Sulla difficoltà di leggere – Vladimir D’Amora

Di VLADIMIR D’AMORA

Leggere.
Studiare.
O sia vivere.

Sia l’accingersi a stringere un impegno: con ogni testo e con ogni pezzo di una vita… Perché leggere non è interpretare? Perché leggere e interpretare comunque richiedono prerequisiti e come l’assolvenza di condizioni: di presupposti?

Perché il leggere, se non se ne colga la distanza che lo tenga in un contatto con interpretare – perché il leggere rischia sempre di essere una pratica di perdita? Come un operare perso proprio per quanto si deve riuscire a mettere da parte nel leggere: proprio perché una lettura si fonda su dei presupposti?

Come riuscire, quindi, a leggere senza finire per non abitare la differenza difficile tra lettura e interpretazione? Come usarlo, cioè, un testo – di una vita? Come impegnarsi presso la forma propria di ciascuna vita: animata come inanimata: particolare quanto generale: concreta come astratta e sia individua sia relazionale: riuscendo a sospenderli nell’attraversarli proprio: i presupposti?

Usare non è abusare ma è abitare – e è interpretare…

Usare non è mai soltanto interpretare…

Perché interpretare signi-fica: e sarebbe che ciò che è visibile e leggibile: eccola, la nuda scorza di quanto starebbe sotto o dentro (e) come un reale e validissimo e superiore – la verità.

Quindi: interpretare significa: è funzionalizzare ciò che si legga, a quanto sarebbe il significato come il senso: nascosto ed eccedente: il segno di un supplemento infinito… E infinito soltanto perché mai esauribile in ogni pratica come tentativo proprio di esaurirlo…

Mentre leggere – è come un sapersi: un saperci stare: sapersi, anzi, nello stare – fuori in un testo: nel pudore: nel dis-agio – dell’interpretare.

Leggere è saper-con-tenere-in-contatto: senso letterale e senso figurato: forma e contenuto: lettera e apparenza: nudità e superficie: il profondo e il visibile ri-tenerli nella differenza: nel vuoto della reciproca distanza…

Leggere è sapersi con-tenere: leggere tra: in tanto: sapersi come il muoversi tra i livelli: commuoversi nei piani: tra i sensi di un testo: e senza mai volersi come giunti a una qualcosa, che sarebbe più importante di altra, qualunque cosa.

È saper inter-legere: intus-legere: intellegere: avere intelligenza della cosa: di ogni cosa e vita senza pretendere di riempirli, i vuoti di non senso – i non aver capito – e senza lasciarle all’incompiuto però: le non conoscenze: che sono, e siano, poi gli agi: gli spazi vacanti: le misure vacue e deboli e irrisorie e però comode – entro cui potersi muovere intorno e dentro a un testo: a una vita – rispettandone i silenzi e tanto quelli che sono interruzioni di parola e suono e segno, quanto quelli che sono silenzi che né sono né non sono, ma che possono come essere: silenzi come attese: come speranze: come esigenze…

Per ciò è difficile leggere: perché s’è agio di possibile: è la stessa capacità di sviluppo: è una prova: un saggio di silenzio: di vuoto: una provocazione: una chiamata a sabotarlo: il testo che è una invocazione a deporne ogni suo essere afferrato: ogni saggio (scritto e) solo letto: ogni testo intessuto di illeggibilità rispettate – è una macchina al cui centro è incastonato un vuoto debole respiro di vita: la tua. La sua. Una e qualunque.

Ma – senza che tu te ne possa mai impadronire: altrimenti sarebbe solo abile: se riuscisse a significarti anche i suoi vuoti come se fossero insegnamenti: se riuscisse a innescare possibile come se questo fosse un possesso di informazione: sarebbe solo ironico – mentre è un maestro: questo auctor che sia tale: ossia solo leggibile… Come un Socrate (o un cristo) scrivente cioè un Platone: come una voce la cui scrivibilità sia impossibile. Perciò sembra comandare, questo testo impegnato nel rischio bello della sua autoreferenza: perché è un ordine che origina solo un’esigenza: una deposizione di parola: è come un supino: una parola finalmente distesa presso la sua stessa: la tua vita: e è una idea.

E una idea è quella vita e storia in cui puoi salvare quanto ti appare di te nel modo stesso in cui tu appaia – lo stesso…

E se questo è soltanto la sua leggibilità e difficoltà – allora è una dialettica immobile ma vivente e tremante come una tensione di memoria e di oblio: è riconoscersi in questo e per questo: testo – dal testo: a quanto tu non possa non esserne come il tradimento capace di tramandarlo ripetendone la forza istitutiva: essendone, cioè, una esposizione: sorgendo tu nel testo-stesso come l’accadere dei suoi limiti: stando nel testo come nella sua esteriorità: ogni lettore, ma non interprete, è questa soglia e figura in cui transita una debolissima possibilità di immagine: come se tu passando a te stesso e a te stessa fossi il luogo senza dimensione e misura di una crisi salutare salvifica e inapparente feriale e irrisoria infame ossia divina – è piacere! La crisi da salutare come l’avvento di una morte soltanto tua perché soltanto umana. E’ che sola – questa soglia ci accade in una vita. Leggendola. Raccogliendone tremito & colore. La impossibile, la vera – trascendenza. Ossia una-unicità.

Soglia

1. vuoto di interpretazione

Interpretare in latino è interpretari, verbo di diatesi, forma deponente, che depone, abbandona dell’attivo appunto la forma, serbandone il significato: si coniuga come un verbo passivo, ma vale come un attivo. La diatesi deponente è, quindi, un ibrido di attivo e di passivo: né l’uno, né l’altro: come in mezzo, tra l’attività e la passività: diatesi mediale che rende il soggetto come attivo rispetto alla sua stessa passività, e come passivo rispetto alla propria attività. Il soggetto, cioè, subisce se stesso nell’agire, e agisce se stesso nel subire; e la forma media ne illumina appunto la vita prescindendo da ogni particolare situazione; o, meglio, ogni singolarità relazionale in cui il soggetto è coinvolto, di volta in volta lo qualifica come se il soggetto non fosse altro, che la disponibilità ad assumere questa o quella condizione… Il soggetto media, ossia passa in mezzo a ogni stato e condizione, a ogni azione e situazione, riflettendola: intensivamente, non estensivamente, dinamico: inter-essandosene: lasciando agire fare accadere…
Interpretare, quindi, è un’azione che è sì transitiva, cioè un passaggio ad altro; ma questa alterazione è ripercussiva: il soggetto si trova alterato: alienato in un oggetto che è assunto e sostenuto al punto che il soggetto è una esposizione, un uso non dell’altro, ma dell’alterità stessa: il soggetto interpretante è sempre tale da transitare nell’oggetto in modo da deporsi e, quindi, marcarsi come non altro, che assente nel transito stesso: l’interpretante è un soggetto intransitivo.

L’oggetto dell’interpretazione, quindi, non è altro che una situazione del soggetto: è il luogo che il soggetto occupa oggettivamente, ossia nell’oggetto, nell’interpretatum. Entro cui la localizzazione soggettivo-interpretante accade, cioè cade sporgendosi, si espone in un sito di disponibilità: l’oggetto e il soggetto, nell’interpretazione, coincidono, cioè alla lettera cadono insieme: si depongono sì da lasciare che un vuoto si liberi; o, meglio, l’accadere dell’interpretazione si dà nel mentre co-incidono e soggetto e oggetto, e l’interpretante e l’interpretando-interpretato: nel mentre si schiude la vacanza del loro incontro.

Se l’interpretazione, letteralmente, si assolve, ed è un accadere, in e per un vuoto, allora l’interpretare è un uso; ed essendo l’uso una in-differenza tra attività e passività, una zona di tensione tra un proprio e un improprio, ecco che questo punto di agio è un vuoto d’evento.

2. dal-vuoto

Ogni interpretazione lascia intatto – e cos’altro, se non proprio ciò che è pure il (suo) interpretatum?

Ogni interpretazione dice del e nel vuoto su cui il testo insorge – il testo è tale, se è contornato coronato sostanziato da un’incastonata vacanza significativa – nel vacuo contorno, che è il centro, il cuore tremante pulsante del testo, il mondo tiene in assedio il testo – riducendolo al suo, testuale vuoto: il testo, nel mondo, è di questo il vacuo segno: il vuoto di reale.

L’interpretazione è l’esprimersi, anzi, il marcarsi di questa trasparenza kenotica che con-tiene e testo e mondo.

Se il testo non concrescesse in e per un vuoto, il testo sarebbe non del mondo e nel mondo – il mondo insorge, nel testo e dal testo, nella vacanza con cui il testo convive colmandosi di mondo.

Interpretrare o sia: evacuare. Mondeggiare.

Banalizzazione

Per interpretare un testo, c’è bisogno che tu ci stia dentro.
Perché si possa starci dentro, il testo deve tenere un luogo vuoto, in cui farti mettere.
Questo luogo vuoto è il mondo, il lettore: e interpretare è impossibile: leggere-dentro, appunto interpretare, leggere-tra, appunto interpretare: avere intelligenza del testo: intellegere appunto legere-intus, dentro, e legere-inter, tra: per leggere dentro, nel senso-autentico-vero del testo, devi stare appunto dentro nel testo: per stare dentro, per situarti all’interno del testo, questo posto non può essere occupato già da altro: altrimenti tu non ci potresti entrare nel testo e metterti al suo interno; per leggere tra le righe del testo, devi poterti muovere all’interno del testo e il movimento è possibile solo dove non c’è già altro, quindi, nel vuoto; e in questo vuoto dentro nel testo, in questo vuoto del testo, se ci sei tu, non c’è il testo: se c’è vuoto e non c’è testo e ci sei tu che leggi e tu sei chi stia nel mondo fuori dal testo, allora nel vuoto del testo, che ti consente di entrare nel testo, c’è il mondo: e ogni testo è vuoto: e ogni testo parla del mondo, altrimenti non sarebbe testo: altrimenti, se un testo non parlasse del mondo e della vita e del lettore, non varrebbe la pena manco di leggerlo… Forse!

Nel vuoto dell’interpretazione testo e mondo coincidono: cadono insieme: cadendo insieme perdono, depongono la loro immagine identità di testo e di mondo: quindi da questa coincidenza, da questa contemporanea caduta nel vuoto di testo e di mondo, insorge il lettore: tu: libertà di poter essere il testo che leggi: di poter stare nel mondo fuori dal mondo: il lettore è una estasi di testo, una esistenza, uno stare fuori, del mondo: una follia nel mondo. Nella vita.

 

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