Di VLADIMIR D’AMORA
Perché, in un modo o nell’altro, la solitudine è una minaccia dentro e fuori di lui, la comunità non è più che un fantasma e la legge che parla ancora in essa non è neppure la legge dimenticata, ma la dissimulazione dell’oblio della legge.
Maurice Blanchot
E’ giusto: come una poesia, come una operazione tragica, una scrittura tragica, e come un certo, solo certo cinema, la pubblicità abolisce l’immagine figurando l’essere immagine dell’immagine, il pro-dursi, farsi stesso dell’immagine. E’ giusto: alla pubblicità riesce un mondo de-immaginizzato, s-magato anche, riesce un senza immagine. E’ giusto: la pubblicità è immagine dietro all’immagine, ancora questo è, anche così è. Ma dietro all’immagine è propriamente sì ancora un’immagine, ma propriamente l’immagine di non altro, che del senza immagine: il senza immagine rappresentato, ossia presente in una intensità di presenza: prodotto e mostrato, montato — se ogni montaggio conta su un certa maniera della cesura, e anche della sospensione, e dell’interruzione.
Il mondo deprivato, è il mondo deprivato d’immagine, è l’immagine che la pubblicità è. Da una parte, che sarebbe orfana, l’immagine è immagine di nulla, dall’altra parte, anch’essa presumibilmente orfana, il nulla mondeggia: il mondo come, ossia il mondo che è un nudo fondo, un fatto immaginizzabile non perché possa essere immaginato, ma perché è immaginato, è esso stesso una delle immagini, ossia riferimento anche, riportato alla significatività immaginale, a una mera e significativa immagine; e ciò solo per il tempo che la sua alterità da(l) nulla viene consumata.
Che l’immagine che la pubblicità è, cada nell’epoca della tecnica, che sarebbe una consumazione integrale della natura nell’artificiosità e artificialità, dei mezzi negli scopi, dei fatti nelle interpretazioni, ciò tenta a credere piuttosto che la pubblicità mantenga tradizionali e scolasticamente riconoscibili dicotomie: natura e storia, teoria e prassi, interno e esterno, vero e falso, essere e pensiero, mondo e linguaggio, vita e forma, senso e cosa e la denotazione…, in una certa funzionalità an-archica, nella loro purezza d’anarcoide gestione — un impianto che si imponga: imponga a ciascuna, qual si voglia differenza una terminazione la cui ulteriorità giaccia almeno tensivamente: irriconoscendosi le partizioni resistono come le partizioni, la loro perdita fissata in una revocata, e revocabile, definitività.
Accanto e per il mondo non solo immagini, ma abissi non spalancati d’immagini, ossia l’in-terminata durata della produzione d’immagine, di una strategia di gratuita scoperta denegazione. Dietro all’immagine non solo l’ennesima immagine, ma il loro immaginale riparo, un rifugiarsi, esso stesso, al sicuro, sprofondando come uno specioso relitto prezioso, e pregno sì di tempo, ma di presenza.
Poetica, se non tragica, insomma teatrale l’immagine che la pubblicità è: tanto chiusa nella sua finzionalità, mascherata come autopoiesi, da potersi denunciare altrimenti, rispetto al mondo: sempre schiuso, indovinabile come l’esperienza — dei vissuti stessi. Ma, insieme, filosofica, anzi di certa cinematograficità l’immagine sempre aperta a lasciar cadere i suoi modi per il suo essere, le sue possibilità anche per l’impotenza, per uno scambio con il compiuto e il conclusivo. Alternativa al mondo, lo convoca nella medesima elusione mediale, e per una dissolvenza in un assoluto risplendere.
Tuttavia. L’immagine che la pubblicità è, la si sgama facile riducendola allo spessore della mera astrattezza strumentale, di una tanto desolata operazione di calcolo, da potersi appunto feticistizzare. Parimenti è facile collassi una certa immagine, disattivandosi e giacendo come, come un pretesto polemico in discorsi pervicacemente venati di rinunzia a ogni economicismo. E si può, si pensi a certa filosofia, e al comico.
Nonostante tutto ciò, e la sua agevole contestazione, che s’incarna proprio nell’agio laterale dove, sebbene il vacuo, si è (come) costretti, e a precipizio — ogni altro discorso, ogni immagine è una specie dell’imitazione, una tecnica intensivamente presente entro l’immagine che la pubblicità è.
Bello questo articolo, ma c’è anche una traduzione in italiano? 😀