Di DAVIDE TOFFOLI
Luisa Trimarchi, “VERSI DELLA DIMENTICANZA”, Transeuropa ed. 2020
Un libro articolato e complesso, l’esordio poetico di un’autrice che evidenzia una grandissima dimestichezza con la parola e che sembra raccogliere i frutti di un costante lavoro di immagazzinamento, di lettura e di ascolto condotto con cura negli anni. La sua voce riesce ad essere leggera e potente, ammaliante e senza scampo, a farsi seguire nei meandri più complessi dell’anima e a cercare di risolvere gli intricatissimi grovigli del corpo.
La prima sezione, VERSI MARINI (di quello che non so – dal lago al mare), dedicata A te – che non torni più, è impatto che invoglia immediatamente a scoprire l’evolversi naturale del verso: musicale, quasi a due velocità che sembrano rincorrersi e infrangersi a fine corsa, proprio come mare sugli scogli: ‹‹Compongo invece piano e intreccio / nodi e sciolgo matasse costruendo / tappeti di storie che sono intarsi – / dorati – su strade che come la nostra / si sono solo sfiorate – come in un sogno – / segreto – senza macchiarsi mai della vita / quella vera››. Sono versi che rispettano e che evocano una armonia interiore che trasforma la materia-parola, versi che sono voce che chiede amore (‹‹Che qualcuno tocchi la mia voce – / la accarezzi – lieve – come solo una / voce così vibrante va toccata››). Una splendida ‹‹anomalia›› che evoca un amore ‹‹che ha tradito›› e dove ‹‹Tutto – attorno – è già fuoco e fiamme e / brandelli d’occhi che hanno visto un / tempo››. Versi e parole che hanno il potere dell’acqua, che segna e che marca il confine sulla battigia. Sono schiaffi, già nel leggerli. Sono mancanze vivificanti. Flussi. Cadute. Movimenti sinuosi che si propongono come insieme e, al tempo stesso, come parte singola di un disegno complesso (‹‹L’uomo si contorce contro / le passioni – che sfrenate – lo / logorano come un sasso levigato››). L’amore è motore e forza aggregante e ‹‹il poeta crede all’amore più che al / pane – più che al grano – più che a / coloro che contano – sulle dita / di una mano – credendo che sia cosa / vera››. Incombe il mare, la parola che sia lascia trovare. E torna costante lo schiaffo delle onde che si infrangono (‹‹Nel mare petali sparsi / e tu non mi guardi – / il rosso come il sangue / si mescola all’azzurro››). Sono versi che ospitano tracce di bellezza sfiorita e tracce di un taglio profondo, di una lontananza, di una ferita.
La seconda sezione, VERSI DELLA TERRA (dal mare alla pianura – di quello che si impara nel fango), è dedicata stavolta A te – che inciampi e sai rialzarti. Difatti ci si rialza, dopo aver scavato nel fango e con dolore nella terra. C’è molta materia, quasi un pantano che impedisce il cammino o quantomeno un procedere facile. La parola fa i conti con la terrestrità più profonda, anche con l’esperienza della morte, che può essere separazione definitiva persino da sé: ‹‹si muore – infine – / seppure vivi››. È dal sottosuolo che si approda ad una possibilità di resurrezione laica del corpo (‹‹Nel sottosuolo della terra il significato / segreto della parola oscura trova la / strada per risalire e dire – infine – libertà››). Ecco che i versi della Trimarchi diventano padelle che friggono, rami spezzati, sputi e strappi, fame d’amore, ma la terra sa essere madre (‹‹La terra mi farà sbocciare – inaspettata / come un profumo che non ricordavi più››) e genera passaggi morbidi ed avvolgenti: ‹‹Toccami e piegami e fammi tacere – / muta – ma mai sorda – capace di ascoltare / parole nuove che si mescolino all’odore / selvatico della terra – che bagnata – brilla››.
La terza sezione, VERSI – BLU – DELL’ODIO (quello che non si vede con lo sguardo – rivoltato – nel cielo), è dedicata A te – che ancora speri e si apre nel segno dell’importanza del narrare, del raccogliere storie, del persistere della parola: ‹‹Nel blu – l’unica parola che lega / la vita alla terra – saltando dal fosso / al sasso al seme che germoglia e vive››. Sono versi che hanno la corporeità fluttuante della musica, il dono del suono delle storie accompagnate. Ogni parola, a casa, ‹‹diviene solitaria – rassicurante e piana››, ma l’incanto di ciascuna ‹‹si compie sulla pelle››. ‹‹Ti ho trovato – finalmente – sotto al tavolino / ero lì da tempo – ne conoscevo gli angoli / oscuri – i silenzi – i sussulti spaventevoli››. Un’osservazione specifica merita la frammentazione del verso che origina una sorta di lettura poliedrica, quasi un immaginario cubista, dove tutto sposta seppur leggermente la lettura di ciascun passaggio e di ciascuna parola. C’è un qualcosa di profondamente materico in questo lavoro sul verso della Trimarchi, come se ogni piccolo stacco fosse funzionale, come un colpo di scalpello ben assestato per originare una precisa forma impressa sulla pietra grezza. L’effetto più suggestivo si ha quando il verso è più disteso e meno verticale, seppur frammentato nella caduta necessaria.
La quarta sezione, VERSI DEL CORPO – OLTREPASSATO (per chi osa incamminarsi oltre la linea di confine del mare – del cielo – della terra – per giungere – infine), è dedicato in questo caso A me, che sono in viaggio. Ci si muove, se dotati della fantasmagorica ‹‹chiave››, tra ‹‹grumi di stelle / grammi di sangue / pezzi di figli (…) / Perché l’amore si fa / nel silenzio dei cieli / e nei respiri lievi››. È una dimensione quasi onirica, leggera e profonda in maniera più intensa; si passa da sensazioni di paura alla ritrovata quiete delle favole. ‹‹Vetri rotti e denti / aguzzi che squarciano / carni e gesti posseduti. // La bambina è infine / infranta – non più / infrangibile – fragili / frantumi di porpora / luccicante mista a / brillante polvere / d’oro e d’argento. // Vola via – libera / finalmente incorporea – / anelito di una pace – / antica – come le favole››. Il resistere, lo stare al mondo è un viaggio, in cui ‹‹Diverremo – infine – grandi / in nome di un amore perduto / come si perdono le chiavi / di una casa costruita insieme››. Ogni passaggio è una rinnovata presa di coscienza (‹‹Cessa per un istante di / vivere – attraverso – e / vivi dentro – fra te e te››. La chiusa è la splendida Insieme, che Io e Tu si stringano per un istante, per farli poi volare via insieme.
La sezione conclusiva, VERSICOLI AL VELENO (sotterrandomi – tra me – e me), è dedicata A te, che sai andare. C’è paura, maceria, vita spezzata, ossessione. Si respirano atmosfere dell’ultimo Caproni, essenziale, spietato, puntualissimo nel fare fuoco su una preda che, in fin dei conti, lo insegue e lo incalza. Quello che, per intenderci, spara alla Bestia scoprendo di sparare contro se stesso. Il libro si chiude, sintonizzato su frequenze simili, culminando in versi asciutti, disarmanti ed emblematici: ‹‹Nulla salva chi non si salva / da sé. // Ebbene – io mi salvo da me – …››. Senza più paura. E senza scampo.