A cura della REDAZIONE
Nella sua ultima raccolta di poesie, dal titolo In tagli ripidi (nel corpo che abitiamo in punta), Alessando Brusa mostra il suo panorama esistenziale forse partendo dalla lezione di Whitman secondo il quale «ogni atomo che mi appartiene è come se rappresentasse anche te.» Se così non fosse, credo comunque che Brusa sia ben consapevole del fatto che dietro ogni libro ci sia un uomo con tutto il suo personalissimo vissuto e raccontarlo vuol dire comunicare (leggi qui come cercare le cose in comune). La varia varietà che troviamo nei versi di Brusa sembra rispondere appieno a una delle funzioni cardine, secondo me, della poesia cioè conoscere. Sono presenti infatti nella raccolta molti riferimenti culturali che Brusa attinge dalla musica, dall’arte e dalla metafisica. Ma è anche la storia a insegnarci e a farci accumulare conoscenza come rileviamo nella rima «: perché ho memoria […] perché scandaglio la storia.»
(Ilaria Grasso, Poetarum Silva)
In questo nuovo libro, uscito a circa quattro anni dal primo volume di poesia, La raccolta del sale, Alessandro Brusa porta avanti il suo percorso di ricerca attraverso la parola, indagando la propria esistenza in quanto essere umano in senso universale e la molteplicità delle relazioni, degli equilibri e dei conflitti che la caratterizzano. Un percorso di ricerca che è insieme fisico, perché imperniato sul corpo, e metafisico, ossia volto a trascendere l’esperienza concreta, individuale, spogliandola di tutti gli accidenti per arrivare all’essenza. Questo percorso avviene nel quadro di una geografia stilizzata (resa attraverso termini ricorrenti come terra, acqua, mare, vento, tempo, spazio), esteriore e interiore, essenziale come l’io-corpo che si trova in bilico (ovvero, in punta, come si dice nel sottotitolo e si ripete all’interno del libro) tra il desiderio di fissare una forma, un’identità e la costante sollecitazione alla dispersione. Il corpo è chiamato in causa nei suoi dettagli anatomici non caratterizzati e carichi, come quelli geografici, di valenze simboliche (spalle, capo, lingua, petto, mani, naso ecc.). A condurre questa esplorazione è la Musa, o Nemesi come la definisce Marco Simonelli nella postfazione, ovvero “l’emozione grezza”, fulcro salvifico e incomprensibile, essenza che per esprimersi ha bisogno di un linguaggio diverso da quello comune. A questa lingua nuova Alessandro perviene attraverso un’opera di sottrazione, esplicitata in una poesia e già suggerita nel titolo del libro dall’espressione “in tagli”, che, letta tenendo separate le due parole oppure unendole, si riferisce in ogni caso al concetto di rimozione. Questa lingua densa ed estremamente curata nei suoi aspetti sonori (mediante allitterazioni, assonanze, rime interne anche equivoche), procede spesso per salti logici, rivoluziona l’uso della punteggiatura e persegue un bilanciamento di pieni e vuoti che mira a isolare e a dare peso a ciascuna parola invitando il lettore a sostare. La parola poetica risiede nelle ossa, struttura il corpo, è solida come una montagna ma frana dolcemente. Vive della stessa tensione tra il desiderio di definizione, la volontà di trattenere ciò che si dilegua, e la tendenza alla disgregazione che preme sull’essere umano.
(Francesca Del Moro, Illustrati n. 43)
Alessandro Brusa, “In tagli ripidi (nel corpo che abitiamo in punta)”, Perrone Editore 2017
Con un intervento critico di Sonia Caporossi
Sabato 26 Maggio dalle ore 18:00 alle 20:00
Giulio Perrone Editore – via Giovanni da Procida 30/32, Roma
Ingresso libero.
L’ha ripubblicato su disartrofonie.