
Di SONIA CAPOROSSI
La funzione postmoderna dell’arte
Poesia è conforto di un istante
Mentre tutto intorno giace rattrappito
Esalando promesse al futuro nevercome
Le estranianti sinottrie di un impegno da seguire
Ecco l’uomo nudo, lapidato
Pietre segniche che schizzano dal suo cranio scoperchiato
Gli ricadono sfinite noncuranti tutte addosso
Lapilli masnadieri dal vulcano informe della sua coscienza
Poeta, un transgender della sua follia
Giordano Bruno ridotto al lumicino
Senza più alchimie da sovvertire
Né formule elitarie da occultare
Nella tasca segreta delle sue mutande
Poesia è il vomito di un istante
L’alleggerirsi scabro di succhi gastroenterici
Un dito immerso nell’egolatria
Della Musa di turno,
nei suoi affreschi vaginali.
(10/02/2002)
Io scrivo
… E l’impegno di portarmi sempre
questo calvario addosso
questa fellatio esausta delle mie pagine bianche
alla punta fallocentrica polipale
– venature d’inchiostro erette a filo d’aria –
del mio cosmico, sfottuto, bastardissimo EGO.
(10/02/2002)
Io scrivo II
I miei versi a colori
Deep blur emozionale a schizzi viola
Trasgressioni cromatiche tinte di vita
Innocenti espressioni di una cruda varietà
Forme vuote nel segno di Dio
Infisse come stelle cieche nell’orbe del mio cielo
Racimolate sulle sei facce del dado
S’avvicendano mentali, una pigra ipocrisia
Guardando dal di sotto la realtà meno che umana
Come ancelle di una mano priva di divinazione
Che il futuro qui non trova, bensì crea e non distrugge.
(11/02/2002)
Io scrivo III
Noi poeti
Villeggianti di opinioni
Fatichiamo a riconoscerci per strada
Ruttiamo versi stanchi sulla tavola imbandita
Della nostra vilipesa umanità
Mentre
Feroci crocicchi di pensieri avversari
Si scontrano e si incontrano nelle pagine interiori
Col taccuino scoperchiato sulla tazza del cesso
Come adesso mentre penso, parlo, respiro e scrivo.
(11/02/2002)
Io scrivo IV
Invenzione
È un respiro ritrovato
Nel coraggio dell’ignavia
Tra pensieri palombari
Incagliati nell’apnea.
(11/02/2002)
In Bus
Ripetimelo tu che cos’è un uomo
La cruda essenza dell’essere invoca l’apparire
Un vacuo femminino mi assiste incuriosito
Mentre getto sul foglio le mie perplessità
Che cosa è la poesia, necrosi di un istante
Una scabra pellicola di sangue ormai rappreso
Si stacca come una membrana rilassata e inflaccidita
Rimane solo il caldo che di umano non ha nulla
Nella chiusura asfittica di un antro d’ospedale.
(Autunno 2005)
“Dell’elogia del sentirsi liberi e liberi di fare poesia” di Cony Ray
I versi di “Sei poesie sulla Poesia” di Sonia Caporossi sono un’elogio alla libertà di pensiero come di fare poesia.
Già questo è il punto: ossia come comunicare la condizione di un poeta nell’era “postmoderna”, la sua ragion di essere nella società attuale, i suoi sentimenti, le sue sconfitte, le riflessioni interminabili di un suo “spleen” sentendosi – seppur prigioniero della sua condizione – davvero libero e di poter suscitare così altrettanto negli altri, come altri interrogativi ancora?
Ecco, allora, che il foglio di carta si fa prateria, la lettura come l’ascolto del prossimo nostro – poichè il poeta, Sonia Caporossi ci sta parlando nel tentativo “estremo” di poter avere un dialogo con noi – è l’Ovest da conquistare pacificamente, ma con decisione come quando si tira un cazzotto allo stomaco (metaforicamente parlando).
Sonia Caporossi ci mette all’angolo già dalla prima ripresa/dai primi versi.
E lei è dotata della forza poetica di un Léo Ferré in “La Solitude” o di “Préface”, erede inconsapevole – ai nostri Tempi oscuri – di Sylvia Plath finanche di una Anne Sexton, a ricordarci – come recitano i suoi versi in “La funzione postmoderna dell’arte” – che il Poeta è:
“… un transgender della sua follia
Giordano Bruno ridotto al lumicino
Senza più alchimie da sovvertire
Né formule elitarie da occultare
Nella tasca segreta delle sue mutande”.
E ancora – in “Io scrivo” IV – Sonia Caporossi ci dona, come per altri “versi”, la sua visione del concepire Poesia – come da un ventre non più schiavo della sua funzione – che si fa poi:
” Invenzione
È un respiro ritrovato
Nel coraggio dell’ignavia
Tra pensieri palombari
Incagliati nell’apnea.”
Recensione di Cony Ray © Gennaio 2013
Cony Ray, poeta, performer e editore indipendente, è tra i poeti protagonisti del documentario POETI (Italia 2009) di Toni D’Angelo. Il documentario ha concorso, per la sezione Controcampo Italiano, alla 66° Mostra Int.le d’Arte Cinematografica – Biennale di Venezia.
Ancoria co’ sta’ storia del post-moderno……….
Il post-moderno, Giuseppe, contempla anche riflessioni sull’uso delle maiuscole e delle minuscole e sull’uso dei puntini di sospensione, che di regola dovrebbero essere … tre. Molto bella In bus.
Scusa Sonia, rettifico: In Bus.
Grazie, Silvia. L’ho scritta davvero in bus. Ero in piedi, e un’anziana donna, che mi diede un’impressione di straniante estraneità, davanti a me sbirciava sul mio taccuino. Si sudava.
Sonia Caporossi
Molto buono per una filosofa scrivere poesie. Molto buono.
Poesia sulla poesia.
Se non vi piace la poesia,
Allora il mondo, tenetevelo
Cosi com’è:
Scemo e faticoso.
Molto forti queste poesie di Sonia che danno del poeta un’immagine altrettanto forte, un’immagine che esce dagli schemi e dagli stereotipi di chi non frequenta poeti e tanto meno la poesia. E che, in verità, spesso hanno anche i poeti stessi. Mi sembra di poter dire che Sonia ridà corpo al fare poesia, corpo e materia considerandola a 360°, nei suoi aspetti alti e in quelli bassi e mettendo anzi in evidenza come questi siano in effetti strettamente legati uno all’altro, senza quasi poterli distinguere, annullando il dualismo corpo/anima o perlomeno riconsiderandolo sotto nuovi aspetti. Davvero molto interessante. Grazie. Un caro saluto. Lucianna Argentino
Sono le prime poesie che “incontro” di Sonia Caporossi. Leggo la data di “costruzione”: è passato un po’ di tempo, le avrà messe in rete per un suo nuovo bisogno, forse. Sono appunti soggettivi sulla figura del poeta e sull’esperienza della poesia, aspri e combattivi. E’ una resa estetica di potenza, non la manda a dire per moderazioni o lusinghe, si è come leoni pronti a vincere nell’arena del gladiatori. Io scrivo\ i miei versi sono a colori\ho la realtà da narrare\non fatemi perdere tempo.
Eccomi Sonia: mi sono preso, come promesso, un po’ di tempo per rileggere, pensare e mettere giù qualcosa di non troppo casuale. Ho trovato queste tue poesie direttissime nel modo e per niente scontata nei contenuti. Usi un registro certamente aggressivo, debordante, che oscilla tra un lessico ricercato e uno basso quando non volgare – e che però a volte mi respinge perché lo trovo eccessivo senza essere per forza sempre efficace (ad es. “poesia è il vomito di un istante”). Ma in questo cozzo – che solo in alcuni punti scade, a mio parere, in una sorta di “sfogo intellettuale”, allacciando le viscere a preoccupazioni da specialista: comunque più o meno le stesse che, scrivendo, potrei avere io – quello che mi piace è che questa rabbia si rivolge contro il suo oggetto, vede la poesia come insufficiente o come vizio (conforto e necrosi) anziché perpetrare tutte le storielle che la vorrebbero redentrice… e c’è da dire che anche l’andamento dei versi ‘a colata’ è efficace nel j’accuse del modo. Ti preferisco quando ‘limi’ di più, perché i versi si imprimono più naturalmente, mentre le acrobazie lessicali forse andrebbero limitate (per tenerle come punti focali del discorso) o esautorate da un uso ancora più insistito e spregiudicato. Ad esempio, l’incipit della seconda poesia (“… E l’impegno di portarmi sempre / questo calvario addosso”) è tra le cose più felici che ho letto negli ultimi tempi (forse perché sono un lirico inguaribile, e quindi quando la persona poetica esperisce oltre che enunciare, mi è più vicina). Insomma, la mia perplessità è su certo lessico e su certa struttura del tutto (l’elencazione, il bisogno di definire un concetto – vuoi poeta, vuoi poesia – tramite catene di immagini associate, di per sé una strategia un po’ logorata dall’uso di altri), ma l’urgenza e i temi sono certamente sentiti e personali: è una poesia che comunque genera una reazione, non è un cammeo come se ne fanno tanti oggi. C’è anche da dire che hanno quasi tutte un decennio, e nel frattempo il tuo scrivere sarà certamente cambiato: e infatti nell’ultima poesia, di tre anni più recente, questi “problemi” che ho confusamente cercato di enunciare sembrano risolti quasi tutti (tranne che mi piacerebbe un discorso internamente più variato: sia narrativo sia lirico sia riflessivo, ma questa è una mia fissa che mi fa storcere il naso se i testi non sono abbastanza ibridati, cioè se eccedono in un modo o nell’altro – il modo, che sia sperimentalismo spinto o tradizionalismo neomelodico, ha di per sé meno importanza delle vibrazioni interne, degli scarti.
Ti ringrazio della recensione vera e propria che t’è venuta fuori, Davide. In effetti si tratta di un polittico con componimenti di lessico espressamente materico e cortocircuito strutturale voluto che ho intrapreso in un periodo sperimentale nel 2002, tranne l’ultima che risale a tre anni dopo.
Normalmente, la mia poesia s’informa in percorsi comunicativi più astraenti, ma a tratti lirici, per quanto possa esser lirica la poesia filosofica al cui magrissimo e vilipeso filone mi sento di appartenere.
Ecco quale novità hai percepito al suo interno, una cosa che esula sia dal lirismo che dall’oggettivismo in voga oggi. E’ un percorso in evoluzione, più che decennale.
Probabilmente posterò più in là miei componimenti degli anni Novanta, all’epoca pubblicati su riviste cartacee, per far capire la differenza e la progressione (anche d’intenti) di cui giustamente parli.
Ti ringrazio anche per aver colto la sperimentazione ritmica all’interno di queste poesie e, ovviamente, per la disamina.
Sonia Caporossi
Poesia è il vomito di un istante
L’alleggerirsi scabro di succhi gastroenterici
Un dito immerso nell’egolatria
Della Musa di turno,
nei suoi affreschi vaginali.
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Tanti Ego arrancano quando i giochi sono fatti e il sommo croupier incassa la giornata e “la pigra ipocrisia” è la sintesi perfetta del paroliere di mediocre parole che nella comune indigestione somma colori sbiaditi a quelli già tinteggiati sulla tela. La poesia, forse, abbisogna di stimoli esterni per poter sopravvivere, stimoli che non appartengano al proprio misero delirio di onnipotenza generato dalla solitudine dei pensieri omologati che non vedono un attracco in un porto sereno dove le “altezze differite” delle maree sono ” imposte dalla natura”. Belle, piaciute.