
Di FRANCESCO TERZAGO
Di fronte alla polemica che in questi giorni sta imperversando sui giornali, sui social e in TV circa il vestiario estivo delle donne musulmane, condividere su Facebook la foto succitata cercando di proporre un’analogia tra suore e donne islamiche tout court è semplicemente da imbecilli.
Quella delle suore è, almeno dal punto di vista formale, una libera scelta. Gli abiti che indossano suore e monache rappresentano la rinuncia alla mondanità, questa divisa è stabilita nel momento della fondazione dell’ordine, o della congrega, benché possa subire dei cambiamenti nel corso degli anni se dettati dal buonsenso. In alcuni vecchi film vediamo suore indossare la cornetta, un copricapo munito di due ali bianche, che si aprono attorno al viso: con la diffusione delle flebo e dei macchinari ospedalieri, per evitare che la cornetta si potesse impigliare in cavi e tubicini, se ne è sospeso l’uso.
La funzione sociale delle monache è ben delineata: per esempio le clarisse indirizzano la loro esistenza alla preghiera contemplativa, le missionarie della carità (suore) all’assistenza dei poveri, la loro vita è del tutto diversa da quella dei laici – esiste una divisione netta. Le differenze tra burkini e tunica sono enormi ed evidenti: da un lato ordini e congregazioni con origini storiche e codici di condotta espliciti, ai quali si aderisce volontariamente e raggiunta la maggiore età, dall’altro ogni donna che nasca in un certo contesto sociale e religioso; un fatto di sangue, in sostanza, che delineerà gli aspetti pubblici e privati della vita di una persona e che non lascerà alla stessa – generalizzando – alternative, qualunque potrà essere la sua attività professionale o la posizione che si troverà a ricoprire nella società il marchio della confessione religiosa la accompagnerà.
Io sono per la società delle alternative e credo che lo stesso valga anche per voi. La secolarizzazione, lo dico con una boutade, sta allontanando nei paesi cosmopoliti e avanzati le persone da scelte di vita radicali come quella delle suore, ogni religione è benvoluta se le è chiaro che non esiste democrazia senza secolarizzazione – come ha scritto non molto tempo fa Augé. Ci si lamenta del sacramento con il quale si accede alle chiese cristiane, il battesimo, perché è di solito imposto a persone che non hanno ancora raggiunto l’età della ragione e questo è giusto. Nell’Islam non è previsto nulla di simile: i figli di un musulmano sono musulmani (è il padre a definire la religione del nascituro, senza se e senza ma) quindi non penso esista una possibilità, di ordine formale, simile allo sbattezzo. Lo sbattezzo è un atto, garantito dallo Stato italiano, con il quale si rinuncia all’adesione a un gruppo religioso riconosciuto perché questa stessa adesione sarebbe dovuta avvenire su base volontaria; certo, anche in questo caso si tratta di un atto formale e non spirituale – un evidente frutto della secolarizzazione espresso nella sentenza della Corte Costituzionale n. 239/84. Puoi sbattezzarti e, con un’altra funzione, a seguito di un ripensamento, essere riaccolto nella Chiesa; dall’altra parte abbiamo un dispositivo senza via d’uscita e che definisce ogni aspetto della vita di una persona.
Continuo a credere che il senso di uno Stato sia fare fronte alle ingiustizie di natura, di dare a ogni persona la possibilità di una vita libera dal giogo dell’ignoranza e della superstizione: entrambe dovrebbero essere combattute senza quartiere.
L’articolo è interessante ma attaccabile da almeno tre punti di vista: il primo è che il monachesimo non è sempre una scelta libera, soprattutto in zone del mondo più povere, dove si fanno più figli e dove il cristianesimo è molto più vivo. Il fenomeno dell’obbligo imposto dalla famiglia è ben noto anche da noi, ce l’ha insegnato Manzoni, tra gli altri, e potrebbe non esistere più tra le famiglie italiane, ma non dimentichiamo che ormai una gran parte delle suore in Italia proviene da Africa e Sudamerica.
Inoltre, non tutti i paesi musulmani obbligano le donne all’uso del velo: dal Marocco alla Turchia all’Uzbekistan, gli esempi sono molteplici, eppure anche in quei paesi le donne col velo, e che quindi in spiaggia indosserebbero il burkini, sono parecchie. Lo rendiamo possibile a loro, qualora vengano in Europa, e votato ad arabe ed iraniane? Non mi sembra una grande idea. Questo oltre al fatto che non è così automatico che il figlio di un musulmano sia musulmano.
Infine sul focus: il fattore culturale, sul burkini, è un aspetto secondario, anche se qualche demagogo lo mette in primo piano. Il motivo precipuo del dibattito ha sede nella possibilità di attentati grazie alla copertura data dal costume. E la tonaca delle suore permette lo stesso, qualora qualcuno decidesse di travestirsi per attaccare
Alberto le tue obiezioni non attaccano il discorso perchè o possono essere poste nei confronti di qualsiasi argomento oppure non calzano con l’articolo:
1) “il monachesimo non è sempre una libera scelta”: “tutto” può essere una non libera scelta, ma per la religione cattolica il monachesimo è una LIBERA SCELTA, mentre il burka non è una libera scelta per un certo numero di donne mussulmane.
2) “non tutti i paesi mussulmani obbligano le donne all’uso del velo”: e dunque? ciò non toglie che una gran parte della religione mussulmana IMPONGA il velo a TUTTE le donne. Che poi alcune delle altre donne vogliano portarlo senza esserne obbligate non centra con il contenuto dell’articolo. Tale vuole spiegare perchè il paragone tra suore e donne islamiche non calza.
3) fattore culturale e attentati: argomento che hai tirato in ballo tu e che hai confutato da solo, non è citato dall’articolo dunque non attacca alcun articolo.
Saluti
Primo: lei non conosce molte suore, se pensa che ce ne siano tante, tra le africane e le asiatiche, che sarebbero addirittura OBBLIGATE dalle loro famiglie; citi la sua fonte, se non è un’uscita da bar dello sport; dia inoltre una scorsa al Codice di Diritto Canonico e alle costituzioni di quelle congregazioni in cui le risulta si commettano gli abusi di cui parla: troverà ogni sorta di dispositivo volto a contrastare questa eventualità. In ogni caso una suora che volesse ‘uscire’ è libera di farlo.
Secondo: lei non conosce la realtà dei paesi musulmani; si informi almeno leggendo le testimonianze di musulmane e musulmani laici sull’argomento. Sul fatto che il figlio di un musulmano sia ipso facto musulmano c’è poco da discutere: è così! Inoltre: se un cristiano vuole convertirsi all’islam, è liberissimo di farlo. Se un musulmano vuole convertirsi al cristianesimo, rischia la propria vita. Anche qui: si informi.
Terzo: l’uso di hijab, niqab, burqa e burqini ha una sua precisa rilevanza politica e ideologica riconducibile al salafismo wahabita. Chi lo ignora è uno stupido ingenuo oppure … un ignorante. Delle due l’una.
Carissimi, mi spiace criticare ma quest’articolo mi pare non centrare il punto, sembrerà banale ma generalizzare in questo modo porta ben lontano da una sana analisi della condizione culturale di cui si parla. (Anche se avete scelto di stare ai margini della polemica)
Ad ogni modo credo che dovreste considerare alcuni fattori che vorrei proporvi.
Innanzitutto molti sul web avranno condiviso questa foto suggerendo il paragone con il burkini in modo provocatorio, anche per sottolineare l’assurdità della guerra al burkini. Quindi senza l’intenzione di instaurare un vero paragone tra i due.
Poi da questo articolo si lascia intendere che nella religione musulmana non ci sia scelta, io non credo sia corretto, è una religione complessa da analizzare perché è abbastanza eterogenea, ogni imam sceglie una linea guida che la sua comunità deve rispettare, inoltre bisogna considerare le diverse generazioni, infatti gli immigrati di seconda o terza generazione spesso abbracciano anche la cultura occidentale e scelgono di vestirsi come vogliono, appunto ‘all’occidentale’ e le donne sono libere di indossare il bikini, nonostante in famiglia altre di sentano più a loro agio con il burkini. Questo non si può affermare per tutti i musulmani, è ovvio, ma non si può affermare neanche il contrario.
Mentre le suore prendendo i voti si impegnano in una scelta volontaria, accettando delle regole e tra queste un codice di abbigliamento, quindi non sono totalemente libere di indossare quello che preferiscono, ma questo non significa necessariamente che non siano a loro agio, dal momento che non credo siano i vestiti la loro priorità.
In ogni caso il paragone tra i due con l’intenso di difendere l’una o l’altra fede mi pare proprio ridicolo, Il vero dato da considerare in questo contesto è che gli unici ad imporre qualcosa in senso negativo sono i politici francesi, dall’altra parte io vedo solo delle scelte.