Di MANUEL PAOLINO
La mia passione per il mondo ellenico, e per ciò che ruota intorno ad esso, costituisce anche il punto di arrivo di una poesia che in tutti questi anni, in cui sento di poter affermare di aver conosciuto, come disse Archiloco, ‘l’amabile dono delle Muse’, si è mossa fino ad approdare ad una specie di realismo mitologico. Il poeta di Paro, colonizzatore di Taso, nel suo cammino non solo ebbe il privilegio di incontrare la lira: egli fu anche un soldato, e da soldato, forse mercenario, perì in battaglia. Nel primo verso del suo distico citato poc’anzi egli afferma: ‘Io sono il servo d’Ares’, o ‘lo scudiero di Enialio’, epiteto di Ares, a seconda di come si preferisca tradurre il frammento.
Archiloco rappresenta al meglio l’idea del poeta-soldato, tanto da definirsi servo della guerra, scudiero di un dio massacratore. Di fatto lo era; allo stesso modo si potrebbero invertire i paradigmi. Ecco che il senso si amplia notevolmente come nella risoluzione di un enigma arcano: scudiero delle Muse e conoscitore di Enialio. Perché no, quindi, immaginarsi Ares armato di panoplia splendente con al posto dell’ascia una lira? Questa è la mia interpretazione di Archiloco, un poeta che fa della poesia la sua vita, la sua missione, la sua arma, il suo dovere, la sua responsabilità, la sua bilancia, proprio come se fosse un soldato, e un poeta. Muovendosi nel territorio del realismo, lasciando da parte il linguaggio epico omerico, egli sfrutta il suo dono per raccontare ciò che lo circonda, quello che questo provoca in lui, e reagisce come la freccia scoccata con violenza da un arco alle provocazioni e alle suggestioni della realtà.
È a questo punto che mi ha portato il mio percorso poetico, alla definizione del poeta-soldato attraverso il movimento nelle estetiche e nelle scelte, o forse incontri, che lo hanno contraddistinto. Ogni mio particolare comporre ha sempre suscitato in me delle riflessioni; ogni mio cambiamento stilistico, un nuovo apprendimento e un tassello ulteriore per definire il cerchio del mio viaggio, per la costruzione di una definizione di poesia, che si estende quasi fuori dalla teoria per conferire ad essa un’immagine e un corpo.
Se davvero il poeta affronta un sentiero fatto per gradi, nel quale dalla scoperta del proprio dono giunge ad un punto in cui ne diventa l’involucro, per poi una volta liberatosi conquistare l’autonomia e la capacità di agire nello spazio e nel tempo, allo stesso modo potremo fare tale similitudine con il passaggio dal mondo ermetico, surreale e creazionista – da quel paesaggio visionario che scaturisce e termina nel poeta o muta in qualcosa di indipendente – all’approccio realista. Così come il poeta soltanto dopo numerose possessioni (l’addestramento) si trova in grado di trasportare la propria veggenza su un piano che egli controlla o cerca di gestire insieme al pensiero e in stretta collaborazione con l’ispirazione, alla medesima maniera solamente in seguito ad avere penetrato innumerevoli livelli di coscienza, di visioni, intimi mondi e esperimenti, può allora approdare con la più adeguata armatura alla realtà; ed inoltrarsi, ora sì, con questi nuovi occhi, nel territorio del realismo. Adesso il poeta può descrivere con le sue mani quello che lo circonda: come il guerriero o il marinaio che ritornano a casa dopo molti anni di traversate e guerre, ora scopre improvvisamente le capacità e l’attitudine giusta per coltivare la propria terra, fino al prossimo arruolamento.
In un mio componimento passato Ermete ammoniva il poeta chiedendogli: ‘Non credi sia vano il tuo agire?’.
Lo è. Forse. Eppure come Archiloco io sono spinto ad agire, e ad agire ancora, insieme a una lira dalle sembianze di una spada, o viceversa.