna soluzione che sia migliore dell’ipotesi per cui occorre assumere l’intervento di un’anima sovrannaturale per spiegare questo mistero. Ciò equivale a dire che l’idea per cui noi non siamo altro che il nostro cervello non rappresenta un’ipotesi di lavoro, ma soltanto un suo surrogato.
Gli scienziati che si occupano della coscienza amano pensare di aver rotto i ponti con la filosofia; l’hanno lasciata alle spalle e si sono messi sul cammino della scienza. Come ha scritto Crick: “Nessuno ha ancora bisogno di passare il proprio tempo tentando di resistere al tedio provocato dai filosofi costantemente in disaccordo tra di loro. La coscienza è oggi chiaramente un problema scientifico”. Crick ha ragione quando sostiene che il problema della coscienza è oggi un problema per la scienza. Ciò non significa, però, che esso non rappresenti più un problema per la filosofia. Per un verso gli scopi della filosofia e della scienza non sono diversi: entrambe aspirano a raggiungere una migliore comprensione dei problemi che ci riguardano da vicino. Questo è solo l’inizio: sarebbe un errore pensare che le nuove neuroscienze della coscienza abbiano rotto i ponti con la filosofia o siano andate oltre essa. Di fatto, come visto in precedenza, Crick e altri hanno semplicemente dato per scontata la validità di una specifica famiglia di assunzioni filosofiche, al punto tale da non rendersene nemmeno conto. Ma che l’abbiano fatto è del tutto evidente. L’influenza perturbante di quelle assunzioni è riscontrabile in quella che possiamo caratterizzare come una sorta di concezione “gastrica” della coscienza; in altre parole, l’idea che la coscienza accada nella testa così come la digestione accade nello stomaco. Nella prefazione ho sostenuto che sarebbe un eccesso di ottimismo pensare che le nuove neuroscienze della coscienza siano in una fase precoce del loro sviluppo. Sarebbe più opportuno collocarle nella fase adolescenziale. Al pari degli adolescenti, anche le neuroscienze sono oggi prese dalla tecnologia; hanno un senso grandioso delle proprie abilità, ma mancano completamente del senso della storia di ciò che a loro appare così nuovo e interessante.
* Da Alva Noë, Perché non siamo il nostro cervello, una teoria radicale della coscienza, Raffaello Cortina Editore 2010.
L’ha ripubblicato su RIDONDANZEe ha commentato:
Gli scienziati che si occupano della coscienza amano pensare di aver rotto i ponti con la filosofia; l’hanno lasciata alle spalle e si sono messi sul cammino della scienza. Come ha scritto Crick: “Nessuno ha ancora bisogno di passare il proprio tempo tentando di resistere al tedio provocato dai filosofi costantemente in disaccordo tra di loro. La coscienza è oggi chiaramente un problema scientifico”.
Alva Noe
Infatti, chi ha detto che la Divina Commedia è un prodotto del cervello di Dante? Chi ci assicura che L’uomo senza qualità sia un’opera dettata dalla coscienza di Musil e messa sulla pagina bianca? L’arte moderna sta qui a ricordarci che ciò che facciamo è qualcosa di diverso da ciò che siamo…
Noè, ma lei non crede che c’è un accanimento feroce verso tutto ciò che si discosta dalla materia? Ma con che diritto possiamo ignorare che bensì ci sia un universo infinito, non ci sia altresì una coscienza che supera di gran lunga la carne? Cosa ne pensa lei? Naturalmente dovrò leggere il suo libro completo, forse le trovo le risposte che continui a cercare?