Ivano Mugnaini, L'algebra della vita, Milano, Greco e Greco Editori, 2011.

Supplementi d’indagine e controperizie sulla leggibilità del mondo: L’algebra della vita di Ivano Mugnaini

Ivano Mugnaini, L'algebra della vita, Milano, Greco e Greco Editori, 2011.
Ivano Mugnaini, L’algebra della vita, Milano, Greco e Greco Editori, 2011.

Di ANTONELLA PIERANGELI

 

Scrittore realista, dotato di una percezione acutissima di quella psicopatologia della vita quotidiana attraverso cui si esprime il malessere di un’epoca, Ivano Mugnaini, ne L’algebra della vita ( Milano, Greco e Greco Editori, 2011) ci cala in questi racconti, tanto più terribili e coinvolgenti quanto più anodina e ordinaria è la materia di cui sono costituiti, in un universo medio, né sublime, né reietto. Lo sguardo di Mugnaini entra infatti, con sorprendente naturalezza,  negli appartamenti, nei salotti, nelle camere da letto, si insinua nei recessi più segreti a fotografare il miscuglio di angosce, di meschinità, di strambi ideali e improvvise emozioni che muovono i personaggi di questa sua minima commedia umana.

Ma c’è di più, la scrittura di Ivano Mugnaini ha qualcosa di singolarmente vigoroso: nella scelta dei vocaboli, nel tessuto asciutto ma tagliente delle frasi, nel suo periodare incalzante eppure equilibrato in cui fonde la fredda precisione del clinico ad una pietas che svela la vocazione etica dell’autore e rende questi racconti piccoli capolavori, a volte venati di un umorismo livido e glaciale. La letteratura, in queste pagine, sembra quasi aggredire e sforzare la realtà, investirla di valore, sentirne il palpitare aggrovigliato e indistinto e immergersi in esso per riconoscere ciò che brucia sia nelle sue immagini apparenti che nella sua più intima profondità.

Mugnaini cerca, in ogni momento della narrazione, una dimensione “forte” della letteratura, scrivere è per lui confrontarsi con la materia viva della corporeità, interrogare ed indagare l’ambiente fisico, storico e quasi biologico dell’esistente, vedere e capire il fondo dell’essere umano nella violenza e nella tenerezza dei rapporti che lo costituiscono, raccogliere il colore dei luoghi e dei tempi, cercare dietro le apparenze del mondo i suoi equilibri sempre provvisori, come le tracce di esperienze vitali sempre presenti a se stesse. La letteratura, che ne L’algebra della vita possiede il dono dell’erranza, cerca così una parola essenziale sulla situazione del mondo, rintraccia il senso del presente spesso rivelato da segni resistenti del passato e da una irrazionalità sotterranea che può suggerire, nel lettore accorto, un’eco luminosa da seguire, come la partitura appassionata e disperata di un crescendo inaspettato.

La bellezza con cui la scrittura si rivela in questo libro, si configura dunque come la via faticosa per forzare la realtà, per catturare nella pagina i particolari sfuggenti e fissarli in una sorta di definitiva e impossibile precisione. Nel succedersi dei racconti, si sente infatti la gioia di un’invadente e sfuggente molteplicità, unita alla disperata ostinazione di chi assedia le cose (e nello stesso tempo se ne sente assediato) e si accosta alle loro forme come a partire da una chiusa, immedicabile, sofferenza: spesso le parole si aggiungono alle parole nell’intenzione di precisare e specificare, di dare contorni più fermi e avvolgenti alla materia e l’effetto di questa ostinazione linguistica è sostenuto da una sintassi dai contorni netti e squadrati, che sfugge ad ogni esito di sfumato, trasferendo la scrittura su un piano di alta tensione letteraria. Mugnaini non cerca un movimento narrativo lineare e uniforme: non ci fa venire incontro, come in un’indagine, il manifestarsi della realtà con un succedersi incalzante di eventi e “esistenti” che, nella loro immediatezza, prevaricano la forma ma con una serie di vere e proprie “stazioni”.

Tutti i personaggi cercano infatti, goffamente o in modo pazzoide e infantile, o con cieca determinazione, un “senso” che vada oltre il loro rabbioso e creaturale istinto di sopravvivenza, in un susseguirsi di racconti che sono appunto delle “stazioni”: ciascuno di essi sembra isolarsi nel bozzolo della propria narrazione, come ad offrire uno squarcio particolare del mondo rappresentato ma, dall’insieme di questi racconti, risulta una logica serrata che conduce, con un movimento circolare, ad una serie infinita di alternanze, segni, figure e richiami simbolici che accompagnano vicende e movimenti dei personaggi, in un incastro archetipico dell’esistente e della sua rappresentazione.

La prosa di Mugnaini segue, con la sua incontenibile volontà di vivisezionare il reale, anche una sorta di ostinata ed incontenibile narrazione poetica, in cui il raccontare è in ogni momento ricerca di senso, interrogazione sul valore dell’esistenza attraverso il tendere alla parola, attraverso le contraddizioni del mondo. Le narrazioni si snodano infatti in un vario emergere di momenti, situazioni, immagini, incontri, ciascuno dei quali rappresenta un nodo da cui si sprigiona una tensione, un viluppo di significati che chiama in causa storia e destino dei protagonisti e che trae luce da uno spasimo radicato nel più profondo abisso del nostro corpo: lo spasimo e la smorfia dell’uomo che sa di essere lo scriba imperfetto e disperato di un destino già scritto e, soprattutto, di una storia che si è costretti a vivere non per scelta.

Questo senso della sconfitta di fronte alla vita è però agli antipodi dell’esibizione del dolore, del vittimismo subalterno, del patetismo cinico di chi narra solo per esteriorizzare e spettacolarizzare grottescamente uno dei tanti nodi dell’esistere: in Mugnaini non c’è compiacimento. Il velo di malinconia dolorosa di cui egli ci parla, vive nella riservatezza, si difende in un’ostinata ritrosia: si dà, nella percezione del male che agisce sullo spazio e sul tempo, una interna energia che lo conduce a riconoscere la propria solidarietà con il dolore del mondo. Indaga e ricostruisce per esorcizzare una tessitura preziosa in cui è trapunta la trama e l’inganno del vivere.

La sapienza costruttiva del libro meriterebbe di essere seguita nei tanti particolari che, in un gioco di rispondenze e contrappesi interni, legano tutte le figure dei racconti e che pongono a specchio le esperienze umane più contrastanti, avvolgendo una realtà così corale e multiforme in molteplici apparizioni fantasmatiche del vuoto dell’esistere: è in un attimo di smarrimento infatti, in questa confusa percezione del vuoto, che i personaggi mostrano il loro volto più vero. L’ironia discreta e mai irridente di Mugnaini nasce proprio da questo sentimento del vuoto che diviene indagine sulla leggibilità del mondo, dal risibile al tragico in tutte le sue determinazioni e accidenti, nel tentativo ineffabile di rendere, attraverso un’affabulazione orchestrata con perizia silenziosa e discreta, tutte le sfaccettature dell’esistente in cui si agitano storie esemplari, nevrosi, abissi di solitudine, frammenti di verità  scovati con passione nel mare caotico della adimensionalità del reale. 

Storie esemplari dunque, protagonisti indimenticabili, esistenze sul filo della patologia che diventano exempla dell’umano: L’algebra della vita cataloga i frammenti di una realtà che Mugnaini ha ricomposto in un autentico tesoro di affabulazioni, in un repertorio ampio di personaggi e atteggiamenti rubati alla vita e ricreati con forza espressiva straordinaria, nati dalla vena di un autentico narratore che sa trovare ogni volta il tono e la voce più adatti, con sorprendente talento mimetico e un assoluto controllo formale. Nella loro costellazione di sintomi e insofferenze, di fantasie e invenzioni, questi frammenti tracciano una radiografia dell’anima credibile ma impietosa, ci forniscono perizie e controperizie sul luogo più inospitale della Terra: la nostra esistenza e noi stessi come suo calco metamorfico, assolutizzato in un tempo quasi preesistente alla scrittura.

Ma il mondo di Ivano Mugnaini è, soprattutto, un mondo molto insidioso per il lettore che, incuriosito, giunge al termine della lettura con il fiato sospeso, nell’attesa di conoscere quell’unica verità che capovolge tutto ciò che fino a quel momento sembrava essere vero: ecco dunque nello stupore della scrittura, che improvvisamente la trama prende vita, l’atmosfera diviene surreale, tragica, irriverente e, in un attimo, accade l’incredibile. Dietro l’apparente leggerezza della narrazione, si cela infatti il comprendere  – di pirandelliana memoria – dopo tanto vagare che è inutile cercare, la vita “non conclude. E non sa di nomi, la vita”.

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