
Di DARIO ZUMKELLER *, con una nota critica di SONIA CAPOROSSI
Se la krisis, dal greco “krino”, “distinguo”, è momento di discernimento, di critica, di superamento del marasma caotico dell’indistinzione semantica, la nuova poesia sperimentale che si affaccia alla ribalta negli ultimi anni, prodotto del cervello mefistofelico/mefitico (non nel senso di nauseabondo, ma nel senso di moralmente instabile e quindi, pericoloso) di giovani parolieri e versificatori italiani contemporanei come Dario Zumkeller , somiglia quanto più possibile a un tentativo di ribaltare il senso stesso del termine “sperimentalismo” incanalandosi verso una destrutturazione del verso tanto più interessante quanto più indecedibilmente chiusa ed asfittica: un’ “asfissia”, termine caro al Nostro poeta, che descrive perfettamente la sensazione di soffocamento avvertita dal lettore durante la fruizione della silloge “La calce di Ulkrum”; lettore che, però, vi si deve volontariamente adagiare a rischio altrimenti di non aver capito (o còlto) proprio niente; giacché lo strozzamento è il tarocco archetipico che cortocircuita da sempre l’infinito rimando di senso e significato, o per dirla in termini logici, di Sinn e Bedeutung, checché Gottlob Frege ne dica.
La poesia di Zumkeller getta in qualche modo “l’immaginazione in scacco”, per dirla esteticamente, e sospinge il fruitore a concepire una dimensione altra, composta da una logica ulteriore in senso etimologico: un po’ come quando Cartesio scriveva all’amico Abate che Dio, in quanto onnipotente, avrebbe benissimo potuto concepire una logica talmente “altra” da far star insieme tranquillamente, sul quadrato logico, i contraddittori e i contrari, allo stesso modo Zumkeller fa convivere sulla superficie bidimensionale della pagina molteplici strutturazioni microcosmiche, ognuna dotata di un’apertura, in quanto sistema aperto, verso aliud, il tutto reso attraverso la forma perfettamente concepibile della narrazione, della poesia che dice e che dicendo, mostra.
Così, nella poesia di Zumkeller, si ritrovano condensati con tutti i crismi le iconologie dello schianto del senso, anche rabberciate in forma di immagini semplificate incarnanti un richiamo ortodosso alla nostra società dei consumi: non fossero altro che le emoticons dei cellulari, come ennesima incarnazione dell’ideogramma cinese che, dice il Volgo, rappresenta il termine razionale e reale della Crisi in un’ambivalenza significativa: crisi come rischio e pericolo, crisi come opportunità, nell’ “algoritmo inseguitore” di un abbaglio di coscienza che, a fine lettura, restituisce corpo allo straniamento.
Buona lettura.
Sonia Caporossi
PREPARAZIONE DELLA CALCE
Alla corte reale
le rose hanno tolto la croce dalle loro spalle
e i loro petali hanno conquistato le acacie.
Rose danzanti intorno ad una regina
condannata sulla livella a spingere il suo carro
impazienti ed avide di realizzare un disegno
un buio spogliato
una cieca asfissia
i sacrifici di sangue
quel sangue
per lavare i petali pixellati dalla polvere dei loro cadaveri.
Respiro unisono alla discesa dell’ostia methotrexate.
>____<
Giunte mani spinescenti nelle tenaglie d’ombra, anchilosate.
ç____ç
Non posso pregare padri non miei.
Gigli di gomma
portatemi su
figli di rovo
portatemi su
nella natura senza scettri.
Datemi i fantasmi
datemi la pioggia per scrivere
datemi il suono della diastole
moribonda
sempre più piccola
(figli di rovo)
fino a seppellirsi
(gigli di gomma)
arreso
al capzioso mantra
the end.
A ritmo “perso”
scendono dalle penta-scale le piccole semibiscrome di anatemi. Un viso appagato e un imbuto cieco circondano i fulmini sbarcati in fiume d’orchestra.
A ritmo “perso” x_x
nei passi del gambero
in un’ipnosi regressiva
avvinghiato in un continuo hang over
e bruciare come l’erba che espiri da un bong
e sentirti ancora perso come un fumo esausto
a caccia di vecchi oggetti, vecchi posti
vedere tuo fratello che felice mangia un’arancia
o quella margherita gialla
donata in un sole terso di terzo giugno
ed ora, cosa sono nella foresta di mangrovie
con le mani dentro ad un pozzo?
A ritmo “perso” nei secondi che corrono, x_x
e come vorrei, tra i fulmini profughi
che la clessidra si rompesse in tredici secondi e tredici frammenti di gioie.
Spalle costrette dallo zaino pesante.
Dietro, la carreggiata sola.
Il passo muove stentato sulla calce,
claudicante,
su fazzoletti di vespe tronche.
ç______ç
Diventano vecchie e irriconoscibili le tue mani.
INGRESSO IN ULKRUM
Bellezza etrusca
scendi dal grande pilastro irminsul
con le ali di balsamo del tolù
ed accogli nel tuo turibolo una caterbia di povere facole.
Le forme del tuo corpo sono spasmi
che la notte si gioca in un lancio di dadi
distesa sul tappeto di lenticchie d’acqua
la tua aureola che copre lo specchio dell’asmansia.
I tuoi versi creano un plug-in che attraversa
l’infinita steganografia del credo.
Sorridi
mentre un dito disegna le tue labbra matriarcali
e trova lo spiraglio delle idee raccolte in un vaso di ginandro.
* . *
Lepre
divora le viscere della compagna
e copri gli sgarri con il tuo ossesso-ossesso compulsivo rigeneratore.
Lepre
asporta l’utero della compagna
offrilo in sacrificio ai piagnis-dei dei cani bimbi
che implorano la salvezza dei loro capillari essudati.
Portali nella macchia grigio-celeste del Dark Island: il profumo materno
che appaga il loro totem assetato di estetica eversiva.
E’poi tutto sarà up and down
La saliva copiosa up and down
Le mani up and down
La testa up and down
Ed infine una frana di massi sul versante a franapoggio
inghiottiti dalle caverne visibili da un fluoroscopio.
“I don’t make mess
I give my best
I never rest”
Continua lepre
rovistando nei corpi aperti
scivolando verso le pianure di gabardine mutilate
bagnate dalla saliva gocciolante dal becco di un’aquila
quelle noie macchiate dai sapori mielosi (acquacheta cà nun s’mov)
piangendo l’errore dell’ermeneutica
ciò che non fu e ciò che non sarà.
Nel cruciverba di fabbricati neri cubici,
dai molari cariati,
accarezzati dai lampioni di luce color ciliegio,
le colonne fracide stentano all’algoritmo inseguitore.
Ma non si voltano a curar di questo,
con carte, contratti, e sirene tutt’intorno.
Verso il giorno ultimo, è il silenzio, il non esistere felice.
😥
Il tempo del sacro
scivola tra le dita come un tessuto chiffon
ed ha i colori dell’inverno-inconscio perenne
di colori silenziosi
scialbi
di raso lucente all’apparenza
friabile e pieno di crepe all’interno.
Il tempo del sacro è Rostov, sulle rive del Don
la terra bianca di alnico
le mani annerite dai campi.
Il tempo del sacro è la solidarietà che diventa spirito
solo quando dio diverrà comunità di colori cangianti.
Il tempo del sacro è quindi una malattia infantile
una rabbia repressa
un’avidità di sogni
un fiore di frangipane.
Cerco il mio nome
sbattendo il naso sulle lapidi di marmo
scatarrando sulle foglie in KO
scavando nella cenere di ormai
e nelle nicchie svuotate dal grecale.
Con il viso tumefatto e le arcate sopraccigliari
pestate dalle pioggie dei cardi,
ho perso il mio nome L in una forte epistassi.
Ma ormai non ha molta importanza.
Il nome è solo un pallino colorato
appeso al filo verticale di un abacus
per la somma di destra e di sinistra
un oggetto funzionale per gli smerigli
un’estensione dei nostri corpi
scontato ai saldi nel reparto “luxury shit”.
Fine modulo
Inizio modulo
IL PARADIGMA DELLA DISTOPIA
Perché siamo dannati nel fecaloma
dove anche i gabbiani di notte non dormono più.
Ma io non sono muto ai loro versi
per dire all’accusatore
che di noi, residui clastici, sia fatta la calce del carceriere.
😦
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Da Dario Zumkeller, La calce di Ulkrum, Edizioni La Parola Abitata, Napoli 2016
Non si considera, erroneamente secondo me, l’aspirazione dell’Autore al ramo poco esplorato e spesso dimenticato della poesia detta “metasemantica”, con l’utilizzo di neologismi privi di senso corrente, in grado comunque di suscitare effetti nel lettore altrimenti inspiegabili e inesprimibili dalla poesia tradizionale, dal futurismo a oggi. I modelli classici, però, esistono e sono da ricercare nella poesia dell’ epoca neroniana, con Lucano e soprattutto Persio, nella sua “chirurgia poetica” e nell’ uso di espressioni corporali, effetti di straniamento, come ci insegna il La Penna, e nel forte effetto dato dalla “aspra iunctura”. Autore sicuramente tra i più degni di attenzione del panorama moderno.
L’ha ripubblicato su disartrofonie.