
Di MICHELANGELO BUONARROTI
*
Sol io ardendo all’ombra mi rimango,
quand’el sol de’ suo razzi el mondo spoglia:
ogni altro per piacere, e io per doglia,
prostrato in terra, mi lamento e piango.
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Come può esser ch’io non sia più mio?
O Dio, o Dio, o Dio,
chi m’ha tolto a me stesso,
c’a me fusse più presso
o più di me potessi che poss’io?
O Dio, o Dio, o Dio,
come mi passa el core
chi non par che mi tocchi?
Che cosa è questo, Amore,
c’al core entra per gli occhi,
per poco spazio dentro par che cresca?
E s’avvien che trabocchi?
*
Sì amico al freddo sasso è ‘l foco interno
che, di quel tratto, se lo circumscrive,
che l’arda e spezzi, in qualche modo vive,
legando con sé gli altri in loco etterno.
E se ‘n fornace dura, istate e verno
vince, e ‘n più pregio che prima s’ascrive,
come purgata infra l’altre alte e dive
alma nel ciel tornasse da l’inferno.
Così tratto di me, se mi dissolve
il foco, che m’è dentro occulto gioco,
arso e po’ spento aver più vita posso.
Dunche, s’i’ vivo, fatto fummo e polve,
etterno ben sarò, s’induro al foco;
da tale oro e non ferro son percosso.
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Indarno spera, come ‘l vulgo dice,
chi fa quel che non de’ grazia o mercede.
Non fu’, com’io credetti, in vo’ felice,
privandomi di me per troppa fede,
né spero com’al sol nuova fenice
ritornar più; ché ‘l tempo nol concede.
Pur godo il mie gran danno sol perch’io
son più mie vostro, che s’i’ fussi mio.
*
O notte, o dolce tempo, benché nero,
con pace ogn’ opra sempr’ al fin assalta;
ben vede e ben intende chi t’esalta,
e chi t’onor’ ha l’intelletto intero.
Tu mozzi e tronchi ogni stanco pensiero;
ché l’umid’ ombra ogni quiet’ appalta,
e dall’infima parte alla più alta
in sogno spesso porti, ov’ire spero.
O ombra del morir, per cui si ferma
ogni miseria a l’alma, al cor nemica,
ultimo delli afflitti e buon rimedio;
tu rendi sana nostra carn’ inferma,
rasciughi i pianti e posi ogni fatica,
e furi a chi ben vive ogn’ira e tedio.