Annemarie Schwarzenbach in Persia nel 1940

Oltre il giorno. Interventi nella giornata contro la violenza sulle donne / 3

In collaborazione con WSF

Scrivere con il corpo: Annemarie Schwarzenbach e il divenire mondo, una donna in viaggio oltre la modernità dissonante

Di ANTONELLA PIERANGELI

Annemarie Schwarzenbach in Persia nel 1940
Annemarie Schwarzenbach in Persia nel 1940

“In viaggio con le nostre biciclette e con la Ford, non cercavamo l’avventura, ma soltanto un attimo di respiro, in paesi nei quali le leggi della nostra civiltà non valevano ancora e dove speravamo di fare l’impagabile esperienza che queste leggi non sono affatto inevitabili, immutabili, indispensabili. Provate a immaginare: il tempo non contava! Gli orologi, i calendari erano superflui! E avevamo perfino trovato persone, contadini, nomadi per i quali il denaro non significava niente”

[Annemarie Schwarzenbach,  Kabul, 1939]

Scrivere con il corpo è, nel caso di Annemarie Schwarzenbach scrittrice, fotografa e viaggiatrice instancabile, dare voce ad una necessità insopprimibile dell’anima prima ancora che concretizzare, attraverso la trasmigrazione della scrittura dal corpo nomade alla pagina, quella sorta di essenzialismo temporaneo che, in attesa di un tempo utopico in cui non sarà più possibile parlare del binarismo dominante uomo-donna, realizzi finalmente un linguaggio che distrugga partizioni, classi e retoriche, regolamenti e codici.

L’angelo devastato – così Klaus Mann ebbe a definire l’efebica, inquieta, Schwarzenbach – e le sue opere, in un Novecento così profondamente immerso in una palude di cultura maschile e maschilista, nella loro essenza di opera aperta, trovano pace soltanto nel turbine tattico del nomadismo intellettuale e geografico in cui si dividono, si fanno testimonianza, si vitalizzano in una proliferante – e questa volta sì – femminilità generativa. La sua assillante urgenza espressiva è decifrare, non importa se con la scrittura o con la macchina fotografica, quella che Genet chiama “la spaziosa carne cantante” sulla quale si iscrive non si sa quale Io, più o meno umano, ma sempre in via di trasformazione. La scrittura ribelle e nomade e il suo vagare nel mondo, basti pensare al bellissimo Dalla parte dell’ombra fino allo struggente Morte in Persia,  è infatti l’unico luogo in cui la Schwarzenbach non è costretta a riprodurre steccati, in cui non deve piegarsi alle convenzioni familiari o sociali (che pure sconvolgerà con la sua vita anticonformista e assolutamente diversa, lei omosessuale, tossicomane, vagabonda eternamente in rivolta) ma è un altrove che scrive se stesso e che inventa altri mondi, anche scritti sul corpo, vivendo una sorta di trance erratica che non cancella le differenze, ma le anima, le persegue, le arricchisce. La sua avventura umana ed intellettuale che la spingerà insieme ad Ella Maillart fino in Afghanistan a bordo di una vecchia Ford, e che darà vita allo stupendo La via per Kabul, è una assoluta incarnazione di fierezza e coraggio di donna nello spento mondo della vecchia Europa abbrancata dallo spettro del Nazismo. Nella sua erranza di donna trova fondante, per riappropriarsi della propria identità, lo scrivere di se stessa e di quello che chiama “l’ascolto del proprio corpo in stato di grazia” e tale tattilità simultanea segna l’emergere dell’Io scrivente, non l’appiattirsi nella scrittura di genere. In questo modo la parola diviene, nell’asessuato trionfo della scrittura, carne linguistica, materia organica, scrittura dei vuoti, delle cadute e dei silenzi. Che poi la mano che muove la penna sia di una donna, non possiamo considerarlo soltanto un puro accidente…

Annemarie Schwarzenbach a Kabul, 1940
Annemarie Schwarzenbach a Kabul, 1940

“Situarsi in un posto nel mondo” è ciò che Annemarie vuole fare, appunto, scrivendo e viaggiando in quelle che lei chiama “cartografie della mente”, che sono poi mappe del suo pensiero errabondo, della sua randagìa esistenziale, ricostruibili dal luogo parziale dal quale lei stessa si guarda attorno. Nel suo desolato vagare, invita il lettore a considerare il suo viaggio “corporeo” come una mappa attraverso cui orientarsi e questa mappa ha un perno che nemmeno Annemarie immagina sarà così unico e irrinunciabile: fare della differenza – sessuale, culturale, esistenziale – qualcosa di positivo e creativo, sottraendola a quella tonalità negativa che le deriva dal fatto che ogni differenza, in un mondo dominato dalla logica del dominio maschile, è l’Altro, il che poi significherebbe che una donna è l’Altro dell’uomo, che lo straniero è l’Altro del cittadino socialmente riconosciuto e così via. Nella sua ricerca disperata della liberazione dal proprio ruolo, la viaggiatrice inquieta Annemarie ha un’unica domanda scritta sul corpo e quindi nella carne: come fare di questa differenza, anche se desolata e dissonante, qualcosa che apra uno spazio di soggettività intensiva, di aumento della consapevolezza e della percezione dell’essere?

La sua scrittura – nel costruire nuove pratiche di liberazione attraverso la sua vorticante espressività – finisce così per essere la forza che scombina la linearità dei procedimenti e delle pratiche di sopraffazione di un mondo profondamente violento e castrante, quello della ferinità maschile, che Annemarie aborre e fugge, mettendo in evidenza nelle sue opere come il “divenire donna”, contraddizioni, paradossi, punti di non ritorno compresi, crei e rigeneri la passione della libertà, la dignità, la giocosità e perfino la leggerezza dell’essere. Il suo viaggio iniziatico riguarda infatti una corporeità in divenire che va oltre i confini dell’Io e che la lega, come donna, in una rete di incontri con multipli altri, dove parti di sé contaminano e influenzano altre parti di sé. Il suo viaggio verso ciò che lei stessa definisce “la modernità” è, dunque,  l’opera aperta per eccellenza come la scrittura e il corpo sono, appunto, la matericità dell’opera. Un materialismo corporeo di donna, immanente, finalmente, si sottrae così al “fallologocentrismo” sociale, aberrazione della volontà che sta ad indicare ogni forma di dominio regolativo e di potere, di matrice maschile.

Ora proprio la figura della Schwarzenbach, androgina, eterea e in metamorfosi, è l’altro grande punto di forza del libertario e dissonante viaggio della scrittura verso la consapevolezza della sua forza: il divenire donna senza più padroni equivale infatti al divenire materia senza forma, che disgrega le identità per aprire a strade ambigue e nomadi. Così come le nevrosi di Annemarie fanno del suo corpo un relais di una rete tra umano e inumano, anche in questo contesto la sua opera apre un conflitto con l’immaginario maschile che, da sempre spaventato dal femminile per la sua materialità concreta e simbolica al medesimo tempo, si difende ricacciandolo in una dimensione di follia e di adimensionalità storica: Annemarie è infatti malata di mente, dunque condannata all’oblio dalla stessa maschilista scienza medica. Ma proprio in quel preciso istante in cui si emette la condanna al mutismo forzato e alla forzata pace interiore, le angosce che emergono come fantasmi fluttuanti dalla mente di Annemarie incidono nel suo destino i segni dell’affiorare di nuove possibilità del divenire. Sono infatti i luoghi ambigui che, nel reale della memoria, aprono tracce impreviste: la Persia favolosa percorsa in notti senza tempo, la materia senza forma della felicità di un istante fluttuante come le tende berbere in Turchia, la perdita di confini corporei nella notte cagliata di Kabul, lo sdoppiamento identitario, durante una festa in costume, con il cuore colmo di seduzioni sottili e di odalische impertinenti.

Annemarie Schwarzenbach, Zurigo 1935
Annemarie Schwarzenbach, Zurigo 1935

Annemarie Schwarzenbach è, dunque, veramente una creatura eccezionale. Attraverso le sue pagine, racconta la sua inesauribile voglia di sapere, capire o meglio comprendere la vita, il tutto con un’intensità tale da farci sentire una specie di richiamo, un urlo di libertà emergere dalle sue parole. Per anni dimenticata, caduta nell’oblio e oggi più che mai attuale. Una donna tra gli uomini del suo tempo, diversa, ribelle, il suo sguardo e la sua luce poetica a conferirle una posizione particolare nel mondo. Un’osservatrice attenta, dallo sguardo perspicace e rivelatore. Spinta dalla sua vita privata non facile, in un momento storico peculiare e indimenticabile come quello popolato dagli spettri del nazismo, Annemarie viaggia dunque disperatamente, tentando voracemente la fuga dalla sua gabbia dorata e dal suo ruolo di figlia. Proprio il viaggio è filo conduttore della sua poetica, una sorta di commutatio loci, in realtà anche terza via di fuga di fronte ad una scelta difficile tra una famiglia devota all’ideologia nazista ed un legame, quello con i fratelli Mann ed in particolare con il suo amore infelice Erika, di rotta contraria. Annemarie sembra votata alla distruzione, donna sempre in lotta e in fuga ma con forza sovrumana intraprende il suo percorso iniziatico alla ricerca della propria identità, verso la libertà, il buio e la vita.

Sono vicende umane, plasmate da un coraggio che conduce a sentieri impensabili. E’ proprio questo che la induce a dire, di fronte al deserto, in Afghanistan, in una notte senza stelle: “Si dovrebbe poter diventare un pezzo di deserto e un pezzo di montagna, e una striscia di cielo di sera. Ci si dovrebbe affidare a questo paese e disfarsi in esso. Vivere contro è una tale impresa che si muore di angoscia.”

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3 pensieri su “Oltre il giorno. Interventi nella giornata contro la violenza sulle donne / 3

  1. Mi fa piacere che il tuo articolo molto bello sulla violenza sulle donne in occasione del 25 novembre (vecchio di quasi un anno, è vero, ma io girovagavo in cerca di qualcosa di scritto da te…) sia stato accolto dal Coordinamento della scuola della Valtiberina, visto che si tratta di luoghi non di molto distanti dalla valle dove vivo.
    Bisognerebbe parlare davvero tanto di certe tematiche nelle scuole, ma, non so bene perché, non si fa quasi mai. Troppo concentrati a finire il programma?
    Daniela Gliozzi

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