Angela Botta, estratti da “Teatro di Carne”, testo teatrale incentrato sui tarocchi

Il Matto

Di ANGELA BOTTA *

PRIMA DEL TEMPO E DELLE DOMANDE

 

La donna era al centro della stanza, nuda, bellissima.

– Che cosa mi hai portato?

 Disse la figura alta e imponente nell’ombra.

– Ti ho portato me.

– Davvero? E’ sicuramente uno stupendo regalo il tuo corpo, ma per quale motivo dovrei darti la mia attenzione? Eppure sai quello che io posso fare, potrei averti comunque.

– Perché è da me che tutto è cominciato.
Non illuderti, tu hai e avrai solo te stesso.

Ora fermati … e ascoltami.

Questo è il mio spettacolo di carne.

POETESSA (voce narrante)

Le parole cominciarono a creare il nuovo mondo.

Salivano dalla terra lente e feroci, lei le guardava attonita, stanca e densa d’odio, quell’odio che rende spettri della propria esistenza.

Stanca della sua condanna, voleva essere carne, sentire l’odore forte degli umori, il sangue spezzato farsi attenzione.

Imperfezione del raccontare, Lei era la Vita, Lui forse solo la sua stessa Voce che la rendeva nuda di fronte ai suoi desideri.

Come se spiassi Sherazade dal buco della serratura, vedevo la Vita carezzare il sogno di essere amata nella sua forma di donna.

Precipitava il mio sguardo nel pozzo di questa visione
e sapevo che nessuno poteva dirmi nulla del perché fossi presente a quello spettacolo.

Siete e sarete anche voi qui con me, senza saperlo, trasparenze di un pubblico che forse si fingerà attento.

Congiungerò la visione agli occhi

Fluirà lo sguardo senza luce

nel corpo fermo della nascita

Narrerò il destino che non saprò mai

Questo è il Teatro della sua Carne _____

LA NASCITA

Il teatro si formava dai suoi occhi, forse l’esistenza dell’Umanità, il respiro, il congiungersi all’amore sono il prodotto“solo” della Vita in arme, entità esterna e interna al nostro essere.

Cosa stiamo aspettando? Arte ed esistenza del suono delle cellule in un immenso palcoscenico, lei è lì, come se la amassimo e la stuprassimo ogni volta.

La Vita risuona come canto di donna e il suo congiungersi con noi tocca nel sentire lo strazio di una donna_ bambina che odia e ama ogni istante.

Così io la vedevo nascere, trasformarsi in donna davanti a me. Lei poteva ora creare il suo palcoscenico, chiedere finalmente il suo destino, e per farlo scelse la sua simbologia rituale.

Dalla nebbia nacquero lentamente gli antichi Arcani, i quali si fecero avanti a risponderle, uno a uno inesorabilmente vivi.

Ho avuto sempre dentro di me la sua voce, mi parlava di altre esistenze, poco della mia, la sentivo sussurrare tra i miei capelli, tutto il dolore possibile, i sorrisi, il battito del cuore delle Stelle.

Nella sua forma umana non sapeva che la stessi osservando… vedevo altre ombre intorno a me, ma sapevo di essere la sola ad ascoltarla.

Vi narrerò la sua storia, così come lei la sta narrando a qualcuno che somiglia a un Uomo, ma che dell’Uomo ha solo l’immagine.

Fate silenzio ora … ha aperto il suo sguardo.

I SCENA

Buio totale, una donna vestita di bianco, con una tunica morbida, si guarda intorno, viene seguita dalla luce tagliente, quasi caravaggesca, poi comincia il suo dialogo con un’ombra informe dai vestiti laceri.

Voglio leggere!
Voglio capire cosa si nasconde
nei mondi capovolti del mio delirio.
Aspetto sempre quella sentenza
che mi appartiene,
più di ogni cosa vivente
voglio il mio destino.

Voglio leggere!
Cosa mi rispondi tu
che sei follia della vita stessa?
Cosa rispondi mentre guardo
le tre punte del tuo cappello
e la pelle lucida
della tua carne a brandelli?

Vuoi iniziarmi a me stessa?
Vuoi che chieda, o vuoi che sia io
a lacerarti gli abiti
come cane feroce
che attende di divorare?

Eppure io vorrei solo essere vivente.

Parlami dunque…

Urla

Parlami

Urla

Parlami

Il matto si scuote, si muove dapprima lentamente, poi in maniera vorticosa e sul finire del dialogo il suo corpo è mutato. Egli danza come cigno nero, giovane e affascinante.
La trasformazione si compie mentre scorrono le sue parole rivolte alla Vita

IL MATTO

Io sono tutte le cose
potenziale enigma della mutazione
Materia non creata
eppure vivente
Lo zero che tiene la fisica delle cose
e rende eterea la metamorfosi

Partenogenesi di tutto ciò che langue
entro il confine dei dispersi
Io sono il nulla!

Il nulla

che genera

Cosa vorresti dalla tua follia

vestita di niente?

Cosa vorresti?

E sia così
sono io il matto
Non ridere di me…
Io prenderò il tuo posto
In quei semi, seni, osceni
In quel vuoto che abbaia
Cane contro cane
Bianco contro bianco
Bastone o forma o nuvola
Io non mi fermo al ventre…
Vado oltre
quella grazia informe
ed eterea
Glande o organo dell’eterno
Forma asciutta e libera
o confinata dentro
ma che esplode in nascite e caos
in niente che possa
o muoia
ma cade in ciò che è
Nascita e incesto
Pienezza vuota
Accoglimi fuori
Nei fiori
Nell’eterno nano
Gioco io, io,
devi, devo,
in fondo cosa aspetto
sentito il mio rispetto
ma prendimi la mano
sono un nano
son l’eterno
sono un gioco
dammi fuoco
Spezzati per me
Io sono libero di te
Sono libero
Per te
Per te
Per
Me
Per
Me…

La vita è furente come se guardasse gli occhi della sua mente.

– Cosa vorresti dalla tua follia vestita di niente, cosa vorresti dal tuo destino?

VITA (al Matto)

Libero di me…libero di me.
Non ti illudere.

Perché dovrei essere il tuo riflesso?

Se la condizione umana tace,

io sarò magistero e apparenza.

Sono io ad essere dentro, anche nella tua follia,

con l’amore, sì con l’amore che muta in te.

E non c’è spazio che neghi o dorma
dove io non ti toccherò.

Non ti darò pace, o corpo, o risveglio.

Il caso appenderà il destino ad asciugarsi.

La vedi la mia fonte nuda?

Pensi che io non possa, tenerti dentro abbastanza?

Inizio e fine, stai scontando la noia di essere,

ciò che tutto contiene.

Non è estranea neanche l’umanità

a chi ne possiede il germe insano.

Cammini sulle terre emerse

in quella lucida caduta della ragion pura.

Cancelli crudamente e crudamente appari

nella mutazione costante, parto di stelle nude.

Pensiero ebbro senza distinzioni ignobili

Così io ti accolgo, così io ti accolgo,
che tu lo voglia o no.

Sei dentro all’origine e sparso a brandelli

sulla mia cieca luna.

Io sono la Vita e dovrai impararlo!

Non sei il mio solo destino, sei parte dell’indefinibile

che io stessa ho creato.

La Donna-Vita si allontana lentamente con un sorriso, parlando al folle si muove tracciando nell’aria dei segni, come se sfogliasse delle carte, dei petali nell’aria.

Non è sufficiente la tua follia, non crederlo, non ne hai il diritto. Io continuerò a cercare.

Non smetterò di domandare, vedo un’altra forma, si sta avvicinando, so che non esiste, è solo la follia e il suo scindersi. Ecco lo vedo, lo sento avvicinarsi, è così giovane i suoi occhi brillano di fuoco e ombre.

L’uomo si avvicina, ha un’aria insolente, gioiosa. Rotea vorticosamente le braccia tra sfavillio d’ori e guizzi d’ombra. Cammina sempre di più verso di lei, con aria solenne e canzonatoria al tempo stesso.

Chi stai guardando, me?

Urla la donna_vita, e lo osserva smarrita, aggressiva e dolce al tempo stesso.

Forte risuona il timbro del giovane mago.

IL MAGO (alla Vita)

Ti ho ascoltata, ma guardati,
ora sei tu a perdere pezzi, guardati,

il matto ora danza, non è più un vecchio folle,
tu gli sei passata accanto

e ora balla col corpo del tuo desiderio.

Io sono vivo, ricordalo, se passassi attraverso me

avresti la sordità di un urlo troppo forte,

per questo so che vorrai ascoltarmi.

Occhio androgino

Archetipo del dolore dell’inizio

Giocoliere o mago

Se passassi attraverso me

periresti di spada o d’infinito nel mio cappello.

Affronterò i cavalieri dell’errore,
con gli strumenti del sapere.

E tu densità di luce, soccomberai

Nel tuo ego o nella tua forma impura

Quale lotta vuoi che vada in campo,
per i tuoi ingordi sensi?

Finché ci sei ecco… l’amore

L’egoismo estremo del piacere

muta l’arte in oro.

L’uomo sorride, vedi, il folle sa di averti spezzata,  e il mago indica il suo volto con espressione eloquente, come se tornasse solo carne e uomo.

VOI

Voi dovreste capire dove si ferma la sua notte, dove si inchina quando piange e vi respira.
Voi dovreste amarla come mani di vento vermiglio e d’aurora.
Sospiri di trame segrete del delirio acceso, voi che siete virtù del vento e del suono che cade, in quale caverna osaste cedere al tempo tutta la storia possibile, tutto il cammino delle mie ninfee.
Acqua di Universo, quando dipinsi il corpo nudo della mia donna crepuscolo.

Arcani tragici sancite destini che non vedrò mai, perché nel tempo il tempo giace, e prende nella bocca la fonte del riflesso, per non essere niente.

Eppure qui esisto e sono tutte le donne e gli uomini del sentire occulto, accostate l’orecchio al mormorare del vento e degli occhi attutito dalle nudità dei desideri.

Non sentite quanto trema, ossessionata dalla mancanza.
Voi non le date il percorso, le date figli e consigli, neri di gemme e sali, e macchine e antenne e cibo e ricordi d’istanti, perduti e perdenti note dolenti, di musica e follia.
E non le date che il vuoto per la lama di sangue conseguente, ed io sono qui a fermare l’emorragia delle parole negate.
Non tagliate ancora il cordone ombelicale del principio del mondo, potrebbe soccombere al suo stesso sguardo.

Io intanto
la guardo …

E mentre la guardo, tutto accade da sempre.

E voi, voi …che dovreste conoscerla perché non la sentite?

Non sentite la dilatazione del parto della sua mente.
Ha ascoltato, l’ultima esplosione è ancora in lei, e ancora in lei è tutto ciò che strappa l’odio.

Vibrante analisi del fato, coincide l’ultima catastrofe con la trama dell’inutile.

Cade, non ha più mani da donare.

Perché non le parlate più dal tempo dell’ispezione ultima tra le sue gambe insanguinate.

L’ultimo sorriso di bambino assolato, è esploso nel suo grembo, e ha visto frammentarsi la luce di Monet nelle schegge dell’Atomica. Terribile fu la quiete radioattiva.

Tutto tace, e voi, voi, a chi chiederete di strozzare l’antitesi dell’oblio, che è finzione di danza su avvenimenti e spazi occlusi.

Arcata senza denti spezzati dal destino, marea del danno, coincidenza e paura, niente annega oltre la sua luce.
Vi protegge senza similitudini, con le unghie strappate, si astiene perché troppo è il canto acceso dalle urla coincidenti.

Si stupisce e mi sorride

Ed io …

non riesco più a respirare

detrazioni e conseguenze

della mia fertilità accecata

Tacete voi che non avete dubbio,
dovreste accarezzarvi fra le gambe nude,
non far finta che non accada il vuoto.

Avete fatto mai l’amore col vostro sangue,
non so tacere,
non so far equazione di conseguenza e atto.
Io l’ho vista mentre si amava, e questo è inudibile, incontrovertibile alleanza del non finire, urlare è troppo poco, vivere è insufficiente al gesto.

Vivere non coincide col suo sentire.

Ed io che potrei dire

Questo è il danno

Infrangibile stupore dove si affianca il seme all’interno della castità del vivere, lussuria è lama effimera e conseguente vanità di malinconia inutile.

Voi dove eravate quando caddero torri del cielo e immensi spazi?

Dove creavo le sue membra, non esisteva il mondo, solo la sua luce.

Crepuscolo di una notte incombente, piansi il suo corpo d’infinito e il mio spezzato ai suoi piedi. Le strapparono gli occhi, io c’ero e non feci niente.
E’ mia la sua impotenza!

E ancora mi chiedo perché, perché il suo sangue e il suo respiro si chiusero nell’omertà del mondo che tacque il suo limite offeso.

Nella nostra storia inutile, quel corpo è mille corpi, rotolava il costato del silenzio nella follia feroce e quieta. Dove sei, dove sono, dove è possibile?
Parto di senso non importa, non c’è ancora.

Lei sa nascere

Tendo la mano e chiedo

Sono io a doverti uccidere?

Non chiedete a me

Voi sapete farlo

Non chiedete a me ciò che sapete

Dal primo istante insanabile non ho armi o arte

eppure la follia ascolto fino al ventre del desiderio intatto, che crea e non muore.

Dopo queste parole un uomo imponente si avvicina alla Donna-Vita e le si rivolge con fare arrogante e al tempo stesso suadente.

________________________

* Da Angela Botta, Teatro di Carne, I scena ed estratto poetico.

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