3 pensieri su “Carlo Quaglia, “Sentimento mediante uno spazio topologico X su un suo sottospazio Y”, poesia su quadro di Carlo Carrà”
Molto molto interessante. Mi ricorda certe riflessioni sul rapporto fra spazialità e prosodia nella poesia; cioè a dire, come la poesia tradizionale (ma in gran parte anche la poesia in forma aperta) sia per lo più spartito alla lettura, tralasciando l’alternativa via di una distribuzione del senso nello spazio, che la renderebbe certo illeggibile, ma altresì non-locale, rarefatta, ipnotica, tutta contemporanea al lettore.
Anche se, poi, da un tentativo di lettura mi pare di capire che in questo caso abbiamo una poesia scritta per essere letta e poi distribuita sull’immagine, giusto?
Giusto! 😉 Non mi soddisfaceva molto la giustapposizione testo/quadro. Ho provato graficamente la sovrapposizione e ne è riuscita una buona “sovrimpressione”… Grazie mille! 🙂
Si, non è affatto male. In questo caso forse dovremmo parlare di “spartito come di opera d’arte”, prima e al di là dell’eventuale realizzazione fonica. Come se solo l’esecutore possa veramente capire, e gli altri che stanno a sentire fossero più complici e spettatori della sua fruizione che fruitori passivi.
In modi diversi anch’io ho una mezza idea di provare una cosa del genere con una mia poesiuola.
Molto molto interessante. Mi ricorda certe riflessioni sul rapporto fra spazialità e prosodia nella poesia; cioè a dire, come la poesia tradizionale (ma in gran parte anche la poesia in forma aperta) sia per lo più spartito alla lettura, tralasciando l’alternativa via di una distribuzione del senso nello spazio, che la renderebbe certo illeggibile, ma altresì non-locale, rarefatta, ipnotica, tutta contemporanea al lettore.
Anche se, poi, da un tentativo di lettura mi pare di capire che in questo caso abbiamo una poesia scritta per essere letta e poi distribuita sull’immagine, giusto?
Giusto! 😉 Non mi soddisfaceva molto la giustapposizione testo/quadro. Ho provato graficamente la sovrapposizione e ne è riuscita una buona “sovrimpressione”… Grazie mille! 🙂
Si, non è affatto male. In questo caso forse dovremmo parlare di “spartito come di opera d’arte”, prima e al di là dell’eventuale realizzazione fonica. Come se solo l’esecutore possa veramente capire, e gli altri che stanno a sentire fossero più complici e spettatori della sua fruizione che fruitori passivi.
In modi diversi anch’io ho una mezza idea di provare una cosa del genere con una mia poesiuola.