Nota di lettura di GIANCARLO PONTIGGIA
L’italiano che Raffaela Fazio ha prestato alla poesia di Rainer Maria Rilke in Silenzio e tempesta ha una densità bellissima e scura, che rende meravigliosamente il senso di attesa, di imminenza anzi, di questi versi. Felici anche i trapassi improvvisi, che danno come il senso di un destino in agguato: «Il suo splendore già ci circonda? / No, a noi spetta questo chiamare, / sostare immobili sui bianchi scalini / con cui confina il tempio profondo». E anche noi ci sentiamo, leggendo Rilke, come nel buio di un sacello, sul confine di un tempo di cui non sappiamo niente, e che pure ci interroga dal guscio del suo mistero. Quanti brividi, e quanti pensieri, quanta sostanza divina in queste pagine: penso a Gli amanti separati (con quell’immagine di «oche selvatiche in altissimo volo», che screzia i loro cieli come una gemma o un simbolo misterioso, inaccessibile); o a certe immagini-suoni di stanze, di porte, di lumi, di specchi, di discese erbose, di passi familiari che echeggiano come una preghiera, si fanno offerta, bruciano come incensi lontani. Eranna a Saffo pare davvero un prodigioso frammento saffico, strappato medianicamente al naufragio di quella grande poesia. E tutto questo con la sobrietà di un verso sempre composto, mai enfatico, amorosamente docile a una parola d’anima che non ha bisogno d’altro che di essere accostata, ascoltata. Magnifica, prodigiosa resa, che avvince il lettore, restituendolo al senso di una delle grandi esperienze della poesia novecentesca: «e noi sentiamo già, in lieve moto, / il polso quieto di ciò che sta sul fondo».
Da R. M. Rilke, Silenzio e tempesta, poesie d’amore (Marco Saya Edizioni), traduzione e cura di Raffaela Fazio
So milde wie Erinnerung
duften im Zimmer die Mimosen.
Doch unser Glaube steht in Rosen,
und unser großes Glück ist jung.
Sind wir denn schon vom Glück umglänzt?
Nein, uns gehört erst dieses Rufen,
dies Stillestehn auf weißen Stufen,
an die der tiefe Tempel grenzt.
Das Warten an dem Rand des Heut.
Bis uns der Gott der reifen Keime
aus seinem hohen Säulenheime
die Rosen, rot, entgegenstreut.
Delicato come la memoria,
nella stanza il profumo di mimose.
Ma la nostra fede è nelle rose,
la grande gioia giovane ancora.
Il suo splendore già ci circonda?
No, a noi spetta questo chiamare,
sostare immobili sui bianchi scalini
con cui confina il tempio profondo.
Ai bordi dell’Oggi ci spetta l’attesa
fino a che il dio dei semi maturi
dal colonnato dell’alta dimora
ci sparga davanti, rosse, le rose.
***
Mein Leben ist wie leise See:
Wohnt in den Uferhäusern das Weh,
wagt sich nicht aus den Höfen.
Nur manchmal zittert ein Nahn und Fliehn:
aufgestörte Wünsche ziehn
darüber wie silberne Möven.
Und dann ist alles wieder still. . .
Und weißt du was mein Leben will,
hast du es schon verstanden?
Wie eine Welle im Morgenmeer
will es, rauschend und muschelschwer,
an deiner Seele landen.
Mare calmo, la mia vita: il dolore
ha dimora in case costiere,
non si arrischia fuori dai cortili.
Solo a volte, più vicino, più lontano,
un tremolio: come argentei gabbiani
passano in alto, turbati, i desideri.
Poi ogni cosa torna alla quiete…
Sai dirmi che vuole la mia vita?
Lo hai già potuto indovinare?
Carica di conchiglie come un’onda
del mare mattutino, rumoreggiando,
alla tua anima vuole approdare.
***
Der Abend ist mein Buch. Ihm prangen
die Deckel purpurn in Damast;
ich löse seine goldnen Spangen
mit kühlen Händen, ohne Hast.
Und lese seine erste Seite,
beglückt durch den vertrauten Ton, –
und lese leiser seine zweite,
und seine dritte träum ich schon.
La sera è il mio libro. Un vermiglio
bagliore di damasco la riveste;
ne disserro i dorati fermagli
senza fretta, con mani fresche.
Leggo la prima pagina scoprendo,
lieto, il suo tono familiare,
più sottovoce leggo la seconda,
la terza l’inizio già a sognare.
***
Eros
Masken! Masken! Daß man Eros blende.
Wer erträgt sein strahlendes Gesicht,
wenn er wie die Sommersonnenwende
frühlingliches Vorspiel unterbricht.
Wie es unversehens im Geplauder
anders wird und ernsthaft… Etwas schrie…
Und er wirft den namenlosen Schauder
wie ein Tempelinnres über sie.
O verloren, plötzlich, o verloren!
Göttliche umarmen schnell.
Leben wand sich, Schicksal ward geboren.
Und im Innern weint ein Quell.
Eros
Maschere! Maschere! Eros venga accecato!
Il suo volto raggiante chi lo può sostenere
quando interrompe, come un solstizio d’estate,
il preludio inscenato dalla primavera?
Come tutto cambia nel fatuo parlare,
come ogni dire si fa serio in un lampo!…
Un grido… Egli getta il brivido su loro,
indicibile, come l’interno di un tempio.
O perduto, all’improvviso, già perduto!
L’abbraccio degli dei non dura che un istante.
Si ribaltò la vita, il destino fu generato.
E nell’intimo piange una sorgente.
***
Eranna an Sappho
O du wilde weite Werferin:
Wie ein Speer bei andern Dingen
lag ich bei den Meinen. Dein Erklingen
warf mich weit. Ich weiß nicht, wo ich bin.
Mich kann keiner wiederbringen.
Meine Schwestern denken mich und weben
und das Haus ist voll vertrauter Schritte.
Ich allein bin fern und fortgegeben,
und ich zittere wie eine Bitte;
denn die schöne Göttin in der Mitte
ihrer Mythen glüht und lebt mein Leben.
Eranna a Saffo
O tu, lanciatrice selvaggia dal lungo tiro:
accanto ai miei cari, giacevo come un giavellotto
in mezzo ad altri oggetti. Mi scagliò d’un tratto
il tuo tinnio, a distanza. Dove sia, non so dire.
Nessuno indietro mi può riportare.
Pensano a me le mie sorelle e tessono; risuona
la nostra casa dei tanti passi familiari.
Solo io sono via da tutto, sono lontana
e sussulto, tremo come una preghiera,
perché la bella dea al centro dei suoi miti
arde e, ardendo, vive la mia vita.