
Di VLADIMIR D’AMORA
dopo una Rivoluzione
Russa
E ci chiudemmo gli occhi con le mani raggelate
da una primavera disossata. Sotto
stringemmo baci. La
buona saliva la pelle da non più consolare.
E carnosi. Noi venimmo dopo la fine
dei pezzi ricomprati.
.
Poi ci levammo da una storia di maschere incollate ai nomi.
Nove rivoluzioni
su questa elettrificata scena finimmo nello scoppiarci
facce
nel gelo, e senza l’amore e senza il croco
disegnammo sparpagliati accenti per l’incuria del Giusto.
Ed era meglio non morire.
Se in un urlo dedicato
essendo la carta di fine-uomo noi non respirammo. Rapporti
sfilacciati. Compiti
e destini ai verticali
trivi imbustati o come il
monte per essere la zolla: a meritare
sole straniero.
.
perché oggi dilaga come la mente
la presa dell’assurdo dei giorni uguagliati
ai giorni senza difesa e rannicchiati
nella visitata vita montata per
l’inter esse pur
con uno l’altro lava mano e la bocca
strigne quando il
sangue esploderà a un distintivo
d’urlo:
e siamo i lottanti
i filmati già.
.
Abbiamo ricomprati occhi e sole straniero.
Era per non incespicare
in delle puttane
dalle bibite energizzanti.
Spillare un altro sogno ai dannati
che ora dormono.
Sorta la luna dal monte Lui
non la ode.
.
Se dev’essere un’àncora
la nostra linguavita,
la mia lingua sarà il pianto di rigide
tue lacrime nel vuoto. Nei
buchi inabili a essere il mio seme con
la paura
dovrai concrescere con la maniera della più lauta
finzione orlata. Così per
l’esplosione di biscotti vaghi,
per il rombo di un altro
disegno liquido immergerai congegni
antichi nelle fini presenze e fatue.
Ma ogni volta in cui perderai tra voci
e i canti gli scuotimenti inversi e interiori nulla
esigerò o darò io a
te.
Solo presente
sarà un altro prezzo
della tua tarda rosa.
.
Come due sputi sul bianco di una più saggia cosa
la vergogna totalizza
ormai la nuova povertà per l’inumana
sera dei limoni neri
per le mani slegate
reciprocamente definitivi
i giochi imprestati a una fede
sformata
questa vita devota i suoi altri
lamenti non spegne.
.
nella decisione di esiliarci da una merce
da un bacio rimestato,
dal chiedere di scordare oggi il sole,
da le nenie corte e disperate,
da questa retta di penetrazione decresciamo
in fragola a un’infanzia spesata
dal vano esistere, anni
rilasciati
ad arrossire su balconi asociali.
e riempendo l’aria d’altro disegno
copioso il denso dire è interminabile
restare alle caverne di un sogno di animali
non tristi.
dagli spessi corpi e inciviliti
nello stento una storia ricopre
di un altro
oltraggio
il segno per un folle amore del cazzo.
e nello storto insieme,
all’incidente di uno schermo
stringendo i folti
margini un infinito
risuona come se ci fossimo impalliditi
Poesia.
.
All’ora andammo a fare di un cambio di una merce,
il terreno della caccia all’ente naturale.
Quello
insorge
da questo gonfio palloncino esploso come
” come il dare pane al ramo d’altro albero [o] un uomo ”
tu,
che mi stai sbattendo nel possibile,
che non esplode.
Dentro nel ventre.
.
Abbiamo rinunciato alle luci del sangue e liberi
noi non siamo nati.
Quanti millesimi
di fiore nel tanto dei desideri commisti ai dolori.
Fuoro imposte facilmente
a obliqui volti le fedi quasi alluse.
E fu una sveglia clinica;
dunque un martello
atto a cingere
di noi i sensi,
per qualche morto e morto ricordo.
E non riflettemmo
altro che il male, toccatovi a dare a Oggi altri
futuri inconsci e un ordine opalino. Dominando
poi questi lati ignudi era un finito e reale subbuglio,
a dondolare noi col miele greco. E una memoria
perderà sole le voci del mobile e fedele
pomeriggio ai lenti e defilati monitor avete
voi
estratto da i baratri e da prone Idee sorgenti
fiati con la mossa imprecisa:
era
verace travaglio
o anche il figlio anche non cieco.
Era l’anima, nei suoi arrischiati nomi.
.
Se manca il mare. Dopo la rivoluzione.
La voce
delle famiglie gli stracci una di lingua
linea di Caracciolo in delle
domeniche imprestate una noia è più negra
d’ogni merce ricostruita. Manca
il mare: è la sua perfetta e indiavolata
sera lungo l’arterie larghe; e immesse
nella zona di un pupazzocuore. Dove
un altro
gelato si compra per non
fallire. Manca
il tuo odore giovane, il mare mentre tutto
rolla in un vita monitorata i passanti,
come delatori elettronici non si avvedono
che il mare oggi è il suo profondo e assente segreto.
Favola antica:
da le madri morte,
al sole di nuovo.
.
L’acqua non puote
svellere i nuovi metalli
escogitati dai coriondolati nessi delle istituzioni.
Se potesse colmare degli spruzzi
fangosi una certa astuzia rivolterebbe
il suo verso elementale. L’acqua
è una nazistica natura:
se non manchi.
.
Quanti avvitamenti e quante corse
Lanciate ai fazzoletti nuziali. Majakovskij
Ritrovava la ragione nelle biscottiere
Nuove per non scordarsi del sole. Fu
Il suo estremo e fertile saluto
a questa fragile prigione.