8 marzo 2013

Il monologo nella palude: l’8 marzo o l’invenzione di una festa inutile

8 marzo 2013
8 marzo 2013

Di ANTONELLA PIERANGELI

Ora possiamo finalmente parlarne. A festa ultimata, a mimose ormai tristemente appassite dentro involucri infiocchettati e vagamente rosacei, appuntati come medaglie al valore su muliebri e palpitanti petticini, orgogliosi di cotanto affetto, da omoni e omini e ominicchi sortiti da ogni dove con regolarità di marea.

Al tramonto di questa pagana kermesse che ogni anno strazia l’ecosistema facendo scempio di alberi umili e maestosi, colpevoli soltanto di essere giallofioriti, mi sento di chiedermi e di chiedervi, quest’anno più che mai, che cosa ci sia mai da festeggiare?

Ogni anno, in Italia come nel resto del mondo, ci sono donne picchiate, violentate, torturate, vendute, mutilate e spesso, troppo spesso, barbaramente uccise da uomini in virtù del loro “essere donna”. Le violenze, gli stupri, i femminicidi sono ormai diventati spesso la drammatica risoluzione delle controversie.

Allora mi chiedo, donne con la mimosa attaccata al collo come un collare per cani da riporto, di che cosa dobbiamo gioire? I dati sono agghiaccianti: ad una rapida disamina, scopriamo che il femminicidio in Italia è la prima causa di morte tra le donne tra i 16 e i 44 anni, cresciuto nel 2012 del 6,7%. La realtà italiana poi non brilla neanche nel campo della parità dei diritti. Secondo il Global Gender Gap 2012, l’Italia è passata dal 74esimo all’80esimo posto, dopo Bangladesh, Ghana e Perù. Addirittura al 101esimo posto per partecipazione economica e opportunità concesse alle donne da parte di questa società ancora troppo maschiocentrica. Il nostro paese ha il più basso tasso di occupazione femminile, facciamo peggio di Romania e Bulgaria.

Ma la violenza è il dato più devastante in Italia: nel 2012 è stata praticamente uccisa una donna ogni quattro giorni da ex-mariti, ex-padri, ex-amori, ex-esseri umani. Viviamo in una palude marcescente di indifferenza e dominio del vacuo, del fatuo, dei sentimenti codificati nella fraseologia povera e rabberciata dei talk-show dove uomini e donne (titolo di una nota e aberrante trasmissione televisiva postprandiale, assolutamente deleteria sia a livello sociologico che neurologico), con simulacri di presenze sinaptiche  nello sguardo affogato di mascara, vengono conglobati e ingoiati dall’immaginario televisivo reificato nella mistificazione normalizzante dell’irreale spacciato per reale, sotto forma di immagini virtuali da possedere e da fagocitare non più come oggetti di desiderio ma come beni di consumo. In questa fiera dell’orrore, la donna oggetto che le femministe negli anni ’70 tanto aborrivano diviene dunque un feticcio preistorico se confrontata con la donna da palchetto che il virtuale totalizzante del feticcio televisivo propone.

In questa desolazione, nel vuoto cosmico della sottocultura, della violenza e della sopraffazione arrogante del maschilismo più becero, viene automatico considerare anche la donna che accudisce la figliolanza, che lava cumuli di mutande sporche magari dopo aver lavorato otto ore al giorno, una cosa da scannare o strangolare non appena non si mostri abbastanza docile o appaia poco facile da “guidare”, imprigionare, comandare come un automa. Femmina da letto e da riproduzione, mai testa pensante, mai padrona di se stessa e del proprio futuro, a dispetto di tempi nuovi, di quote rosa e di donne al centro del mondo: il “mi lasci, ti cancello” è dunque ancora la logica di una catena da incubo in cui femminicidio, stupro, violenze e abusi sono orrende realtà che un ciuffo di giallo su di un fermaglio, in un pallido giorno di marzo, difficilmente potrà cancellare.

Basta feste allora, meglio teste, se pensanti meglio ancora.

16 pensieri su “Il monologo nella palude: l’8 marzo o l’invenzione di una festa inutile

  1. Subcultura. Giorno dopo il giorno dopo del niente altro che, la sottocultura invade e giustifica la localizzazione dell’abuso della donna. Cosa può dare per esempio alto\altro il Femen se non una nuova sottocultura spettacolare e già spettacolarizzata? Ma non alzo la bandiera di guerra, perché bisogna riconoscere la colpevolezza di certe donne che non arrivano mai fino in fondo alla resa dei conti con loro stesse e finiscono per accettare e reiterare di generazione in generazione lo stereotipo della “perfetta donna”, inghiottendo mimose e palcoscenici scintillanti da mercato delle bestie docili. L’altra parte, quella che mostra le piaghe del vero vivere, deve lottare anche contro di loro, e non è giusto, it’s not fair. Eppure lo si fa lo stesso, ognuna con le proprie cianosi quotidiane ed esistenziali, perché “al di là del giorno” ci sia il rispetto.

  2. Condivido pienamente tutta la riflessione su questa giornata, è vero non c’è niente da festeggiare e nemmeno da indossare mimose…purtroppo la nostra realtà è fatta di donne sensibili, attente, pensanti e consapevoli del proprio valore ma anche di tante altre donne che si adagiano oppure non riescono a ribellarsi dai condizionamenti culturali e sociali. La violenza non avrà mai fine perchè spesso è mascherata dai presunti sentimenti che il genere maschile fa passare per amore (possesso dell’altro) e anche dal ruolo imposto alle donne di moglie-madre-figlia che ancora non riusciamo a cambiare. Secondo me ,come donne, abbiamo il dovere di educare anche i nostri figli al rispetto reciproco e le ragazze ad assumere un ruolo diverso e paritario nella società.

  3. Veramente la festa era nata come International Working Women’s day , proclamata dal movimento socialista internazionale e nella sua versione del 20 secolo era stata associata alla commemorazione delle oltre 100 operaie di tutte le nazionalità bruciate nel rogo della Triangle Waistshirt Company, una fabbrica di camicie di New York in cui le porte erano state serrate per impedire alle lavoratrici di interrompere il lavoro. Molte delle donne arse vive erano operaie di origini italiane. Questa storia delle mimose e dell’omaggio alla “donna” in sè è un po’ una versione italiana della festa, che probabilmente un tempo aveva qualche riferimento politico che poi si è perso per appiattirsi a una “festa” alla stregua della festa dei nonni e dei vicini. Comunque anche nell’affermare l’inutilità della festa nella sua configurazione attuale mi sembra invece utile rifarsi alla sua storia e al fatto che in altri paesi ha un’altro tipo di risonanza.

    1. Cara Pina,
      quanto scrivi lo davo per scontato; il problema è che oggi l’8 marzo passa per una semplice ricorrenza di festività e nessuno ne ricorda più il significato originario.
      Un saluto
      Antonella Pierangeli

      1. Veramente quasi nessuna delle persone con cui ho parlato delle origini della “festa” sapeva dell’incendio, delle sue origini socialiste. Si vede che nel corso degli anni il suo significato è stato cancellato ed è stato accettato che fosse così anche dalle donne che sapevano. Mi ricordo che un paio di anni fa quando ho espresso alle mie amiche di imola indignazione per il fatto che una palestra (gestita dal gruppo sportivo “di sinistra”) invitava le donne a iscriversi per’8 marzo e incominciare a mettersi in forma per l’estate e suggerivo di scrivere una lettera di protesta mi hanno guardato come un’aliena allertandomi al fatto che non avrebbe avuto nessuna risposta e che alla gente andava bene così.Forse questo lasciare correre generalizzato ha inciso molto sulle nostre condizioni attuali.
        un caro saluto

  4. Condivido. Ma mi dico anche che se le donne non stessero con quegli uomini, quegli uomini non avrebbero modo di maltrattarle, tantomeno di ucciderle. Sicuro, non esiste giustificazione alcuna per spiegare ragionevolmente l’omicidio e i maltrattamenti, ma al di là del bene e del male, del cosa è più o meno giusto, rimane il fatto che molti uomini sono violenti, ignoranti e dispotici e le donne stanno loro accanto. Giustificano, tollerano, accondiscendono. In acuni casi per ingenuità ed eccesso di romanticismo. O forse per egoismo. Per vedere realizzato il ‘sogno’ di sapersi amante, moglie e madre a tutti i costi. A parità di diritti una donna, rispetto agli uomini, ha un potere assoluto. Il potere della vita, il potere di generare. Prima di educare gli uomini al rispetto, sarebbe necessario le donne acquisissero la consapevolezza del ruolo, essenziale, primario, che hanno all’interno della società. Società da essa e grazie a essa generata. Non esiste uomo senza una donna. Che le donne si chiedano perchè hanno permesso agli uomini di sopraffarle.

  5. Cara Antonella, sono d’accordo. Io già sostenevo quanto tu scrivi nel 1988, durante un convegno a Bari.
    Ti metto il link dell’intervento:
    http://www.nadiacavalera.it/prose/2013/per-labolizione-dell8-marzo-di-nadia-cavalera.html
    Il fattaccio che sta all’origine della festa dovrebbe essere tenuto a mente ogni giorno dalle donne, e rientra comunque nelle richieste di “Se non ora quando” e decisamente nelle iniziative del 25 novembre, contro la violenza sulle donne. Risparmiamo le innocenti mimose.
    Nadia Cavalera

  6. proviamo a essere pratici: la violenza è sempre un comunicare una violenza subita, un bisogno, un modello culturale introiettato, una pretesa: proviamo a stanare i bisogni, proviamo ad ascoltare i carnefici trattandoli da esseri umani, prendiamoli in considerazione come non si sono mai sentiti. viviamo in una civiltà che possiede gli strumenti delle scienze sociali, del diritto e della politica: mettiamoli in pratica . . ovviamente difendendo le vittime! ma considerando anche il carnefice una vittima al quale dobbiamo offrire un altro modo per comunicare, una diversa reciprocità nella quale la perdita, la rinuncia, la sconfitta assumano il valore del rispetto per sé e l’altra. insieme, perché da soli e da sole non abbiamo la soluzione di nulla

    1. questo è pietismo. Maledizione, ci hanno messo sotto per millenni con la scusa di comprendere e perdonare i carnefici in nome di una ricompensa spiriturale. Niente da fare, l’altra guancia la porgono poi loro in galera. Paga, e dopo pentiti e dopo ne riparliamo. Paga ogni cosa, la vittima, invece. La mia controproposta è invece chiara: castrazione chimica. Vedrete che il fenomeno smette il giorno dopo.

  7. sicuramente da festeggiare non c’è propio nulla..ma purtroppo l’ipocrisia regna sovrana….non è con una banale ricorrenza che si possono eliminare tutte le sofferenze delle donne …usate,uccise,e violentate…ma ci vorrebbe be altro…

  8. insomma i dati reali negano completamente la tesi del femminicidio e in relazione all’europa i numero di morti femminili indipendentemente dalla violenza è bassissimo. si tratta di percezione indotta? vittimismo teso a guadagnare vantaggi? perchè non cercare di comprendere gli altri facendo per una volta lo sforzo di uscire dal continuo riferimento a sè e soprattutto iniziando a rispettarli?

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