Appunti per un’estetica del senso: testi e pre-testi 4/6

Di DANIELE BARBIERI *

In nuce, un pre-testo è qualcosa che è pronto per essere utilizzato come parte di un testo vero e proprio, ma che ha comunque un’identità propria, e spesso un nome. Non veicola un discorso, altrimenti sarebbe un testo vero e proprio, ma fornisce il topic per dei comment a venire, o uno o più comment applicabili a qualche topic.

Come abbiamo visto più sopra, uno degli esempi più chiari di funzionamento di questo tipo è la musica da ballo. In generale, considerare un brano di musica da ballo come un discorso, al pari di un brano di musica fatto per essere ascoltato, non conduce molto in là. È difficile trovarvi qualcosa che vada molto al di là del banale. Ma non è questo il modo in cui la musica da ballo viene fruita, e non è questo lo scopo per cui è stata composta.

Piuttosto bisogna considerarla come la proposta complessiva di un topic, di cui l’agire del ballerino rappresenterà poi i comment. Il testo vero e proprio è costituito dall’insieme musica-danza, per ogni singolo ballerino, visto che, in una situazione di danza fatta per svago, ogni singolo ballerino costruisce il proprio discorso espressivo-seduttivo rivolto ad altri; altri che sono ora la collettività intera di cui il ballerino fa parte e che lo circonda producendo analoghi discorsi (di cui egli stesso è nel frattempo spettatore), ora specifiche persone a cui il discorso si rivolge. La musica da ballo costruisce dunque l’occasione per un’espressione personale all’interno di un rito collettivo, e non ha senso valutarla al di fuori di questo uso, per cui è stata progettata.

L’inversione della relazione nei confronti della musica che si determina in questi casi, e a cui si accennava sopra, passando dalla valorizzazione dello scarto a quella della prevedibilità, dipende proprio dalla natura di pre-testo di questa musica. Lo scarto sarà semmai quello che produce il ballerino, per fare notare il proprio discorso all’interno della collettività, se lo ritiene utile. Oppure non lo produce affatto, e nessuno lo noterà; ma questo non è necessariamente un problema.

In maniera simile, la decorazione di ambienti è normalmente un pre-testo perché si presenta come un comment del topic che è costituito dall’ambiente stesso. Il discorso, in questo caso, è l’aspetto complessivo di un ambiente architettonico. Non si tratta necessariamente del discorso dell’architetto. Può essere, più banalmente, il discorso del padrone di casa, che, con quella combinazione di forme, vuole parlar di sé ai propri ospiti. Da questo punto di vista, la decorazione dell’Alhambra dice moltissimo degli ambienti che ne sono l’oggetto, ma prima di tutto dice che in quegli ambienti abitava qualcuno la cui potenza e ricchezza dovevano restare leggendarie. Da sola, non è un vero testo, ma si tratta comunque di un pre-testo di una ricchezza concettuale straordinaria – qualcosa di cui fatichiamo a dubitare che lo si possa considerare arte.

Ma se considerassimo arte la decorazione dell’Alhambra, dovremmo accettare l’idea che le opere d’arte possano anche essere pre-testi, e non solo testi, ovvero che le opere d’arte possano trasmettere non solo discorsi, ma anche frammenti di discorsi, pronti all’uso in vari contesti; un’idea, questa, che ci costringerebbe a rivedere il nostro modo di pensare all’arte, e ad abbandonare, almeno in parte, una certa mitologia dell’autonomia dell’opera d’arte. Su questo tema torneremo più avanti, nelle prossime pagine.

Qualche esempio di pre-testi

Prendiamo ora in considerazione la musica barocca. Nella musica barocca non vi è un vero e proprio sviluppo dei temi. I temi, semmai, vengono continuamente riproposti con variazioni melodiche, armoniche e timbriche, che producono una certa varietà all’ascolto. Inoltre, è ben difficile che a un tema possa essere associato un qualche tipo di passione, semplice o complessa che sia, come accadrà poi nel Romanticismo. La struttura topic / comment vi compare dunque poco sviluppata, e quasi sempre priva di riferimenti extramusicali.

Si faccia attenzione al fatto che stiamo parlando di musica pura, ovvero musica strumentale non di scena. Quando la musica accompagna il canto, o in generale la narrazione, il testo verbale o il racconto forniscono palesemente uno o più topic di cui la musica è il commento; e il risultato complessivo è chiaramente un testo, che veicola un discorso. Nella musica pura, invece, topic e comment devono essere trovati all’interno della musica stessa.

Nella musica strumentale barocca, con alcune eccezioni, l’unico discorso non banale che è possibile individuare è un discorso di argomento strettamente musicale. Possiamo leggere, cioè, i brani musicali come altrettanti discorsi sulla musica. Ma questo, anche se è lontano dall’essere nulla, resta lontano pure dall’essere abbastanza per giustificare l’enorme successo di pubblico che la musica ha avuto nel Settecento.

Anche la musica romantica può, ovviamente, essere sempre giustificatamente interpretata come discorso sulla musica stessa, ma presumibilmente il suo specifico successo è stato dovuto anche al fatto che “parlava” di sentimenti ed emozioni, ovvero di argomenti a cui gli ascoltatori romantici erano sensibili, e diceva, di questi argomenti, qualcosa che le altre arti non erano in grado di dire. Ma se la musica barocca “parlava” solo di musica, possiamo supporre che si rivolgesse a un pubblico fondamentalmente interessato a un discorso che avesse la musica come oggetto? Credo proprio di no!

Per portare il problema ancora un passo più in là, arriviamo alla musica strumentale popolare, di cui la musica da danza costituisce una componente assai importante. Analizziamo dunque i contesti in cui questa musica veniva (viene) fruita, e ci accorgeremo che si tratta di una musica che non è fatta per essere ascoltata come se fosse un discorso, ma che tipicamente si presenta come commento di una situazione sociale, che si tratti di un matrimonio, di un funerale, di una funzione religiosa, di una marcia, eccetera. I brani di musica popolare, insomma, si presentano sempre come pre-testi, ovvero come commenti da applicare a una situazione, o come topic pronti a essere commentati.

Ma se ora consideriamo l’evoluzione della musica colta in occidente, non potremo trascurare il fatto che essa inevitabilmente proviene dalle forme della danza, del melodramma, della musica religiosa, ovvero da forme in cui la musica, o la componente musicale, costituisce pre-testi e non testi compiuti. Nel Settecento questa componente pre-testuale della musica colta era ancora fortissima, e determinava una fruizione molto meno strutturata di quella in seguito idealizzata da Adorno con la sua teoria dell’ascolto strutturale[1]. In altri termini, la musica aveva nel Settecento ancora una funzione molto più di contorno di quanto non avrebbe assunto in seguito. Se non si ballava più una suite di danze, come quelle di Bach, restava però evidente il riferimento alle specifiche danze, e una parte del godimento consisteva anche nel “danzarle mentalmente”.

Il Settecento è comunque un’epoca di passaggio, in cui l’idea della musica come discorso autonomo si fa strada progressivamente, con andate e ritorni, sino a sbocciare definitivamente con il classicismo viennese di Haydn e Mozart.

Anche qui, comunque, se pure fatichiamo a ritrovare un discorso autonomo nella Musica per i reali fuochi d’artificio di Haendel, composta per l’occasione di corte, ed eseguita presumibilmente proprio mentre lo spettacolo dei fuochi era in corso, non dubitiamo affatto che si tratti, pure oggi, di un’opera d’arte, fruibile pure autonomamente da quella specifica occasione. Permettiamo dunque forse alla musica e alla decorazione qualcosa che non permetteremmo, per esempio, alla letteratura?

Usare la comunicazione

Sempre nelle pagine di Lector in fabula, Eco inaugura una distinzione tra interpretazione e uso di un testo:

Dobbiamo così distinguere l’uso libero di un testo assunto quale stimolo immaginativo dalla interpretazione di un testo aperto. È su questa frontiera che si fonda senza ambiguità teorica la possibilità di quello che Barthes chiama testo di godimento: c’è da decidere se si usa un testo come testo di godimento o se un determinato testo considera come costitutivo della propria strategia (e dunque della propria interpretazione) la stimolazione dell’uso più libero possibile. (p. 59)

Eco ha in mente i testi aperti nel senso del titolo del suo libro Opera aperta[2], ovvero testi costituzionalmente aperti a diverse interpretazioni. In questo senso, un testo aperto si presta a più operazioni interpretative legittime che non un testo chiuso.

Ma Eco non può accorgersi (non è il suo problema in questa sede) che quello che vale per le opere aperte (che sono indubbiamente testi) vale anche per i pre-testi, visto che essi stessi sono spesso stati concepiti per un uso, e non possiedono un discorso interno che debba essere rispettato. Questo non è l’uso libero a cui Eco accenna – perché comunque un pre-testo è fatto per certi usi e non per altri, ovvero prevede i propri contesti d’uso, esattamente come un’opera aperta prevede i limiti della propria interpretazione.

Per quanto riguarda i pre-testi, dovremmo perciò distinguere, semmai, tra un uso vincolato (ovvero secondo quanto previsto dal pre-testo stesso) e un uso libero. Ma se il pre-testo, per sua stessa natura, non arriva a formulare un discorso vero e proprio, ed è costituito soltanto da un topic da commentare o da un comment da applicare a qualche topic, come potremo riconoscere i limiti del suo uso legittimo partire dal pre-testo stesso, visto che un discorso emergerà soltanto quando il pre-testo sia già entrato a far parte di un testo vero e proprio. Sarebbe come dire che le singole parole possiedono usi vincolati e legittimi e usi liberi.

In un pre-testo, pur non essendoci un discorso, c’è eventualmente un’autorialità, e questo lo distingue dal caso delle singole parole. Ma questo serve al più a dare qualche elemento in più alla ricostruzione della consuetudine per cui, così come le parole si usano in certi contesti e non in altri, lo stesso varrebbe per i pre-testi. Se un brano di musica da ballo non veicola un discorso, non mi si può accusare di misinterpretarlo quando lo uso come musica di sottofondo o come colonna sonora di un film, invece che suonarlo in discoteca. Al massimo mi si potrà accusare di non farne un buon uso, o di non farne l’uso migliore.

Sto tradendo Haendel se uso la sua musica come colonna sonora di un film? Certamente starei tradendo Beethoven se usassi la sua musica in questo modo, ma la musica di Haendel è nata per essere usata; e vi saranno dunque usi più opportuni e meno opportuni, più efficaci e meno efficaci, ma possiamo forse trovare nel brano di Haendel una intentio operis che mi dica quali siano gli usi migliori che se ne possono fare? E se invece la ascoltassi come se davvero veicolasse un discorso, non starò, proprio in questo caso, inevitabilmente misinterpretando, e dunque usando liberamente, nel senso echiano, un’opera che non è nata per essere adoperata in questo modo?

Ci troviamo su un terreno pericoloso, perché tracciare una linea tra l’uso e l’interpretazione non è facile, e perché, date queste premesse, ci troviamo sulla soglia dell’accorgerci che il successo interpretativo anche di molti testi (e non solo dei pre-testi) è procurato anche dal fatto che questi testi prevedono di essere usati come componenti testuali all’interno di altri testi, ovvero a loro volta come pre-testi. Se così fosse, allora, la pre-testualità (e non testualità) della musica di Haendel non apparirebbe più un’idea così scandalosa, ma solo un caso più definito in mezzo a innumerevoli altri casi meno definiti.

Usare i testi come pre-testi

Sinché abitava a Salisburgo, è capitato molte volte a Mozart di dover allietare le serate dell’Arcivescovo che lo stipendiava. Mozart suonava le proprie straordinarie musiche, e nessuno (o ben pochi dei presenti) lo ascoltava davvero. Era, comparato ai tempi nostri, una specie di servizio di piano-bar, che doveva fornire una gradevole tappezzeria sonora all’ambiente in cui si tenevano le ben più importanti chiacchiere dell’Arcivescovo e dei suoi ospiti. Non vi è da stupirsi del fatto che, appena gli fu possibile, Mozart se ne sia scappato a Vienna, dove contava di ricevere trattamenti ben diversi.

Ma Mozart era sicuramente consapevole che una parte del successo delle sua musica stava anche nel fatto di poter essere utilizzata così, come piacevole e poco impegnativo sottofondo. Faremmo sicuramente un grosso errore a ridurre il senso della sua musica a questo, perché credo che quelli di Mozart fossero già decisamente testi, nel senso forte che stiamo dando qui a questa espressione, e che quindi veicolassero discorsi. Ma sbaglieremmo a escludere interamente da loro anche una certa disposizione a essere usati come se fossero pre-testi, una disposizione che la musica ha conservato a lungo, in misura progressivamente minore, abbandonandola del tutto in molti brani (ma non in tutti) solo nella musica colta del Novecento.

La letteratura non si presta, come la musica, a un servizio di piano-bar, cioè a fungere da tappezzeria. Ma non vi è mai capitato di leggere una poesia a qualcuno con funzione seduttiva? È libero uso del testo la lettura ad alta voce (ispirata) di Dora Markus di Montale di fronte a un potenziale e ambito futuro partner? Se così fosse, dovremmo ridurre a ben pochi i contesti legittimi in cui consumare prodotti estetici, tra cui le opere d’arte!

Eppure, se leggo Dora Markus a una potenziale fidanzata, sto da un lato presentandole il testo di Montale così com’è, e quindi esponendola al suo discorso, più o meno come se fosse lei stessa a leggerlo per conto proprio; ma dall’altro sto facendo uso di quel medesimo testo come comment di un topic che è il mio desiderio per lei, o che sono io stesso, che mi presento a lei come colui che le fa conoscere questo. Insomma, sto anche usando il testo di Montale come pre-testo per il mio specifico discorso.

Non è che questo sminuisca l’opera di Montale, o che mi debba far ritenere che sto usando liberamente (nel senso di Eco) il suo testo. Sappiamo bene che tra gli usi legittimi della letteratura c’è anche quello di essere citata, specie se lo si fa rispettandola e per farla conoscere. Ma questo non elimina il fatto che, così facendo, i testi letterari vengono trattati come pre-testi e inseriti all’interno di nuovi discorsi. E non si tratta affatto di uno scandalo: è la comunicazione umana che è fatta così.

I testi, cioè, non nascono soltanto per essere fruiti e interpretati in autonomia, ma anche per dare frutti nel più vasto mondo della comunicazione. Solo se un testo è fertile di usi pre-testuali, in  verità, è davvero un testo utile – e questo non è meno vero quando parliamo di testi estetici o anche artistici. Se un’opera d’arte non fa venir voglia di parlarne, di citarla, di farla vedere ad altri, ovvero di inserirla come parte di un proprio discorso, allora non è davvero un’opera d’arte: è un oggetto inutile, che sarà presto dimenticato.

E allora, testi e pre-testi non sono due insiemi separati. Piuttosto, dovremo pensare ai testi come a un sottoinsieme dei pre-testi: ovvero i testi sono quei pre-testi particolari che sono in grado di veicolare anche un loro autonomo discorso, oltre a essere usati come componenti per i discorsi altrui. Le opere d’arte sono quindi certamente pre-testi; spesso arrivano anche a essere testi; a volte no: in casi di questo genere siamo tipicamente noi oggi a fruire come testo qualcosa che non è nato per esserlo, proiettando il discorso (nella sua interezza) su qualcosa che è fatto per veicolarne solo una componente. Ma questo dipende molto dalla nostra idea odierna di cosa debba essere un’opera d’arte, idea che applichiamo indistintamente anche alle produzioni che ci arrivano da lontano nel tempo o nello spazio, e le cui problematiche di origine erano spesso assai differenti.

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[1] Theodor W. Adorno, Einleitung in die Musiksoziologie. Zwölf theoretische Vorlesungen, Frankfurt, Suhrkamp 1962. Trad. it. Introduzione alla sociologia della musica, Torino, Einaudi 1971.

[2] Umberto Eco, Opera aperta. Forma e indeterminazione nelle poetiche contemporanee, Bompiani, Milano 1961.

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Appunti per un’estetica del senso, precedentemente pubblicato in Tempo fermo, n. 4 /2005.

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