Roberto Franco, “Il segreto degli Anni Ottanta”: recensione di Franco Romanò

Di FRANCO ROMANO’

Roberto Franco, “Il segreto degli Anni Ottanta”, Algra Editore 2017

 

Il libro di Roberto Franco Il segreto degli Anni Ottanta (Algra editore, Catania 2017) affronta uno dei momenti più opachi della storia italiana recente: gli anni Ottanta, che hanno occupato molto la saggistica e sono passati alla cronaca secondo alcune formule consolidate. Fu un tempo anche di opere di narrativa che sancivano l’ingresso a gonfie vele della seconda ondata del postmodernismo nella letteratura italiana contemporanea: fra libri game, cannibali, figli che uccidevano i genitori per un bagno schiuma sbagliato, c’era di tutto. Al di fuori di questo recinto assai popolato ed effimero c’era poco, forse solo l’indimenticabile Vita standard di un venditore provvisorio di collant (1985) di Aldo Busi, il romanzo che denunciava con anticipo sui tempi cosa sarebbe accaduto nei vent’anni successivi e che continua a succedere.

Mancava una riflessione a distanza su quegli anni, dunque decantata rispetto all’adesione epidermica al presente che molte di quelle opere (cadute giustamente nel dimenticatoio in tempi assai brevi), rappresentavano. Fosse solo per questo il romanzo di Roberto Franco un merito lo ha già acquisito, ma aggiungo subito che ce ne sono altri. Lo spunto di partenza può ricordare il primissimo Brizzi: una classe, o meglio una scuola media, uno stuolo di adolescenti maschi e femmine che affrontano proprio in quegli anni il duro tirocinio di qualunque iniziazione alla vita adulta. Solo che i riti classici d’iniziazione non ci sono più: quelli più antichi li aveva spazzati via il ’68, quelli nuovi che si erano formati intorno all’esperienza della militanza politica e sociale erano stati stritolati dalla doppia morsa di repressione e stragi di stato da un lato e risposta armata di un settore di quella generazione dall’altro. Gli adolescenti che descrive Franco, sono i primi che non hanno alle spalle più nulla, se non le loro famiglie e vedremo che ruolo giocheranno nel romanzo. Sono soli questi adolescenti, o almeno più soli di chi li aveva preceduti. Hanno però un linguaggio comune che diventa anche cifra stilistica del romanzo fin dalla prima pagina: la musica.

Relax; la canzone dei Frankie Goes to Hollywood che è dappertutto in questo periodo. È il primo dei tre singoli dei Frankie che scuoteranno per un anno le classifiche del mondo intero. A canticchiarla a mezza bocca è l’Albanese. (pag.5)

La musica dunque, i cambiamenti in corso nei suoi linguaggi, le nuove band che stanno nascendo. Tutto questo costituisce un segno di riconoscimento e identità che forse è anche il primo vero rito che quella generazione orizzontale ha usato per orientarsi nel mondo. Non è stato facile, per un lettore della mia generazione seguire questo percorso documentato e rigoroso, fra riviste musicali e critici. Che ruolo ha la musica in questo romanzo? Non uno soltanto. Inizialmente essa è una sorta di contrappunto jazzistico alla narrazione e ai dialoghi. C’è un canovaccio che corre lungo tutto il romanzo: sono le vicende di questa classe, scandite da cadenze ovvie, ma che consentono appunto di tenerlo sullo sfondo, sebbene anch’esso – nel prosieguo dell’opera – acquisterà uno spessore diverso e più inquietante. I gusti dei protagonisti in tema musicale danno vita a curiosi dibattiti in cui addirittura pare di udire una eco di quelli politici di dieci anni prima, tanto è il fervore e anche le argomentazioni che vengono usate. Stanno forse scimmiottando i loro fratelli maggiori? No, non si tratta di questo, ma la cultura politica degli anni ’70 ha comunque lasciato dei lacerti, delle tracce, dei segni che non costituiscono più un discorso ma che sono ancora nell’aria: prima di tutto sono vivi nei loro genitori che quegli anni invece li hanno vissuti davvero. La madre di Dani, uno dei protagonisti principali del romanzo, era una militante di Lotta Continua. Inoltre negli anni ‘80 si cominciava a parlare in modo diverso di volontariato, di ong, di un impegno sociale dal segno certamente diverso da quello delle generazioni precedenti, ma comunque presente. Lo vedremo meglio nel finale del romanzo, ma anche in un momento centrale, il capitolo 15 che si apre con la morte di Enrico Berlinguer: l’evento diviene l’occasione per tornare per un breve momento alle discussioni e anche ai furori di un tempo. La mezza pagina in cui tutto questo avviene sembra chiudere definitivamente il sipario sugli anni ’70 anche per loro e Dani, che assiste silenzioso alle discussioni in famiglia, torna presto ai suoi compagni di classe e alla sua faticosa ricerca di sé …perché A Dani, della politica da qualche tempo non può importare meno… (pag.128)

MILANO

L’habitat, il luogo fisico in cui si svolgono le vicende del romanzo è la città che più di tutte, almeno nell’immaginario collettivo alimentato dalla pubblicità, ha rappresentato l’avvento dello yuppismo, del craxismo, della moda assurta a visione del mondo: la Milano da bere fu lo slogan che sinteticamente rappresentò tutto questo. Milano era scomparsa da tempo nella narrativa contemporanea. Bisogna andare molto indietro negli anni per ritrovarla e siamo davvero in altri mondi: il Fabbricone di Testori, poi Scerbanenco e Castellaneta, per esempio, con la prevalenza del genere poliziesco, a parte Testori. Poi De Carlo (Due di due del 1989). Recentemente Rollo (Un’educazione milanese) e Margheriti, più o meno contemporanei del romanzo di Franco. Gli adolescenti de Il segreto degli anni ‘80 attraversano questi mondi con gradi diversi di adesione agli aspetti più folkloristici ed effimeri: i paninari, i nuovi fascisti e specialmente la moda. Franco sceglie un registro fra l’ironico e lo stupefatto per darne conto e questa descrizione, come altre che ogni tanto irrompono nella tessitura narrativa, lo rappresenta molto bene:

…Ma la scena è eclissata dal quasi contemporaneo arrivo della Lanzone. Capelli biondo-bruni pettinati a coda di cavallo, camicia Naj-Oleari ornata di fiocchi e perline cucite in maniera apparentemente illogica… Porta una maglietta Stone Island Marina a righe e occhiali Ray-Ban a specchio ….(pag 89)

La musica, continua a farla da padrona, con le sue irruzioni a volte paradossali, come per esempio alla pagina 70, dove un dialogo improvvisato su Beethoven e i Pink Floyd, Mozart e Salieri, sembra anticipare quello che faranno anni dopo le band o addirittura prestigiose orchestre di stato come quella del Venezuela, inventandosi contaminazioni affascinanti e suggestive.

DANI, LEDA, GLI ALTRI E LE ALTRE

In un romanzo che si rispetti ci sono poi i protagonisti, che Franco tratta con abilità. L’adolescente è un personaggio difficile da affrontare perché è ancora un inespresso che vive in un limbo un po’sospeso. Infatti, agli inizi, facciamo fatica a distinguere l’uno o l’altra perché vivono una vita comune e indistinta, in cui l’emersione delle singole personalità è faticosa come lo è la crescita effettiva. Tuttavia, dal magma dell’indistinto, Franco fa emergere lentamente i caratteri, le storie famigliari, le abitudini, l’appartenenza di classe e tanto altro.  Leda, prima di tutto, poi Dani nel quale è possibile scorgere un alter ego dello scrittore, Borlotto, il Capo scout. Fra di loro e altri (Innocente, l’Albanese, Arioli, Laura Vitale) s’intrecciano relazioni, scontri, piccole e grandi tresche, scontate e meno scontate, che passo dopo passo ci consegnano degli adolescenti nei quali tratti di cinismo e disincanto crescono lentamente insieme a loro. Sono micro trasformazioni che avvengono lentamente e che da normali comportamenti dell’età si colorano di tinte fosche ma anche sfuggenti che finiscono poi per diventare un vero dramma (O no? Lascio al lettore la sorpresa di capirlo) durante uno dei momenti topici di tutte le scuole del globo: la gita scolastica. Dani è dentro la vicenda, ma la osserva anche dal di fuori, entra ed esce dalla scena: è il classico adolescente un po’ impacciato nei rapporti, specialmente con le ragazze; per lui la musica non è solo uno strumento di condivisone con tutti gli altri, ma diviene nel corso del romanzo un’ossessione nella quale si chiude:

da quando sono cominciati i giri quotidiani da Transex e Mariposa? Due settimane, tre? Un mese? Vive ormai dentro un’unica dimensione che lo cattura convulsamente…(pag.246)

Ma come può un adolescente avere a disposizione così tanti soldi? Dani ruba o meglio rubacchia dal portafoglio di suo padre, ma capirà più avanti che sua madre lo sa e lo copre. È cominciata la complicità negativa fra genitori e figli che non è un prodotto del ’68, ma una sua degenerazione successiva, nutrita da sensi di colpa e di sconfitta. Dani è dentro una doppia dipendenza che gli permette tuttavia di scansare gli aspetti più negativi di quella realtà sociale in rapida trasformazione che sta trasformando quegli adolescenti in disincantati rampanti futuri. La musica è un rifugio provvisorio e acquisisce così un doppio statuto: da un lato è linguaggio comune con tutti gli altri, dall’altro è un viaggio che Dani compie da solo, che passa dalla musica stessa alle sue fantasie e ai suoi desideri. Intanto la città intorno a lui sta cambiando, in peggio. Dani se ne rende conto da piccoli particolari di cui tuttavia, anche lui è responsabile, come lo è la sua famiglia:

Dani si accorge che tipi come Borlotto e Pulsinelli gli causano tanta repulsione principalmente per il loro essere proletari. Questo lo mette in crisi anche perché anni di prediche famigliari con esaltazione incondizionata del proletariato non si possono mentre in soffitta in due secondi, soprattutto a dodici anni. D’un tratto la nostalgia per il tempo indifferenziato in cui figli di proletarie borghesi giocavano insieme al pallone, e si rende conto che non potrà più essere così…  (pag.120).

In controluce, dietro questa riflessione perentoria, s’intravede l’ambiente famigliare di Dani, con tutte le sue contraddizioni: un’educazione alla politica come obbligo che viene improvvisamente abbandonato e il terreno lasciato vuoto da quell’impegno viene rioccupato dalle diverse culture e appartenenze classiste. La musica, vera protagonista del romanzo, non poteva che caratterizzare il finale dell’opera sotto forma di concerto, un concerto però particolare e che in un certo senso racchiude in sé il Segreto degli anni Ottanta, titolo che ho cercato di decifrare. L’anno scolastico è finito, non tutti supereranno l’esame, Leda starà sempre peggio. Si ritrovano tutti idealmente intorno al concerto organizzato da Bob Geldof in solidarietà con i popoli affamati del sud del mondo. Fu un evento grandioso e mediatico, in cui la solidarietà diventava per la prima volta spettacolo in mondovisione forma di agire politico che sostituiva e surrogava la scomparsa della politica come passione.

Dani lo ritroviamo un’ultima volta in autunno. Il primo giorno alle superiori e l’incontro casuale con una ormai vecchia compagna di scuola media e con il capo scout, gli rivelano la tresca che aveva suscitato tanti problemi alla classe. Tutto però è alle sue spalle ormai, non conta più nulla. Si mette il walkman e ascolta Be Yourself Tonight, ora come ogni volta che vorrà.

IL PUNTO DI VISTA E IL LINGUAGGIO

Franco scrive come chi è passato da quelle esperienze, la sua età lo certifica e quindi Il Segreto degli anni Ottanta può essere considerato anche come un romanzo di formazione, seppure ripercorso a distanza di tempo e con il ricorso al proprio alter ego narrativo e alla terza persona. Questo artificio comporta che a volte Dani parli come un dodicenne, per esempio nei dialoghi, ma rifletta come un quarantenne e questo talvolta spiazza il lettore. Tuttavia, l’essere dentro e fuori la storia era proprio l’attitudine che anche il dodicenne Dani manifestava sia quando si trovava con gli altri, sia quando si lasciava andare alle sue meditazioni solitarie. La seconda cifra stilistica riguarda i dialoghi che iniziano subito e trascinano il lettore in medias res. Il dialogo è difficile da trattare e Franco lo fa molto bene seppure con qualche ridondanza di troppo qui e là. Infine la musica, di cui si è già detto ma su cui vale la pena di tornare in sede conclusiva: è tale la competenza di Franco in questo campo che riesce a far passare nel testo la differenze dei linguaggi dei messaggi in poche battute. Spesso mi sono ritrovato a cercare in rete le canzoni, i testi perché era quasi naturale avere voglia di andare a vedere e a sentire. Le descrizioni non sono molte, ma mettono sempre in evidenza alcuni passaggio chiave di quel decennio: dell’anno della morte di Belringuer si è già detto, ma ve ne è un altra che riguarda questa volta un evento naturalistico che segnò uno spartiacque. L’inizio del capitolo 24 ricorda l’incredibile nevicata del 1985, un evento che ricordiamo tutti anche perché da quell’anno la neve è praticamente scomparsa dalla città.

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