Foto di Nerina Toci
Di IANUS PRAVO
LA CLARTÉ
Oh la clarté.
La clarté.
Oh la clarté.
Der Trübung durch Helles.
La voix de oh la larme.
Sono un vecchio che lacrima
orina sulle mani per scaldarle.
Ho vent’anni e quattro tacche sul calcio della pistola
possiedo quattro servi quattro morti come quattro
evangelisti del sorriso.
Sono la sigaretta
ardendo
come un’aquila sulla preda.
A la luz del cigarro. A la luz del cigarro.
Il fumo per il Dio dalle aperte nari.
Pro aris et focis le dita ardenti.
Je suis ta viande nue oh.
La carne che vai a seppellire
la cera che ora ami.
Sono giunti i frutti del silenzio e l’azzurro
ne asciuga la polpa e la pietà impura che mi apre le
palpebre.
Pioggia gialla pioggia gialla più torrida della bocca, e
sulla conca del volto la vertigine del frutto azzurro
che non ha immagine e non ha senso e non ha l’ira
non ha la purezza di ciò che non esiste l’ho chiamato
all’esistenza e l’ho
abbandonato alla sua crudeltà,
un albero senza radici, Sozan Kyonin, foglie d’acqua foglie
gialle,
più in là l’azzurro, non una sola macchia nella luce, Tsugen.
Ah caminante, ah confusión de párpados.
Ho conosciuto Avghí K. a bordo del Kámiros mentre ero in
viaggio da Rodi al Pireo,
ecco nascono i ricordi di un Diagóras morto, morto di lei, morto
poi l’uomo
l’uomo che cerca mentalmente tra due fermate metropolitane,
Monastiráki e Molitor,
e poi un cappello, solo un cappello, dov’era, a Praga? in Zivkov?
P. L. spogliandoci per vomitare per vomitare nudi
nudi a risputare l’eroina il sangue
sul ventre bianco di Avghí che nominava le nostre bocche
(Dich nur
neigt zu mir hin,
was du geworfen).
womb
in english is a rhyme to tomb
corpo che possiede qualità
di disincarnazione e, congiunto
al denaro autoptico nell’Unto
Amante, ingiuria la libertà
dei riti e dei fieli, lo stilema
è calmo stilema in gestualità
al morbo, il corpo in nudità e aperto
sul portone, docile e servile, certo del biancore,
osceno, sincerità
e già
le ferite non risplendono
oscillando fredda la scevra figura
in mani svogliatamente numinose,
la tua scarpa scalzata, il gas di un’auto in volute
dense nell’acquerugiola.
Per potere posso, ma per capire no,
Kratu (sanscrito) intelligenza Krátos forza che lega
e né la più alta delle aquile il più profondo dei cadaveri
pur lento lento lento si avventi fuori dalle radici che gli
scorrono
sulle ossa e le fanno splendere come un’aquila sulla
preda serena come uno spirito di ferita e di tempo
non esse praecisa non esse praecisa non esse
dei nomi che gridano sui corpi,
nel lento verde, il caule
arcuato in un ventaglio laminare dalla vetta delle palme a
sopportare
le esigue fibrillazioni per una brama di respiro ed erba
quieta:
caute fiamme nell’oziato talento dello spleen,
Sabra e Chatila nell’ottantadue e gli occhi di Jean Genet,
ricordo il corpo morto e il corpo amato
prendono in sé le medesime pose
spezzate a un’arresa oscenità. Metá ( in greco) ma non dopo,
insieme in mezzo inoltre.
L’amore è osceno (l’osceno è ciò che rimane negli occhi
come una pioggia di sale sodomitico dopo la vendita della
visione).
L’amore osceno è una transazione tra la scena e la luce,
tra l’immagine e l’occhio, ob scaenam Virginem.
Disporre a nudità il possesso
ammaestra a dormire il sonno lugubre
di chi, tuttavia, non ha stanchezza,
la carne transitata a deporsi
in un lavacro d’ocelli tra
le pleiadi dei fiati,
i corpi smorzati nel sonno,
aperti e osceni come nella morte,
nel lungo spillo che li fissa
eterni, emostatici, in un cielo di
nudità.
(Metá, far crescere la morte con lo sguardo).
In cambio della scena oh la larme un’immagine oscura
una non immagine è la transazione del vedere e l’osceno
ne è il compenso.
Morti come luci di bellezza sul Dio
morti come luci di bellezza sul Dio
morti come luci di bellezza sul Dio
morti come luci di bellezza sul Dio
morti come luci di bellezza sul Dio
morti come luci di bellezza sul Dio
morti come luci
di lentezza e bellezza sul Dio.
Scatta la foto, Cartier-Bresson, ma nessuna sommità
pontificale o
pontifecale tra l’immagine e l’occhio, tutti i ponti
di Londra o di Mostar sono crollati
e la scomparsa liba le sue labbra sulle lame ciliari
e l’occhio sbatte la palpebra contro il compenso della
visione venduta
contro il corpo osceno dell’amore.
Il frutto dell’aquila è maturato sul ventre,
bianco come la ferita e il tempo
azzurro come la mano
la mano azzurra che conduce al sonno
all’inverno ardente che riunisce le perfezioni del calice e
della latrina
le calcinazioni del tabacco sugli animali del limite
il limite perfetto che attraversa le ossa.
Il frutto dell’aquila è inapparente e si alza sugli occhi
come una voce incerta dall’oscurità che la staglia
nella traiettoria del suo venir meno.
A la luz del cigarro bellezza insufficienza
d’immagine la pornografia di un morto che vedi
la Vénus des Médicis et la Vénus des médecins che vedi
nel tempestoso Egeo in grembo a Teti
nell’acquietato lembo di terra nel sole dell’Auschwitz di
Sabra
come il più lento e il più disfatto coito col dio che vedi
con i tuoi occhi senza vederlo.
Domani domani da Shamash
avremo una buona nuova, la maschera di Huwawa
ha rifatto la bocca, la chirurgia dell’urlo ha fatto
della bocca un urlo di pietra,
una montagna vuota in cui annida la mano di cera,
la mano a pioggia di cera
e questa pioggia gialla questa
pioggia mancata da ogni aurora, che lava
la carne lasciandola intatta, cosí
cosí votata all’insepoltura
al non ricordo Pizia
je suis ta viande nue oh
la cera che ora ami.
(Da Il cervo giudicato, inedito)
Ianus Pravo è nato a Treviso, ha vissuto la maggior parte della sua vita a Barcellona, in Spagna. Ha pubblicato, tra gli altri, i volumi di poesia, in lingua spagnola: “Mudrà”, El Caracol Nocturno Ediciones, Zaragoza, 2003. “N. S. A.”, El Caracol Nocturno Ediciones, Zaragoza, 2004. In lingua italiana: “Senz’arma che dia carne all’imperium”, con Leopoldo María Panero, SEF edizioni, Firenze, 2011 – versione spagnola: El Ángel Caído Ediciones, Las Palmas de Gran Canaria, 2015). È tra gli autori inclusi in “Poeti della lontananza”, a cura di Sonia Caporossi e Antonella Pierangeli, Marco Saya Editore, Milano, 2014). Ha tradotto in italiano, di Leopoldo María Panero: “Narciso nell’accordo estremo dei flauti”, Azimut Editore, Roma, 2005. “Dal Manicomio di Mondragón”, Azimut Editore, Roma, 2007. “Peter Pan non è che un nome”, (con Sebastiano Gatto), Poesie 1970-2009, Il Ponte del Sale Editore, Rovigo, 2011. “Il cervo applaudito”, EDB Edizioni, Milano, 2013. Ha avuto il Premio speciale del Presidente delle giurie a “Bologna in lettere 2021”, per la silloge “Segno e ventre”. Ha partecipato come autore e attore ai mediometraggi “Banned” (2013) e “Estantigua” (2014), con la regia di Irada Pallanca, NOoN films.