Quattro poesie di Angela Botta

Di ANGELA BOTTA

 

Apocalisse Vuota

Cieli abbastanza grigi da non fecondare nubi

liberano vapore dal terreno caldissimo

è atto sacrilego quella nebbia che sale e forma corpi,

Elena guarda e ostacola fantasmi prima di seminare

attenta a se stessa più della pioggia.

Spazi di narrazione incongrua mi attendono

mentre Anna mi sorride eppure sa, di non esistere abbastanza

non ama più, me lo sta sussurrando mentre piange.

Non so più di chi dovrei scrivere e mentre fecondo

l’ultima parte possibile, Angela mi tiene le mani

e aspetta tutti quei nomi, centinaia e centinaia

mentre torna nel suo inferno freddo

a spingere carretti di carne da distribuire all’anima.

Affacciati alla finestra vedo alcuni uomini

lavano vetri e pioggia, lode al cielo gridano.

Io divento uccello e pesce e vento

lode alla mia bocca grido mentre cado.

(inedito)

 

Per tutte le volte

Fabbrica di tumulti tra spazi chiusi, banalità in bottiglia.

Chi offre di più non teme la fabbrica degli incesti.

Oltre la finestra bianca, oltre le spalle

in questo peso immenso

tralascio la domanda e dono il futuro.

Sprezzante negazione della speranza

concepisco in vitro senza negarlo.

Sono figli d’immenso, piani obliqui della necessità,

e mentre mi spari trionfa la neve.

Non sopporto più il nulla…

Che si tinga di giallo questo sangue

sto scopando la strada nuda,

mimando gli alberi della perdita.

Eccomi sono pronta a morire,

solo perché non riesco a non ridere?

È sempre quello che mi accascia

sono televisiva come una bagascia.

Portatemi sull’altare vestita di cielo

tra Duchamp e Man Ray

così viva da esistere per sempre

divorando il sesso dei sogni.

Tutto vedo a forma di luna

e ho perso i piedi per camminare sul fiume.

Portami via fratello crudele

Voglio i campi di Van Gogh, i suoi cieli di stelle.

Un piccolo angolo nell’Invisibile

Tra_dita di senso e masturbazioni

Abbraccerò le cose mai dette

e morirò per loro, come fosse un Amore.

(inedito)

 

Salomè è cieca

Di antiche membra comprai gli occhi

ma fu inutile l’urlo del portento.

Un pittore cieco rubò il mio sguardo

e non so più attraverso quali sponde, dipinsi le pareti.

Pensiero labile di una magia efferata

creami nel tuo delitto inconsapevole.

Precipita la luce della pietra,

alla sinistra del cielo perdonami la chiave.

Nell’altra mano sono ostaggio

e senza occhi posso vivere le fiamme.

La verginità sul piatto del tempo

ha fatto nascere il dolore.

Ripeto l’ossessione che fu catena trasparente

di una danzatrice scalza soffocata dai suoi veli.

Mantieni fermo il vento

per trattenermi in quell’istante tra crudeltà e dolcezza indaco.

Sento la genesi dei riflessi

Siamo mura e densità dell’incontenibile,

non potrei farmi sfiorare.

Siamo invisibili ed hai in mano la mia testa,

mai fu più dolce l’attesa di morire.

Venite a me disse la danzatrice scalza

Vennero in mille a dominare il tempo delle urla

ma nessun gemito ebbe mai la sua paura.

(Da “L’Amore è un’Apocalisse degli Sguardi”)

 

Sfiorando la follia

Non contendeva le carte al destino.

Semplice era il bianco che cadeva nell’alternarsi

e mentre lei passava non c’era spazio per la sua mente offesa.

Non era abbastanza lo scontro di passaggio indenne

su scale di un contar le stelle di fulmineo rossore,

immaginato tra voli neri e argilla da impastare.

Tutti a tavola su un corpo da scannare.

Tutte le frequenze possibili sul viso in maschera,

ombretto azzurro e carne bianca di volto.

Semafori da guardare con gli occhi fissi dietro al loro cielo.

“Sono stata bella!” gridavi

col carminio delle labbra che colava dai bordi incisi

“Sono stata bella!”gridavi

con le gambe oscenamente aperte a un pubblico di topi.

Vederti è stretta al cuore, ma io, ti vedo ancora bella,

con le sopracciglia ad ali di gabbiano nero

hai il volto ferito e luminoso della resa.

– Non dirmi nulla, sono stata bella abbastanza da non amare

e il mio cervello è in pasto a i corvi, mentre un’altra donna

si scopa il mio destino, allevo colonie d’estasi e notturni in divenire.

Larva di un’allucinazione dove tutti i maschi baciano la mia bocca d’inverni,

ti accendo possedendoti nella pozione sinistra del mio passo incerto.

(Da “L’Amore è un’Apocalisse degli Sguardi”)

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