
Di FRANCO MORETTI*
Erano tempi belli, splendidi, quelli dell’Europa cristiana, quando un’unica Cristianità abitava questo continente di forma umana, e un solo, ampio e comune disegno univa le piú lontane province di questo vasto regno spirituale. Privo di grandi possedimenti secolari, un unico capo supremo governava e teneva unite le grandi forze politiche…(1).
Inizia così La Cristianità, ossia l’Europa, il celebre saggio redatto da Novalis negli ultimi mesi del secolo xviii. Alla sua base, un’equazione di grande semplicità ed efficacia: l’Europa è eguale alla Cristianità, e la Cristianità è unita. Tutto ciò che minaccia questa unità – la Riforma, naturalmente: ma anche gli Stati nazionali, la concorrenza economica, le «intempestive, pericolose scoperte nel campo del sapere» – è un pericolo anche per l’Europa: ne insidia la «fiducia» e la «pace», potrebbe rubarle la sua verità.
Novalis non è uomo da mezze misure, e se la sua visione esige che si approvi la condanna di Galilei, o si levi un inno in lode della Compagnia di Gesù – «con mirabile intelligenza e costanza, con una saggezza che non s’era mai vista …una simile Società, che non era mai apparsa prima nella storia universale…» – ebbene, così sia(2). Qui, limitiamoci a ricordare che tale intransigente concezione dell’unità europea è il fondamento neanche tanto segreto dell’unico capolavoro critico dedicato al nostro argomento: La letteratura europea e il Medio Evo latino, d, pubblicato nel 1948. «Quest’opera intende cogliere la letteratura europea come un tutto unico, e fondare tale unità sulla tradizione latina», suona la recensione di Erich Auerbach(3). O per citare direttamente Curtius: «Si deve considerare il Medio Evo nella sua continuità tanto con l’Antichità che con il mondo moderno. Solo così si può pervenire a quello che Toynbee chiamerebbe an intelligible field of study. Questo campo è, per l’appunto, la letteratura europea»(4).
Alla metafora spaziale di Novalis (Roma come «centro» dell’Europa) Curtius aggiunge dunque una catena temporale, di cui il Medioevo è l’anello intermedio (e che conduce peraltro anch’essa a Roma). L’Europa ha una fisionomia spirituale sua propria perché è una; ed è una perché lo era nell’Antichità: «Si è europei quando si è diventati cives romani»(5). E questo è il punto, naturalmente: l’Europa di Curtius non è l’Europa, bensì – per usare il termine a lui caro – la «Romania». Spazio unitario latino-cristiano, di cui le culture nazionali moderne sono semplici reincarnazioni locali, non per nulla spesso dominate da opere universalistiche – la Commedia, il Faust – che vanificano l’idea di letteratura «nazionale» nell’atto stesso in cui sembrano fondarla. In Europa, per Curtius, c’è una sola letteratura, ed è la letteratura europea.
Se questa tesi fosse circoscritta al Medioevo – da cui è tratta la gran parte del materiale documentario – sarebbe probabilmente inattaccabile. Curtius però non vuole delimitare il Medioevo, ma dimostrarne il permanere ben dentro l’età moderna. Glielo abbiamo appena sentito dire: la letteratura europea è «un fenomeno comprensibile» solo grazie alla solida continuità medievale, che l’ha nutrita e plasmata nel profondo. Eppure… Eppure, «nella situazione spirituale odierna», quell’unità che è sopravvissuta a venti secoli di storia corre gravi pericoli:
Questo libro non è il prodotto di finalità puramente scientifiche, ma della preoccupazione per la salvaguardia della civiltà occidentale. Vi si cerca di chiarire… l’unità di questa tradizione nel tempo e nello spazio. Nel caos spirituale della nostra epoca, dimostrare tale unità è diventato necessario, ed anche possibile…(6).
Caos. Recensendo Ulisse nel 1923, è Eliot ad interrogarsi, sul «modo di controllare, ordinare, dare una forma e un significato all’immenso panorama di futilità ed anarchia che è la storia contemporanea»(7); e già per Novalis è caos la storia dei secoli xvi e xvii. E la radice del male è sempre la stessa: la Stato nazionale moderno, che fin dai suoi inizi ha rifiutato – «irreligiosamente», per dirla con Novalis – il primato di un centro spirituale sovra-nazionale.
Ragioni congiunturali hanno certamente il loro peso in questa ostilità: Novalis scrive negli anni delle guerre napoleoniche, Eliot e Curtius a ridosso della prima e della seconda Guerra mondiale. Ma al di là di eventi specifici, tanta avversione sembra essere soprattutto la logica conseguenza di un’impostazione generale: se infatti la cultura europea esiste solo in quanto unità (latina o cristiana), allora lo Stato nazionale moderno è la vera e propria negazione dell’Europa. In questo quadro premoderno, o più precisamente anti-moderno, non si dànno vie di mezzo; o l’Europa è un tutto organico, oppure non è. Esiste se non esistono gli Stati, e viceversa: quando questi emergono, quella perisce, e potrà solo essere rimpianta, come già nell’incipit elegiaco di Novalis. Il suo è un lamento per un mondo che ha perso l’anima: non più «abitata» dal grande disegno cristiano, l’Europa è stata dannata ad essere mera materia: spazio senza senso. Il «continente di forma umana» diventa il mondo della «compiuta peccaminosità» della Teoria del romanzo (che si apre con un diretto, inconfondibile rimando alla Cristianità). Anche se Lukács non lo dice mai, il suo universo romanzesco – che ha cessato di essere per l’eroe «come la propria casa» – è appunto l’Europa moderna:
Il nostro mondo si è fatto infinitamente grande, ed in ogni suo angolo più ricco di doni e più denso di pericoli di quanto non fosse quello dei greci. Ma questa ricchezza «toglie» il senso positivo e concreto che reggeva la loro vita: la totalità(8).
La scomparsa della totalità come perdita di senso… E se fosse vero il contrario?
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(1) Novalis, La Cristianità, ossia l’Europa, 1799, trad. it., Milano 1985, p. 49.
(Traduzione lievemente modificata)
(2) Ibid., p. 56.
(3) La recensione di Auerbach comparve in «Romanische Forschungen», 1950, pp. 237-45.
(4) Ernst Robert Curtius, Europäische Literatur und lateinisches Mittelalter, 1948, 2a ed. Bern 1953, p. 387.
(5) Ibid., p. 22.
(6) Ibid., p. 9 (il brano è tratto dalla prefazione alla seconda edizione).
(7) «Ulysses», Order, and Myth, in «The Dial», novembre 1923, p. 201.
(8) 8 György Lukács, Teoria del romanzo, 1916, trad. it., Roma 1972, p. 41.
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* Un modello: l’Europa unita, tratto da Franco Moretti, La letteratura europea, Einaudi, Torino 1993, pp. 1-4.