“Erotomaculae” di Sonia Caporossi: la recensione di Francesca del Moro

Sonia Caporossi, "Erotomaculae", Algra Editore, Catania 2016
Sonia Caporossi, “Erotomaculae”, Algra Editore, Catania 2016

Di FRANCESCA DEL MORO *

Sonia Caporossi

Erotomaculae

Algra Editore 2016

Come è tradizione per l’autrice, il titolo del libro è un neologismo che fonde greco e latino anticipando fin da subito lo stile che caratterizzerà le pagine a venire. Lo sconfinare tra una lingua e l’altra è infatti proprio delle neoavanguardie novecentesche così come lo è la variazione grafica che Sonia porta all’estremo, passando continuamente da un carattere tipografico all’altro, cambiando stile, dimensione e interlinea, spostando parole in apice o pedice, rompendo la regolarità della linea, che ondeggia, saltella, cade, si dispone a gradini. Le variazioni, spinte al parossismo in questa poesia visiva memore della lezione futurista, suggeriscono di volta in volta alterazioni nel tono della voce, richiamano l’attenzione sulle numerose allitterazioni, oppure – è il caso delle cancellature – insinuano dubbi e sospensioni. Enfatizzate dal grassetto e dalle dimensioni esagerate, certe parole balzano all’occhio ancor prima di iniziare a leggere facendo apparire la pagina effettivamente screziata. Ma le “macchie” cui si allude nel titolo sono soprattutto le eruzioni cutaneo-verbali dell’amore, una malattia infettiva che, come tutti i morbi di questo genere, si manifesta con stati di alterazione febbrile e talvolta perfino visioni allucinatorie. Non si può che esserne contagiati: qui tutto fibrilla e arde di una febbre amorosa che ha ammalato l’individuo nella sua interezza, coinvolgendo mente, corpo, cuore. Così come i sensi ne sono vivificati, anche l’intelletto è stimolato a utilizzare al massimo e al meglio i suoi strumenti per celebrare la grandezza della passione, dire dantescamente “ciò che mai non fue detto d’alcuna”. Ed è forse il risultato più straordinario del libro: proporre una scrittura al tempo stesso cerebrale e appassionante, di grande immediatezza eppure infarcita di enigmi, in grado di catturare, anzi eccitare, il lettore ancora prima che sia riuscito a decrittare gli innumerevoli riferimenti (alla cultura classica in primis, ma anche alla religione cristiana e alle discipline orientali). Di certo non tutto è risolto in un tripudio dionisiaco: brillano infatti momenti di grande dolcezza e ovunque serpeggia l’ansia di una totale fusione con l’amata, l’impossibilità di una completezza che provoca dolore, insicurezza e smarrimento. Non manca l’ironia, meglio ancora l’autoironia: questa si manifesta da un lato a livello grafico, con i giganteschi segni di punteggiatura che sembrano irridere le proprie scelte così marcate, dall’altro nel farsi carico di alcuni dei più diffusi cliché sull’egocentrismo dell’artista. Perché in fondo, come si dice altrove nel libro, quello che davvero ciascuno cerca in chi ama è il proprio “cosmico, sfottuto, bastardissimo EGO”.

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* Tratta dalla rivista ILLUSTRATI n. 37, #logosedizioni.
http://illustrati.logosedizioni.it

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