Il ritorno di Democrito: schizzo per una rinnovata impostazione della storiografia filosofica 4/5

Di LUIGI CHIAPPINELLI

L’UMANESIMO E IL RINASCIMENTO

Nel periodo umanistico-rinascimentale si pongono le premesse delle grandi rivoluzioni scientifiche e filosofiche del sec. XVII.

La riscoperta del mondo classico non ha sapore e significato archeologico, bensì dinamico, ed è vissuta soprattutto come agone, potenzialità, sulla base della conoscenza di esso, di attualizzarne e superarne i tratti che rifondano la “humanitas”, fino a sfociare nella celebre “querelle des ancientes et des modernes”.

In questo periodo si slargano a dismisura le proporzioni del mondo fino allora conosciuto: Colombo scopre un nuovo continente, Copernico sostituisce all’ipotesi geocentrica del sistema tolemaico quella eliocentrica. Ma la percezione dell’imponenza di queste scoperte, e i loro effetti sconvolgenti su ogni piano della Weltanschaung incontreranno fiere e lunghe opposizioni prima di essere accettate anche da parte delle elites intellettuali.

Con Leonardo si esprime al massimo fulgore lo spirito del Rinascimento. Profonda osservazione ed analisi del reale, grandiosità nell’invenzione, poliedricità degli interessi ne fanno il simbolo più alto di quest’epoca che mette l’uomo al centro dell’Universo.

Quanto alle opere più importanti del Machiavelli, il Principe e i Discorsi sopra la prima Deca di T. Livio, appare singolare che esse siano state composte nell’arco di anni compresi fra il 1513 e il 1520, quando, dopo la caduta del governo democratico del Soderini, la restaurazione medicea pose fine alla carriera pubblica dell’autore (un caso ancora a conferma della tesi che nella creazione del pensiero si sublimano le energie dell’individuo quando trovano chiuse le porte all’azione). La concezione politica del M., la prima in senso moderno, è costellata di “eroi” (e l’eroe è il rappresentante eccelso di una humanitas protesa all’azione ispirata da motivazioni opportunistiche e utilitaristiche, lontana ormai dai postulati fondamentali del Cristianesimo) e si basa sui concetti di “virtù” – che si potrebbero definire “le qualità proprie dell’eroe” – e “fortuna” – che si può assimilare a tutto ciò che la ragione umana non può prevedere e fronteggiare: temi questi ultimi tipici della meditazione degli uomini di pensiero rinascimentali.

Per quanto attiene alla spietata concezione della politica nel M. (“Non partirsi dal bene, potendo; ma saper entrare nel male, necessitato”), bisogna tener conto che essa era adeguata alla ferinità oggettiva della politica cinquecentesca: e a ragione è stato osservato che fino a Manzoni – Hegel il volgo è una res, oggetto passivo della Storia.

Il naturalismo – per cui l’uomo è considerato a prescindere da ogni sovrastruttura ideologica o religiosa – è proprio del Rinascimento ed è conquista critica rispetto al fervore giovanile ingenuo e piuttosto letterario degli Umanisti. La rinascimentalità del M. sta nel richiamarsi a Roma – e nella condanna del M. Evo – , non più come vagheggiamento, ma nella politica intesa come praxis, dove si esplica totalmente l’uomo etico (e cfr. i concetti di idiòthes “individuo privato, senza cariche pubbliche” e polithes “membro di una città o stato” presso i Greci).

Per Giordano Bruno18 la conoscenza è processo infinito per attingere e dominare la realtà: eroe chi vi si dedica. Atteone, vista la radice delle cose, diventa perciò parte della natura universale e la natura è già dentro di lui. Diventato da cacciatore della verità oggetto della caccia – cervo ucciso dai cani di Diana -, viene distrutto come individuo, come soggetto, essendosi identificato col tutto. L’ansia di conoscenza costituisce un “heroico furore”.

Nel Candelaio, la voce del Bruno è quella di Gioan Bernardo che vuole ricostruire un ordine sconvolto dalla dea cieca provando la “rivoluzione”. Gioan Bernardo, pur contro la sorte che ha voluto che la bella Carubina andasse moglie a Bonifacio – simbolo della corrente ormai esausta e frusta del petrarchismo – è riuscito, malgrado le difficoltà, ad averla per sè. Bartolomeo simboleggia la scienza ridotta a maschera della povertà di ricerca e di intuizioni di nuove verità; Manfurio un umanesimo incapace di rispondere alle esigenze dei moderni e contratto in una inutile saccenteria senza possibilità di comunicazione, e, oltre a ciò, nella cieca fiducia nella magia.

In Bacone, Galilei, Keplero filosofia e scienza si intrecciano solidalmente. Si afferma definitivamente il metodo sperimentale, in un secolo che esprime, per altro verso, col Barocco, la fuga dall’armonia classica cinquecentesca e in cui le coscienze individuali sembrano riafferrate da medioevali terrori di disfacimento e di morte.

Nel Novum Organum Bacone sostiene che la nostra più grande risorsa è l’unione sempre più stretta fra la facoltà sperimentale e quella razionale. E’ interessante che per lui “la scienza parte non già dalla percezione del “particolare”, bensì dalle generalizzazioni confuse del senso comune, per osservare i casi particolari e pervenire, per quanto possibile, a un’altra generalizzazione, quella razionale e ordinata” ( Storia della Scienza, a c. di M. Daumas, voll. 5, Laterza, Roma-Bari 1976 [Daumas]; p. 340). E’ sua la teoria dell’induzione, tappa fondamentale della filosofia scientifica, con cui sono abbandonati i pregiudizi dell’aristotelismo e dell’antropomorfismo.

Laddove in B. è preminente la riflessione metodologica e scarsa la conoscenza e la pratica della scienza, questi due aspetti si coniugano in misura paritaria nell’opera di Galilei. Alle grandi scoperte nei campi della meccanica, della dinamica, dell’idrostatica, dell’astrologia, si accompagnano, sul piano teorico, la rivendicazione dell’autonomia della scienza nei confronti delle verità rivelate, la dimostrazione della fondatezza del sistema copernicano rispetto a quello tolemaico, lo studio dei fatti in termini matematici e il ricorso all’esperienza (“cimento”) per confermare o smentire la teoria.

La gerarchia di forme, di valori, di fini che caratterizzava la natura aristotelica per la prima volta si sfalda e i fenomeni diventano fra loro equivalenti, pur nella loro specifica diversità.

La distinzione cartesiana pone da una parte l’anima, la cui sostanza consiste nel pensiero, dall’altra la materia, la cui sostanza consiste nell’estensione, per cui la natura diventa una macchina e si impone nel suo studio il meccanicismo, mentre qualità sensibili delle cose sono relative a noi. Solo una tale distinzione tra qualità soggettive e sensibili – che possono definirsi come una reazione del nostro organismo a un dato quantitativo – e oggetto garantisce la conoscenza certa e oggettiva dei fenomeni mediante un reticolo di rapporti e leggi quantitative, matematiche. Con la teoria delle monadi, Leibniz temperava il materialismo della sostanza estesa con un principio di energia attiva circolante nella natura (H. Reichenbach ha opportunamente richiamato il programma leibniziano   di una logica delle probabilità come logica quantitativa per la misura di gradi di verità). Ci si allontana radicalmente dalla fisica aristotelica – per la quale le cose sono in se stesse quali noi le percepiamo -, dalla pretesa di scoprire le cose in sè, gli eterni modelli, per giungere alla conoscenza di ciò che Platone considerava soltanto un’ombra, un riflesso dell’Essere.

Lo strumento matematico sarà impiegato da Newton per la ricerca induttiva delle forze impiegate dalla natura e, d’altro lato, per l’uso di questi risultati nella spiegazione dei fenomeni noti e nella previsione dei fenomeni ignoti19.

Senza far cenno delle capitali scoperte scientifiche di questi scienziati/filosofi (a cui vanno aggiunti almeno Brahe20, Keplero, Huygens), la metodologia che li accomuna è la spiegazione degli eventi fisici in base a modelli matematico-geometrici, la riaffermazione cioè del meccanicismo di lontana ascendenza democritea e leucippea con i suoi caratteri principali di rigoroso determinismo (necessaria causalità dei fenomeni naturali) e di anti-finalismo (negazione di ogni ordine finalistico). Il “panteismo” di Spinoza – il Tractatus theologico – politicus è del 1670 – è l’affermazione dell’unità della sostanza infinita: Dio è “causa di sè”. Dei suoi attributi infiniti non conosciamo che il pensiero e l’estensione di cui gli spiriti e i corpi particolari sono espressioni finite.

Su tali presupposti metodologici si svolgono Empirismo ed Illuminismo21, su di essi possono fondare la lotta radicale contro ogni tipo di pensiero aprioristico.

Locke critica le idee innate, in quanto ogni idea non può che essere ricondotta alla sua formazione empirica, cioè alla determinata esperienza che la sorregge. Unico criterio di verità è l’esperienza. Per Hume spazio e tempo non hanno consistenza originaria, non esiste nella natura una causalità oggettiva, la verità è quella offerta dal sentire. Hobbes sostiene che l’unico oggetto possibile del sapere è il corpo. La conoscenza di una cosa è sempre la conoscenza della sua genesi, quindi del suo movimento (De corpore).

Kant esclude dalla ricerca filosofica la pretesa realtà in sè delle cose (noumeno). Si giunge così alla nozione di fenomeno nel senso kantiano e a una nuova definizione della causalità scientifica (per cui la causa di un fenomeno non sarà più un in sé metafisico che lo genera, ma un altro fenomeno legato al primo da un rapporto costante), alla rinunzia ad ottenere risposte definitive sulla sostanza del reale che incessantemente ci sfugge. Si tende bensì ad ottenere un determinato ordinamento delle cose da quella parte dei fenomeni che si è riusciti effettivamente a scoprire.

Il trovare nell’uomo una certa disposizione allo scambio, alla ricerca dell’utile, ecc., porta al liberalismo (Mill – Bentham) che nella sua forma più primitiva considera l’uomo come un essere che cerca razionalmente di massimizzare il piacere e minimizzare il dolore. La parola “buono”, dice Bentham, significa “piacevole”, e la parola “cattivo” significa “penoso”. In ogni nostra azione noi cerchiamo il piacere ed evitiamo il dolore22.

Per Comte, fondatore del Positivismo, la filosofia è in primo luogo riflessione sul sapere e quindi analisi delle tendenze e delle tecniche delle varie scienze. 

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18 Su G. Bruno cfr. E. Namer, G. Bruno, Paris 1966; M. Ciliberto, G. Bruno, Laterza, Bari 1990; ID., Lessico di G. B., vol. 2, Roma 1979; E. Canone, La peregrinatio europea di G. Bruno, Cassino 1992.

19 Con la celebre frase “Hipotheseos non fingo” viene respinta ogni pretesa di conoscenza di una causa o spiegazione ultima – e perciò metafisica – della realtà, di cui vengono riconosciute conoscibili solo le leggi inerenti al suo funzionamento.

20 “Più che un filosofo naturale, Ticho B. fu un paziente, acutissimo osservatore, il più grande degli osservatori a occhio nudo che abbia avuto la storia dell’astronomia”, P. Rossi, La nascita della scienza moderna in Europa, Roma – Bari 1997.

21 Enciclopedia è riforma sintetica di tutti i campi del sapere, con particolare attenzione alle scienze della natura, alle tecniche, ai mestieri.

22 Tale teoria era stata coerentemente sviluppata in precedenza da Julien O. de La Mettrie (St. Malo 1709 – Berlino 1751), rappresentante della corrente materialistica dell’illuminismo francese, autore dell’Histoire naturelle de l’ame, 1745, e dell’Anti-Seneque, 1750. Convinto assertore della centralità, nell’uomo, del corpo e dei sensi, cercò di individuare le matrici materiali delle funzioni anche più spirituali e dimostrare in modo empirico sperimentale quali fattori (materiali) influenzano tali funzioni….in particolare, l’intelligenza, considerata la facoltà più elevata e meta-fisica dell’uomo, appare null’altro che una proprietà di natura istintuale dell’organismo. “Sia la sola sensibilità a farci da bussola e faremo vela verso il porto del….piacere”. “La prima condizione della felicità è quella di sentire”. Contrappone quindi positivamente la sensibilità alla intelligenza, citando Montaigne: “La ragione non deve mirare ad altro che a farci vivere bene, alla nostra contentezza, cioè al piacere”. La felicità, solo obiettivo dell’essere umano, può essere conseguita, quindi, anche indipendentemente dall’esercizio delle facoltà razionali.  “Pensate infine a quell’enorme quantità di ignoranti felici, i quali, anche se non sentono nè l’onore o il piacere di acquistare belle conoscenze, nè (ciò che più conta) il gusto dell’intelligenza, se ne vendicano col disprezzo, e non credono di valer meno (tutt’altro) perchè col loro istinto hanno fatto fortuna, mentre gli altri dall’intelligenza sono stati condotti alla rovina”. Oltre alla liberazione dal rimorso, l’altra liberazione predicata con forza da L.M. è quella dai falsi scopi, dai valori tanto solenni quanto astratti. La felicità può essere raggiunta solo da chi sappia individuare le fonti autentiche, indipendenti dall’opinione altrui, della propria felicità quale che essa sia. Una delle condizioni indispensabili per raggiungere il bonheur è l’anticonformismo e una reale libertà di ricerca.  Solo l’individuo, nella sua particolare organisation psicofisica, è la misura – la relativa misura – del proprio bonheur. “Tutte le opinioni della gente concordano su ciò, che il piacere è il nostro scopo. Qualunque personaggio l’uomo si metta a rappresentare, egli recita sempre anche il suo proprio; e nella stessa virtù lo scopo ultimo dei nostri disegni è la voluttà” (Antiseneca). Accanto a lui va ricordato, quale rappresentante del materialismo meccanicistico ed ateo, P. H. D’Holbach (1723 – 1789).

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