Sonia Caporossi, “Erotomaculae” (Algra Editore 2016): la recensione di Giovanni Agnoloni

 

13 maggio, Bologna In Lettere: presentazione di "Erotomaculae" (Algra Editore 2016), di Sonia Caporossi, con l'introduzione di Alessandro Brusa
Sonia Caporossi

Di GIOVANNI AGNOLONI *

Il suono è al centro della poesia di Sonia Caporossi. Erotomaculae esemplifica alla perfezione il succo del percorso letterario e musicale di questa autrice (e musicista), che in questa raccolta di versi esplora i territori dell’eros adottando forme e seguendo percorsi che richiamano le avanguardie novecentesche, e in particolare il futurismo, con l’uso delle “parole in libertà” (il che, ovviamente, non significa “a caso”) e soluzioni grafiche non solo accattivanti, ma funzionali a sottolineare la ritmica interna al testo. Penso ad esempio alle anafore evidenziate dalle iniziali delle parole in neretto:

pasticcio profumato al plasma imbevuto di cera fusa –
come
fottute
foglie
di felce
falciate”.

Queste percussioni verbali conducono, in una successione di rinterzi semantici, in un territorio ancestrale, confinante con (e potenzialmente sovrapposto a) quello del mito. E non mi riferisco solo a quelli che potrebbero sembrare dei rimandi all’antichità, come in questi versi,

“e la forza icastica che cerco
è nel tuo sorriso
traduzioni dall’aramaico
delle mie teorie mal pronunciate
scritte in codici incartapecoriti”,

ma alla percezione di una dimensione atemporale racchiusa nell’attimo compresso del piacere erotico:

“le tue mani ora
mi lisciano come fossi un gatto arruffato
e piegano i silenzi dei nostri rancori passati
come fossero spighe del sonno
che s’inchinano ad un vento impietosito
i guanti eburnei della tua pelle
e tutte le carezze del tuo respiro
che effonde su di me la ritmica dell’attimo
ricercano sul mio corpo i segni del futuro”.

In questi versi riecheggiano memorie e sonorità dei lirici greci (penso soprattutto ad Alcmane e a Saffo) e rivive una tradizione classica imbevuta di senso del tragico. Tuttavia, il richiamo al futuro contenuto in questa cornice è il segno di un’intrinseca vis protesa in avanti. L’attimo presente, intensificato nell’eros, è dunque riflesso del remotamente lontano come anche di una prospettiva evolutiva – e direi quasi metamorfica – dell’essere.

Precisamente questa carica viscerale è l’elemento più intrinsecamente moderno dei versi di Sonia Caporossi:

“Non potrei urlare ancora
non potrei alzarmi e fuggire
non potrei rifiutarmi di guardare
l’evidenza criptica del tuo sguardo
terrificante monodia dell’anima
eco del suono e del senso”.

Suono e senso, perciò, si rivelano come le radici dell’esperienza erotica, che spreme da dentro non solo secrezioni e passioni intimamente covate, ma contenuti archetipici cui il linguaggio poetico di questa autrice continuamente attinge.

Alla luce di queste riflessioni, una nota a margine: i versi di Sonia Caporossi sono scritti pensando all’amore omoerotico, ma non si può assolutamente parlare di Erotomaculae come di un libro “LGBT”. Le tematiche e i livelli di contaminazione, di fisicità ed emozionalità sono talmente vasti e profondi da non consentire una classificazione entro questa definizione.

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*  Recensione pubblicata su Lankenauta l’11/01/2017.

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