Il ritorno di Democrito: schizzo per una rinnovata impostazione della storiografia filosofica 1/5

Di LUIGI CHIAPPINELLI

PREMESSA


Questa ricerca costituisce uno schizzo sommario e cursorio per una interpretazione della storia del pensiero filosofico alla luce di parametri che ne mettano in evidenza e ne privilegino gli aspetti e i momenti di più concreta aderenza al mondo della praxis, agli sviluppi della scienza e della tecnica, ai temi fisici a scapito di quelli metafisici.
I materiali di essa sono quasi sempre tolti di peso da opere di consolidata autorevolezza scientifica; nuovo e diverso, spera l’autore che sia il loro coagulo e la loro organatura. Se ne dovrebbero intravvedere linee di tendenza, bisognevoli di ulteriori approfondimenti, piuttosto che trarne conclusioni definite.
In un mondo sempre più dominato dalla tecnica(1) e dalla scienza e in cui, per converso, si sgretolano i valori e le ideologie, può essere lecito reinterrogarsi sulle linee maestre che nel corso del pensiero umano hanno condotto allo sviluppo attuale.
In tale prospettiva si rende necessario sottolineare l’importanza di alcuni movimenti culturali e “metterne fra parentesi” altri, il che non vuol dire affatto misconoscerne l’importanza in una considerazione dello sviluppo della filosofia sotto il profilo strettamente storico. Qualche esemplificazione varrà a chiarire meglio il discorso.
L’Induismo non è certamente meno importante del Buddismo nel permeare la coscienza religiosa degli Indiani; ma il primo è una religione metafisica, non diversa in questo da religioni di altri popoli antichi, laddove il secondo è sganciato da premesse ultraterrene, il che ne costituisce l’assoluta novità nel mondo antico.
Nel pensiero greco il contenuto oggettivo, concreto, della conoscenza è privilegiato in una linea che va dalla scuola ionica ad Aristotele e non in una linea che comprende i Sofisti, Parmenide e Platone.
La scolastica medioevale segna il periodo di massimo “enfoncement” nei problemi metafisici e di più acuto distacco da interessi scientifici, per la cui ripresa, in Occidente sarà invece determinante l’apporto degli Arabi con le grandi figure di Averroè, Avicenna. In epoca rinascimentale e barocca, il platonismo diventa teologizzante in Marsilio Ficino; è altresì presente in Giordano Bruno, il quale ha però intuizioni modernissime, per esempio sull’unità e sulla dimensione infinita dell’universo. All’interno dei rispettivi sistemi di pensiero, le scoperte della geometria analitica di Cartesio e del calcolo infinitesimale di Leibniz, oltre ad influenzarne direttamente lo sviluppo interno, sono gravide di conseguenze future ben più delle elucubrazioni epistemico-filosofiche (il “cogito ergo sum” e le monadi).
Così appare condividibile la critica mossa da parte marxista al formalismo della teoria della conoscenza di Kant, che, volendo mettere in luce le condizioni e le forme a priori della conoscenza, opera in realtà una scissione fra forme del pensiero considerate astrattamente e contenuto oggettivo della conoscenza.
Siano consentite inoltre qui delle considerazioni sul versante pedagogico. La grande maggioranza degli studenti, infatti, al termine degli studi preuniversitari, si congedano con un malcelato ed ambivalente senso di sollievo dalla filosofia, di cui riconoscono il carattere complesso e formativo, ma anche astruso e fumoso, astratto, finendo con l’attribuire ad altre discipline (fisica, chimica, matematica, lingua straniera, scienze naturali) il carattere di strumenti di conoscenza più pratici, duttili, usufruibili ed utili.
Nei casi in cui il programma sarà stato svolto per intero, le tracce più consistenti lasciate dai pensatori dell’Ottocento e del secolo scorso correranno il rischio di svilirsi: le idee marxiste si riverseranno nel “sinistrese”, quelle freudiane in un atteggiamento più positivo nei riguardi dell’erotismo (in questa prospettiva il sessantottesco “Porci con le ali” di L. Ravera e M. Lombardo – Radice è tuttora un libro interessante e godibile!). La lettura superficiale di Nietzsche comporterà il pericolo di far istituire una connessione aberrante fra il pensiero di questi e le sollecitazioni e la mitologia della violenza così operanti in taluni settori del mondo giovanile. Il pensiero di un Sartre si colorerà delle fantasie di fumose boites parigine dove gli “esistenzialisti” disquisiscono sulla ineluttabile “nausea” e noia del vivere; quello di Marcuse sarà associato esclusivamente alle potenzialità rivoluzionarie del movimento sessantottesco e al “riflusso” che ne seguì.
A parte queste o consimili tracce, alcune delle quali peraltro non prive di un fondo di verità e qui esemplificate a titolo del tutto estemporaneo e generico, la storia del pensiero umano, associata al “classico” – il libro di lettura per lo più vecchiotto e ottocentesco – rimarrà un campo di studi ostico, nel quale tutte le vacche si confondono nel colore nero. E’ lecito chiedersi quale parte svolgano alcuni manuali di “storia della filosofia” di uso corrente nel convalidare e rafforzare il senso di fastidio dei giovani verso la disciplina. Si può tentare di formulare, con inevitabile schematismo, alcune osservazioni critiche:
a) stretta osservanza del criterio di presentazione storicistico (caratteristiche generali di un’epoca, allineamento in serie e trattazione dei filosofi che rientrano cronologicamente nell’epoca o nel movimento di pensiero e a ciascuno dei quali si dedica lo spazio ritenuto congruo in relazione all’importanza, agli sviluppi, all’eco e alle ripercussioni del suo pensiero).(2) Ineccepibile sul piano scientifico, esso reca con sé un inconveniente didattico. In una serie numericamente folta, sarà più difficile allo studente che si accosta ignaro alla disciplina mantenere nella memoria una scala di priorità e di importanza maggiore o minore fra i pensatori studiati. Utilizzando qui per comodità di discorso e pertanto in modo assai banale le analisi gramsciane, gli sarà difficile valutare quale fra i nostri “Grandi” abbiano avuto una funzione propulsiva, facendo compiere un “salto di qualità” al pensiero umano (Dante, Machiavelli), quali abbiano assolto un ruolo oggettivamente stabilizzatore (Croce)(3) o chiaramente reazionario, quali siano stati gli “intellettuali organici”, quali le “mosche cocchiere”.
Il criterio di presentazione storicistico impone, per evidente debito di obiettività scientifica, che non si possano trascurare quegli aspetti del pensiero riferentesi all’esistenza di una realtà ultima, all’elaborazione di una fede religiosa, di un’etica (essendo la filosofia “una presa di posizione ragionata sulla totalità del reale”) non contestabili sul piano storico, ma validi soprattutto per l’epoca in cui furono formulati, con scarsa o nulla “significazione (cognitiva) attuale”(4) , e pertanto recanti con sé il rischio che si faccia una archeologia del sapere filosofico.
Se, ancora per esemplificare, la Scolastica è un imponente movimento culturale che domina incontrastata dal IX al XIV sec., essa andrà storicizzata come un “fatto” rilevante sul piano della cultura e della storia del pensiero filosofico, ma con la sottolineatura che soltanto nella sua terza fase (Occam), si afferma un nuovo interesse per il concreto e una curiosità scientifica.
b) Marginalizzazione dei problemi legati allo sviluppo della scienza e della tecnica, ritenuti “altri” rispetto a quelli propriamente filosofici. Per l’anacronismo di questa posizione, basti rinviare ai fondamentali studi contemporanei di J. Piaget, di K. Popper, di A. Koyré, dai quali tutti emerge l’estrema complessità e interdipendenza fra sviluppo della filosofia e progresso della scienza.
Nello schizzo presente si cerca di mettere in risalto qualcuna delle punte alte, emergenti, del pensiero umano, quelle che K. Lorenz, riferendosi allo sviluppo evolutivo, chiamava le “folgorazioni”.(5)
c) Intervento talvolta massivo del credo ideologico degli autori, sia esso idealistico, o marxista, o neopositivista, ecc., mentre in questo schizzo l’autore si limita a presentare una successione di eventi culturali svincolati da ogni premessa che non possa rientrare nella linea di un “postulato di oggettività”, secondo l’espressione di J. Monod, Le hasard et la necessitè (trad. ital. Il caso e la necessità, Milano 1970 (= Monod)(6).
Altra questione è quella per cui il rapporto tra soggetto conoscente e oggetto non può essere concepito oggi sulla base di un empirismo radicale, ma è costituito piuttosto dall’interazione reciproca di fatti e teorie.
Tale posizione rientra peraltro nei limiti intrinseci al “postulato di oggettività”, in quanto lo iato esistente tra mondo oggettivo e soggetto conoscente “non è affatto dovuto ad una lacuna del nostro pensiero, ma ad una incapacità data a priori nella struttura stessa del nostro apparato conoscitivo” (Lorenz).
Dualismo questo che ricollega, in una linea ideale, autori contemporanei quali Lorenz, Popper ed Ecclès alla tradizione di pensiero attribuita al naturalismo ionico per la quale la definizione di scienza come “conoscenza positiva sistematizzata” non può, in definitiva, non essere altrettanto valida per una filosofia che ne rielabori gli asserti osservativi, suscitando, in quanto “amore per la conoscenza”, problemi sempre nuovi, bisogni di spiegazioni ulteriori, situate ad un crescente livello di profondità. Il Mistero dell’uomo di J. Ecclès può essere considerato la verifica più moderna di questa inestricabile correlazione.

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NOTE
1 Soccorrono qui le parole di Marx sul ruolo rivoluzionario dell’invenzione della macchina a vapore: “Il cittadino Watt, che ha inventato la macchina a vapore, è più rivoluzionario di Blanqui, Babeuf e Raspali messi insieme”.
2 Non diversamente avviene nelle Storie della Letteratura italiana quando al criterio crociano della trattazione per monografie separate dei singoli autori si sostituisca quello di impostazione neo-marxista (Sapegno, Salinari, Petronio).
3 Ai margini del ruolo svolto dal Croce nella cultura italiana, sarebbero da approfondire le risposte che il filosofo napoletano forniva (in Conversazioni critiche) alle osservazioni gramsciane de “Il materialismo dialettico e la filosofia di B. Croce”; il misconoscimento dell’importanza e della novità della poesia di Pascoli e di D’Annunzio; il problematico rapporto con Serra, che trovava in lui “qualcosa di freddo e di antico”: casi tutti in cui si potrebbero invocare a spiegazione soprattutto antipatie personali e risentimenti umorali.
4 Le espressioni virgolettate sono tratte dal 2o capitolo “Scienza e filosofia” del libro di Jean Piaget, Saggezza e illusioni della filosofia. Caratteri e limiti del conoscere filosofico, Einaudi, Torino 1969.
5 K. Lorenz, L’altra faccia dello specchio. Per una storia naturale della conoscenza, Adelphi, Milano 1974 (da qui innanzi Lorenz).
6 Premio Nobel per la fisiologia e la medicina nel 1965 con A. Lwoff e F. Jacob, M. (Parigi 1910 – Cannes 1976) sostiene che l’atteggiamento di fondo dei sistemi filosofici è sempre costituito – ma perciò stesso inficiato – da un principio teleonomico che li sottende: la natura o la storia umana vengono cioè interpretate partendo dal bisogno (anche se non esplicitamente dichiarato) di dotarle di un progetto, di rinvenirvi una linea evolutiva ascendente: nel che si può vedere una estensione “della coscienza che l’uomo possiede del funzionamento internamente teleonomico del proprio sistema nervoso centrale”. La conoscenza scientifica, al contrario, pone a suo fondamento solamente il postulato di oggettività e adotta come strategia universale per l’analisi dei fenomeni la scoperta degli invarianti: così la scoperta degli invarianti chimici – proteine e acidi nucleici – ha rilevato la profonda unità dell’intero mondo vivente.

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