
Di DANIELE BARBIERI *
XIX: toccare
Ho iniziato parlando del gusto. Vorrei terminare con qualche riflessione sul tatto.
Esiste, può esistere un’arte basata sul tatto? O almeno un’arte basata sostanzialmente sul tatto? Teoricamente, perché no? Sculture da percorrere al buio con le mani. Percorsi tattili – ancora al buio. Ma sembra che, se si accende la luce, il tatto non possa che finire sullo sfondo, immediatamente soverchiato dalle sensazioni della vista.
Forse è proprio per questo che, di fatto, nella nostra cultura un’arte del tatto non esiste. Ma esiste, eccome, la comunicazione emotiva basata sul tatto!: ne facciamo un uso frequentissimo, accarezzandoci, abbracciandoci, giocando… Ne facciamo un uso sapiente quando facciamo l’amore, quell’attività in cui si cerca, non solo ma fondamentalmente attraverso il tatto, di indurre nell’altro un percorso emotivo, mentre l’altro fa lo stesso con noi, e i due percorsi, inevitabilmente –poiché si influenza anche il modo in cui l’altro cercherà di influenzare il nostro – tendono ad avvitarsi e a esistere solo per la relazione strettissima che si determina tra loro.
Ma il tatto è privato, intimo, ha a che fare con i confini del proprio corpo ancora più del gusto. Farne la storia è difficile, anche se sono certo che un qualche tipo di progresso – lento e faticoso perché non ve n’è comunicazione pubblica – ci sia stato anche qui. Esistono sicuramente i genii delle comunicazioni emotive basate sul tatto: ma non c’è modo per cui la loro arte possa diventare pubblica, e quindi essere definita tale. L’unico augurio che ci si possa fare è di conoscerne qualcuno, intimamente, perché è questo il solo modo in cui lo potremmo scoprire.
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* Precedentemente pubblicato in Tempo fermo, n.2, 2003.