Questo urlo, questo grido: Munch secondo Vladimir D’Amora

Edvard Munch, "L'urlo", 1893, olio, tempera, pastello su cartone, 91×73,5 cm, Galleria nazionale, Oslo
Edvard Munch, “L’urlo” (1893), olio, tempera, pastello su cartone; 91×73,5 cm, Galleria nazionale, Oslo

Di VLADIMIR D’AMORA

questo
urlo
questo
grido
Un quadro molto molto conosciuto è di un artista vissuto riconoscibile tra ‘800 e ‘900: questo dipintore si chiama come Edward Munch. Ha realizzato anche un ritratto di Nietzsche: i colori per la morte di un dio ha fissato e trovato… Ma l’opera sua più nota è una tela intitolata: L’Urlo o Il Grido.
C’è una figura, una figurina, che è quasi un uomo, anche un soggetto. E che è immerso nella realtà circostante: da questa realtà è respinta quanto più le appartiene. Il fatto di questa realtà è che anche la sua realtà è circostante: è solo il soggetto di questo soggetto. E’ come se la realtà sia insieme realtà fatta e paesaggio di una natura: e lago: acqua e terra e cielo, cioè una totalità riconoscibile degli elementi di una natura, e l’alto e il basso, cielo e mare: sono indipendenti da questo soggetto: sono oggetti senza potere: sono dipendenti da questo soggetto come una sua emanazione, come da una sua proiezione. Sono soggetti.
Questa realtà è il fuori del soggetto, intorno al soggetto è una realtà simile a questo soggetto: dietro a questo soggetto in un piano primo in secondo piano ci sono uomini più umani del soggetto del primo piano: gli uomini solo somigliano all’uomo, sono gli altri, gli uomini, altri soggetti, altri dal soggetto e del soggetto: sono estranei a questo soggetto e se ne stanno: in lontananza defilati e addirittura gli danno spalle corpo distratti alieni: questo soggetto in una specie di fuga della sua soggettività. Gli altri sono fughe di soggetto.
Questa soggettività, che fugge e da cui fuggono, ha una sua consistenza, come una qualcosa che si lancia, si proietta, esce fuori dal soggetto e fa stare il soggetto fuori da se stesso: quasi: la posizione del soggetto è una tesi di movimento: non proprio un moto, ma un suo stadio di moto: come il luogo stesso in un movimento: di un moto – quale movimento? E qual è quivi questo luogo se è questo, il movimento?
Il ponte.
Il soggetto è un soggetto del ponte, un ponte-fice… Come K.
Sul ponte l’uomo si fa compagno della sua solitudine. E urla. E grida.
Nel mettere a fuoco, perché la voce mette in un fuoco: la voce è Geist, più che Spiritus: più che Pneuma: questa voce dipinta è una voce che urla: che grida: più che voce questa voce è il movimento dell’intero corpo, che è quasi un corpo: poco più di un corpo è questo soggetto, quivi un corpo infranto anche, un divenire che resiste al suo interno e intero divenire-corpo: il corpo.
Ma non è più un corpo proprio, il corpo urla: grida. L’anima è la voce coraggiosa e inane che urla: grida: l’anima brucia il soggetto in fiamme: le fiamme sono invisibili.
L’anima e il corpo, laddove il soggetto sia il soggetto che…
La realtà è l’uomo: la realtà è la natura: la realtà è quasi un uomo: quasi una natura, quasi un paesaggio.
E’ intorno, la realtà… Solo intorno.
E si muove.
Dalla forma: dalla firma di riconoscibilità e di presenza – però c’è natura, c’è realtà.
E sono allucinate. Ma non allumate.
Questo soggetto fa il ponte: è il pontefice dell’epoca: la sospensione del ponte batte, ossia combatte, il movimento della Storia.
Ma la storia di questo soggetto, di questo ponte, di questo cielo, di questo lago di questa svizzera qui, e della terra: è la storia che brucia gli scheletri: che non si lascia stare nemmeno in quanto è scavata dalla solitudine di sospensione, questa storia: tra le acrali capacità superiori di chiudersi il senso, la recettività, l’udito, e si chiamavano mani, e il suo urlo e il suo grido quivi scorre una striscia esterna a tutta questa arte: in un contatto senza sospeso.
Senza dono.

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