
Poesie tratte da Se scendevi per strada | Daniele Giustolisi
(Capire edizioni 2019)
*
dei fuochi sulle rive
restano scorie di segreti
come in un dopoguerra
fragili come ogni bellezza
grazia di ogni dolore
è rimasto un cordoglio di cenere qui per ogni nome
*
i ragazzi di gardner st. cercano
cercano pose giuste nei negozi vintage
scomposti dalla bufera che sale da europa
ed è quasi una california qui
ma sfinita
breve
di carcasse di luna park
e installazioni su onde nere
che questo ottobre sembra l’ultima estate del mondo
smorza un’ultima voce alla distanza
il resto è tutto un mistero di pomeriggio che fa segno
chiama
una scarpa abbandonata
lasciata lì a soffrire l’oceano
ha la misura di ogni uomo
espone ogni cosa, ogni altezza a quella vertigine
*
se mi giro tu ci sei,
la tua posa svogliata prima del turno
il nostro dare le spalle a st. paul
quando la città finiva e continuava il suo sogno
il freddo dell’alba se ci aggrediva
non era per i risvegli ma per i nostri respiri
il farne cerchio fuori tra i lampioni e lo sciogliersi
in una lingua tentata
che spiegasse il nostro andare, i nostri nomi
o cosa sono i vent’anni
avremo sempre l’estero in volto
come ipotesi del nostro stare in piedi
come una promessa di vita
che ci spazza ora per le strade
a cercarla e rischiarla ogni santo giorno
io non dimenticherò
il tuo tenere al cuore l’est del mondo
l’acne che attraversa south bank st. appiccica ancora
arriva fin qui d’altro posto
ci unisce e ci spezza nel suo rullo randagio
*
tu se scendevi per strada
era senz’altro per dilatare la vita
che ti sbatteva in faccia,
non per curvarti
e perderti i volti accanto che ci passano, bellissimi
ma la tua mano non trascorre
e linate che si chiude su sopracciglia persiane
è l’ultima immagine che mi resta di te
nell’uguaglianza delle cose
che confonde
le vetrate della lidl vedi, sembrano stasera mostrare
una bologna di mille città che scorrono dietro la cassiera
dietro al suo guardare le albicocche
come alla vita di un figlio
sta come una superstite tra i superstiti,
bisognerebbe avere cura di lei
raccoglierli questi lampi di meraviglia
del niente, in questo vagare da orfani ma di cosa?
bisognerebbe innamorarsi e innamorarsi ancora
*
sono sempre in cammino verso la casa di mio padre
che non conosco
se non in questo ritornare
sia più largo il suo silenzio
un respiro in levare, l’amare
scorza di un segreto
trattengo il tuo fiato, ma tu non lo vedi
– quando sarà misureremo l’amore contro la morte
e noi due aspireremo ancora a ogni cosa
che sia più vita allora
più vita vera che mi porti alla sua via
*
ma io che posso fare nasmù
se non bucare il foglio col tuo nome
e cantare ciò che sei
pezzo di vita
a 45 grammi la sera
sciolta dietro i forni
come medusa al sole
essere un quasiniente,
nell’invisibilità di una cucina d’osteria in via mascarella
da dove un’incarnazione oggi comincia
ma io che posso fare nasmù
se non seguire la scia del tuo sudore
acqua di sale
invisibile a tutti
ma non al canto
che restituisce nomi
anche al tuo sparire tra i pani
là dall’ultimo margine del mondo
di questo vapore come incenso
stasera scrivilo daniele, scrivi dell’arrivo a bologna
dell’ultimo magio d’oriente
disperso, scassato da una notte straniera
tradito da una cometa impazzita
che ha perso di vista tra i gin un piccolo dio
che da qualche parte, puoi sentirlo
urla ancora il ritrovo
*
calciavamo il pallone
e calciavamo il mondo,
a domare le cadute
giù da quella rupe
dove ogni spazio poteva essere una vita qualunque
una battuta senza durata
un san giorgio e il drago
tra il suo volo e lo schianto
e chi sapeva del futuro ci passava,
ci precedeva per il mondo,
lo salutavamo dal basso come turchi invincibili
ignari di quella luce che illumina altra luce
accecava ogni volto
giustificava ogni nome
*
rotte di luna
di dolori pazzi e furori
tra porziuncole abbandonate
d’italia mediterranea a strapiombo
dove osservare agosto
e un’estate che di te non è mai finita
nome di tuono
tornerai, vero?
perpendicolare al cuore
fermo nei giri blues delle capitali
dove è tremendo l’odore di settembre se senti
la tua mano solfeggia ora altri tempi
e tutto partecipa, commuove
che anche il niente vuol strapparsi di desiderio
*
un vecchio foglio porta la firma del tuo nome,
e che ne so io che dire
se paluda qui tra le nostre sere
fisso in un calco di pugno
tiene ancora la sua stagione
cova forse la sua rosa
scompone il silenzio se appare
a qualunque altezza,
grido chiaro
elementare
trapasso di vita
*
quella corsa fino al mare tienila a mente
salvane la spavalderia,
la leggerezza di braccia d’aria
aperte alle bandiere
sicuri, segreti scivoleremo
tra sabbie trascorse
che violente profondano ancora il tempo
terremo allora la visione a vista
come un sacramento finalmente esposto
dall’altra parte del luminare
dove da sempre siamo
più in là di questi corpi stremati di troppa luce
*
era d’estate
a un’alba da qui – le vecchie stonavano i rosari
o s’annunciavano a vicenda le morti
– tu chi sei, di cu sì figghiu, chi è tuo padre?
ma noi coincidevamo con la visione
e la sua naturale distruzione,
volevamo cura per le nostre pelli scorticate
un lampo saraceno di sole
sulle nostre dorsali come a dire
ecco ci siamo davvero
tenevamo lo ionio tra le mani
stretto al petto come l’unico destino
*
la strada che porta a sud
ci scava del solo vivere
e del poco che basta per un lampo che esclami
i finestrini alla furia dell’aria
lasciano andare i cccp il loro cantare funebre
al sole che scolora e sprofonda con noi
di soli corpi
qualcuno stende fuori la mano gonfia
trapassa lo spazio ferito
del nostro solo andare su canzoni tristi
e il loro spaccare la felicità di malinconia
le ragazze ballano sulla spiaggia vuota,
ridono,
hanno fatto fumi
offrono i seni nudi al mare, agli occhi
al giorno che cala
pieno, leggero, calmo
tutto sta dove deve stare
la bellezza è qui
orfano palpito
del solo chiamare
*
forse il mucchio per aria ti ricompone
come scorze qualsiasi ai margini
sbattono smorte – è qui la gloria?
e noi caduti cercavamo altro pane
calice, altro giro di storia
siamo stati un candore sulla croce
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