Dello scrittore non ancora rivelato noto come LEONARDO FIASCA
Il panorama, termine che la Grecia classica volgarizzava per indicare la vista del tutto, suggerirebbe ai frequentatori del luogo comune più l’ascesa che la discesa. In effetti si sale sulla torre per scoperchiare i canali dei difetti – leggasi altresì il contrario – oppure per ambire, d’anticipo sull’altro, alla scoperta di un’antenna o di un indennizzo; allo stesso modo il cocuzzolo della montagna consentirebbe di abbracciare la valle con tutte le sue lacrime. Se non fosse poi che la montagna, intesa quale panorama altro, susciti ammirazione solo dalla piana, dunque scendendo verso il basso –lacrima, lagrima, lager – e che la torre renda impressionabili le sue dimensioni da quel punto inferiore che per comodità o incertezza di vocaboli chiamerei base. Punti di svista, come dice quello. La sconcordanza porta all’eliminazione di sé allorché si abbia l’audacia, in qualche modo allusiva o addirittura dichiarata, di definire con parole proprie e suggestive l’impressione panoramica circa l’attuale ciborio editoriale. Pertanto non l’originale, che serve ancora a contenere il dogma di Cristo, amen, ma quell’altro, quello quasi inutile, quello… sì, quello dove la cultura fermenterebbe ancor prima di adagiarsi – dico in mollezza, ma qualcheduno ne contesterebbe persino la secchezza – sui palati improsciuttiti dei fruitori.
Queste cose, in genere, tendono ad andare per proprio conto, un po’ come quei camerieri senza comanda che vagabondano fra le sale dei ristoranti in attesa della chiusura. Niente di più vero e di più falso. Ad esempio, se seguissimo la parabola di Lacan, attribuendo impavidamente un inconscio all’entità astratta, ovvero al sistema di produzione culturale, noteremmo subito il trauma del linguaggio. Trauma che investe tanto la piccola quanto la grande editoria, e benché non sia mai stato mio costume fare di tutte le erbe un fascio, mi pare di poter dire che la generalizzazione qui proposta abbia solide basi di obiettività. Non considero le eccezioni per le quali la regola si confermerebbe: sono talmente poche difatti, che infliggere una reprimenda all’ignorante di turno è come fare a pugni con un insetto. Dunque dove si proietta la vista? A quale panorama destiniamo le nostre fotografie?
Primo: la cementificazione selvaggia come archetipo o metafora del rimaneggiamento che subiscono tutti i testi prima di giungere in libreria. Da circa un ventennio, per definirne più o meno i confini temporali, tanti, troppi romanzi fra quelli che si trovano in commercio non sono stati in realtà scritti dagli autori che compaiono in copertina. Questi, nell’intero ciclo produttivo, conservano solo una funzione ideativa; la scrittura, semmai ve ne sia una, viene uniformata al credo scolastico di non perfettibili editor, i quali, allineati come sono dal più vile ricatto occupazionale che sia mai stato consumato nei confronti della categoria, retrocedono in una posizione obbligatoriamente revisionista e quindi strategica, e quindi contraria a tutte le logiche della letteratura. Affinché lo sia ancora, invenzione appunto, tale espressione dell’arte deve preservare l’autenticità. E certo essa non si tutela con gli strumenti propri dell’artigiano: forbici, cesoie, scalpelli, lime. Fosse poi solo per l’assenza di concordanza l’idea in sé non fa mai lo scrittore; egli, vi rimanga in mente, è soltanto il parto naturale di una scrittura che impiega forza, qualità, estro e soprattutto proposta di linguaggio. Arriverei addirittura a pensare cose altre dal pensiero appena espresso, ma concludo così questo primo punto, allarmandomi e allarmando chi persevera nella medesima riflessione: se il panorama fa tutte case uguali, prima o poi, non muore negli occhi di chi l’ha concepito?
Secondo: il verde confezionato. Io i libri li ho sempre recepiti nella sinestesi di un rapporto fra il mio sentire il paesaggio e vederne i suoni. Chi osserva il panorama anzitutto ricerca il verde quale riunione col patto ombelicale di natura. Non si può, dico, sostare nei piani di un’aspettativa tradita. Gli alberi non devono essere finti, la plastica non può sostituirsi ai prati. E l’aria ha la necessaria funzione di ricambio. Pare invece che l’editoria modaiola e diffusa concepisca l’anzidetto tono riferendolo soltanto all’acerbità dell’autore, che nelle dinamiche esasperanti del sistema disporrebbe di più anni per portare acqua al mulino delle lobby. E se poi l’età non funziona come nel novanta percento dei casi? Chi glielo spiega al maresciallo inventato che non è uno scrittore? Forse l’idea istintiva di un suicidio per dichiarato fallimento esistenziale o il rifiuto di chi dice: tu non vendi?
Terzo: la morte della critica letteraria e la suprema bugia dell’informazione. Non hanno neanche avvertito del funerale, una celebrazione per pochi intimi rimasti in vita, che difendono la categoria dall’appiattimento servile con commovente coraggio e sempre meno udienza: sono le luci del panorama nostalgico, lampadine nel buio della montagna a notte fonda. Eppure ci sarebbe tanto bisogno di loro, sui giornali. Non degli altri, quelli finti, megalomani o inventati per lo sforzo di aver letto mezza dozzina di libri. Gli organi di informazione culturale – poi- non sanno fare altro che mentire, spacciare broccoli per tartufi, esaltare le vene masturbatorie dell’ennesima adolescente o elevare la meteorologia a luogo d’incontro di eroi e paladini di una giustizia dissimulata. Francamente brutto questo panorama e se non interviene presto una provvidenza di binocoli, utile a intercettare quelle molte cose ancora buone, da lontano esso mostrerà soltanto il perimetro iridescente di un’enorme discarica.
____________________________
Leonardo Fiasca, pseudonimo di XYZ, è autore, fra le altre cose, del blogbook:
1. se scrivi, non leggere questo intervento, è presto, continua a illuderti pensando a scrivere.
2. se sei un precario e ti viene proprio ora voglia di scrivere, allora questo articolo potrebbe stimolarti perché anche la scrittura è precaria, alla mercé di altri.
3. una volta leggendo qualcosa di escarpit, pensavo: se questo lo incontro, lo ammazzo. ora l’articolo me lo ha fatto tornare in mente: speriamo che non lo incontri proprio oggi
4. tranquillo, è sabato, esci e non ci pensare
Due cose fondamentali emergono da questo articolo:
– l’insostituibilità del rapporto con l’ambiente e coi luoghi, per poter dare ariosità e freschezza alla scrittura;
– l’oscenità del fenomeno del “ghost writing”, autentica presa per il culo verso i lettori e la Letteratura, che è una cosa molto seria.
Ma questa pretesa letteratura si esaurirà, come tutte le cose finte.
Sul panorama naturale ed artificiale. Intanto, con l’astrazione della riproduzione prospettica, l’uomo ha ingabbiato per se le linee di fuga della visuale, e spesso i panorami riprodotti sono puramente artificiosi. Intanto, tra la combinazione e la “sincronicità” non è il primo (interessantissimo) articolo che leggo sulla “cementificazione” dello stato creativo ed i successivi stati sovrani editoriali. Intanto, in rehab, pare che il primo atto sia il riconoscimento del problema.
Leggo: “Da circa un ventennio, per definirne più o meno i confini temporali, tanti, troppi romanzi fra quelli che si trovano in commercio non sono stati in realtà scritti dagli autori che compaiono in copertina”.
Sarei lieto se, a sostegno di questa affermazione, l’autore di questo articolo (che suppongo ne sia il vero autore) citasse un certo numero – esagero se ne chiedo una decina? Ma in realtà mi accontenterei di due o tre – romanzi non scritti dagli autori che compaiono in copertina.
Soddisferei volentieri la richiesta del signor Mozzi – gentilissimo per aver prestato il suo tempo alla lettura di questo articolo – scrivendogli in privato e specificando in questa sede che, per me, un dattiloscritto pesantemente rimaneggiato dagli editor non può più dirsi di appartenere all’autore che compare in copertina. Chiamiamolo allora ideatore, sceneggiatore, ma non scrittore.
Perché in privato?
Perché, pubblicando l’articolo di Fiasca che nel suo senso generale ci è comunque parso condivisibile, si esprime il diritto di critica tutelato dall’Art. 21 della Costituzione, mentre pubblicando una qualsiasi lista di libri di cui all’oggetto, al contrario, nell’eventualità in cui ciò che egli afferma di quei libri non sia veritiero, il blog per tramite di Fiasca andrebbe incontro ad un possibile reato di diffamazione a mezzo stampa, art. 595 del Codice Penale, con reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore ad euro 516.
Se lui o chiunque altro vuole comunicare a te o a chiunque altro la lista che chiedi, lo può fare in privato, assumendosene la responsabilità, o in pubblico da qualche altra parte, facendo in modo che chi la pubblica se ne assuma la responsabilità. Noi questa responsabilità non ce la assumiamo, in primis perché quella presunta lista di libri non l’abbiamo letta né l’avremmo mai letta, in secundis perché il punto è un altro, al di là delle classiche polemiche letterarie che sollevano polveroni per far parlare di sé, cosa non solo lontana dallo stile di Critica Impura, ma addirittura stigmatizzata dal nostro blog ad ogni prova (penso di essermi espressa abbastanza a riguardo nell’articolo sulla querelle Carabba / Ostuni).
Il senso complessivo che qui importa, infatti, ci sembra il riferimento alla possibilità di un pesante rimaneggiamento editoriale di taluni testi, cosa non solo fattibile, ma realmente già accaduta molte volte, e non oggi, ma da sempre. Solo un esempio, il primo che mi viene in mente: filologia e carte alla mano, Il Maestro di Vigevano di Mastronardi fu ultimato nel 1960 ma pubblicato a Maggio del 1962 nella collana dei “Coralli”, dopo un’attenta supervisione (leggi: in molte parti, completa riscrittura) da parte di Italo Calvino. E Mastronardi fu un caso letterario, dopo il Calzolaio di Vigevano, tanto che dal Maestro fu tratto pure il noto film con Sordi. Sorge spontaneo il quesito esistenziale sulla percentuale reale della farina prodotta, e da quale mugnaio.
Poi si può affermare che no, che il lavoro dell’editor (e del ghost writer) è comunque fondamentale, che non è vero che un testo rimaneggiato da terze mani sia snaturato: su questo il dibattito è aperto, se ne può parlare.
Per quanto riguarda l’articolo di Fiasca, l’abbiamo pubblicato con l’esclusivo intento di sollevare una serie di questioni che ci sembrano importanti circa alcune teratologie del mondo editoriale oggi. Altrimenti dovrei chiedere a tutti i colleghi che annuiscono nei commenti inviatimi in privato una lista di libri a cui il loro consenso si applichi. A noi non frega nulla, preferiamo la filologia.
Sonia Caporossi
Impeccabile. Gli editor e le grandi case editrici hanno portato l’invenzione a livello del packaging. Un disastro che sfugge alla stragrande maggioranza dei lettori.
Sonia: tu fai il tuo ragionamento e, giustamente, porti un – assai opportuno – esempio (Mastronardi e Calvino).
Fiasca non porta nessun esempio. Nella lista che mi ha fornito privatamente (che ho messa qui nei commenti, che è finita in moderazione, e che non vedo pubblicata) ci sono opere delle quali so per certo che hanno subito un “lavoro editoriale” importante (e sono opere di nessuna importanza letteraria, peraltro) e opere delle quali so per certo che sono completamente attribuibili all’autore.
Ma, per l’appunto, finché non si ragiona di casi specifici non si capisce nemmeno di che cosa si stia parlando. Vogliamo parlare di Mastronardi e Calvino? Si può. Ma non si può parlare di ciò che Fiasca NON nomina.
“Fiasca non porta nessun esempio”. Dici che te li ha addotti in privato, no?
Capisco comunque ciò che chiedi e perché lo chiedi, Giulio, ma se non abbiamo la certezza filologica di ciò che si va dicendo, sul nostro blog non pubblichiamo nessuna lista. Mentre invece il discorso in generale di Fiasca l’abbiamo pubblicato, perché consapevoli, come sei consapevole tu, che il fenomeno esiste, ovvero avendone più di una certezza derivata anche da studi pregressi.
Per quanto riguarda quella lista, io personalmente la certezza non ce l’ho; se Fiasca ce l’ha, mi fornisca una prova non velleitaria e la pubblicherò, come gli ho già detto.
Daremmo infatti spazio volentieri ad uno studio scientifico o a carte originali che dimostrino che uno dei testi di quella lista sia frutto di ghost writing. Nel frattempo la teniamo in moderazione perché non è questo lo stile di Critica Impura, non amiamo quando la critica scade a polemica; ti faccia fede il fatto che io personalmente non l’avevo voluta neanche leggere, ci ho dato solo ora una sbirciata per forza di cose.
Anzi, siccome anche tu sostieni che alcuni di quei libri hanno subito una ripassata pesante, e di certo, per il tuo mestiere, possiedi prove necessarie e sufficienti, lo studio filologico forse verrebbe meglio a te.
Considerati invitato a scrivere per noi un articolo in tal senso. Tempo e voglia permettendo.
Questo infatti è un blog che pubblica saggistica, studi, lavori di ricerca e articoli che suscitino dibattiti di pubblico interesse; non è una rivista su cui si dice che George Clooney è gay senza esserci andati a letto. Ma non sarà certo questa la tua idea del blog.
Ad ogni modo, non so se si capisce, con le mie metafore pindariche, che cosa io voglia dire…
Ciao, Giulio
Sonia Caporossi
Di solito le notti, come le madri, portano consigli e poiché temo che questa discussione sia stata travisata da qualcuno o possa diventare travisante per altri, ci terrei a chiarire alcuni punti. Avendo scontato i miei “latinucci” e pure un centinaio di manuali di diritto – benché abbia poi scelto di non intraprendere alcuna professione giuridica – eviterei di fare riferimento ai “mantra” del codice penale per giustificare il mancato ricorso alla pubblicità di certuni complementi di specificazione. Complementi che farebbero senz’altro da mentolo ai grevi, nonché inspiegabili (apparentemente) pruriti di chi vuole o vorrebbe dirottare il confronto sull’entrata a gamba tesa. Qui la partita, semmai, è quella di un gioco pulito, di colpi di tacco, di pallonetti, di rovesciate, doppi passi senza passi falsi. E’ la partita dell’allegria senza astio, metterne o indurne il pensiero alla sua considerazione è quantomeno capzioso. Scrive bene Sonia Caporossi quando introduce al dibattito di un possibile limite fra le figura dell’editor e quella dello scrittore. Perché il punto è proprio questo: l’attribuzione di una qualifica, quella di Scrittore appunto, a chi questa qualifica non può essere riconosciuta. Ignorare il fatto che, all’interno di una casa editrice, vi siano diverse figure professionali le quali contribuiscono alla produzione di un libro oggi è anacronistico. Ci sono e come tali vanno grandemente rispettate. Uno scrittore non si deve occupare del progetto grafico di copertina, e neppure del marketing e dell’ufficio stampa. Non deve interferire nella promozione e neppure nella distribuzione. Uno scrittore deve pensare solo a scrivere una storia e a farlo bene, ossia con Scrittura e capacità propositive. E l’editor in tutto questo cosa c’entra? C’entra eccome: egli infatti ha il difficilissimo compito di esaltare al massimo le potenzialità dell’autore trovando nel testo quei punti, oggettivamente deboli, che lo stesso autore, e non l’editor, andrà a rimediare. Se si tratta di uno scrittore autentico, di razza cioè, i punti dovrebbero essere pochi e quindi la figura dell’editor è più quella di un supporto spirituale, psicologico se si vuole. Necessario, per carità! E’ risaputo infatti quanto gli Scrittori soffrano di clamorosi limiti caratteriali che ne minerebbero la stabilità pubblica. Più dell’agente, altra figura utile, allora meglio l’editor. Ma quando nelle redazioni delle case editrici arrivano dattiloscritti di venticinque oppure di sei, settecento cartelle, scritti in lingua barbara, senza alcun rispetto dei tempi del romanzo, raffazzonati e confusi, e l’editor o gli editor ne riscrivono il tutto portandolo a un romanzetto di ottanta cartelle solo perché l’idea è buona o il ragazzetto/a rientra nella fascia “giovanissimo esordiente scrive di”, allora il discorso cambia alla radice. Parliamo di frode, perché si immette sul mercato un prodotto che inganna il possibile acquirente. Perché io, Leonardo, compro il libro di Sempronio quando so che l’ha scritto Sempronio. Qualora fossi messo a conoscenza del fatto che Sempronio è solo l’ideatore, probabilmente non lo comprerei o lo leggerei con altri occhi. Di sicuro non qualificherei il suddetto come scrittore. Tante persone hanno idee fantastiche, geniali oserei dire, eppure non fanno il mestiere che gli editori vorrebbero far crederci. Vogliamo dunque dargli il giusto risalto? Bene, inventiamoci una nuova figura professionale, quella “dell’ideator”. Gli Scrittori, cortesemente, lasciamoli da parte.
La novità è che oggi chiunque può pubblicare qualsiasi cosa. La libertà comporta anche questi rischi.
Sonia, trovo bizzarra questa affermazione: “…se non abbiamo la certezza filologica di ciò che si va dicendo, sul nostro blog non pubblichiamo nessuna lista”.
Che è come dire (mi pare): abbiamo pubblicato un discorso generale (io direi: generico), ma non pubblichiamo le prove che lo sostengono perché non sono certe.
Chi legga questo articolo, al momento, non sa
– di quali testi si parli,
– quali siano le fonti d’informazione di Fiasca.
Ovvero, non sa se Fiasca parla con competenza di cose che sa, o se parla a caso, per sentito dire, eccetera.
La mia sensazione è che Fiasca parli di cose che non sa, sulla base di qualche “sentito dire”. Se sarà pubblicata l’ormai famosa lista (che io avevo messa qui nei commenti, e che non è stata autorizzata da chi gestisce il blog), potrò dire quel che so su ciascuno (non tutti: di alcuni non so niente) dei titoli. Quindi potrò smentire Fiasca, o essere io smentito eccetera: si potrà discutere su qualcosa, e non sul nulla.
Giulio, poi Fiasca risponderà ciò che vorrà, intanto la mia risposta per il blog è questa:
innanzitutto, uno dei problemi è proprio che una tale affermazione, che vuole richiamarsi all’onestà della scientificità qualora si scenda più nello specifico, oggi sembri bizzarra ai più.
Oggi, dico, che del sensazionalismo e della chiacchiera si fa virtù.
Secondo poi, ma se quella lista non sta nell’articolo originale, quale nulla sarebbe non pubblicarla, visto che l’articolo nomina un fenomeno che esiste in questa forma almeno dai tempi di D’Annunzio e sulla cui esistenza sei d’accordo anche tu, visto che lo confermi, che sta nella storia e che di prove ne ha a bizzeffe?
Ricordo che quando Fiasca ci propose l’articolo, io obiettai proprio sullo stesso passaggio che hai messo in questione tu, ritenendolo eccessivo, o comunque da giustificare in qualche modo. RIflettemmo poi in redazione sul fatto che di esempi concreti di ghost writing, anche nella storia della letteratura, a livello filologico ce ne sono stati tanti (uno è quello che ho addotto io); e non negli ultimi vent’anni soltanto, ma ne corso del Novecento, come qualsiasi buon italianista sa. E ti assicuro che i lettori di Critica Impura non sono proprio di primo pelo, sanno ritrovarseli da soli.
Basta questa considerazione per far slittare il senso di quel passaggio dell’articolo dal generico al generale, nell’accezione migliore. Se poi vuoi continuare a chiamarlo generico, passi, non credo sia un handicap al senso complessivo del discorso. Il quale, peraltro, comprende tre punti di discussione, mentre tu ti sei concentrato su uno solo.
Per quanto riguarda invece la famosa lista, siccome non era compresa nell’articolo ab origine, non vedo perché dovremmo pubblicare del sensazionalismo successivo; essa è frutto di un pensiero che Fiasca ti ha inviato in privato e Fiasca se lo sbrighi con te in quella sede: noi qua, ripeto, pubblichiamo solo cose certificate.
Io non posso per amore di scienza e d’onestà pubblicare una lista in cui a fianco a testi sicuramente ripuliti dal ghost writing (auctoritas tua) ci siano testi invece originali; non mettiamo in giro voci, nemmeno per confutarle, giacché se la voce non circola non c’è bisogno di confutarla, e metterla in giro preventivamente significherebbe solo voler far parlare di sé sollevando un polverone, cosa che, ripeto, non è nel nostro stile e non amiamo la diffamazione, nostra o altrui.
Capisco che oggi le riviste e i dibattiti letterari si siano impoveriti a tal punto da non campare d’altro.
Non è un problema nostro.
Ripeto che il senso complessivo dell’articolo è per noi perfettamente condivisibile. A noi non servono esempi specifici; tu copieresti su Vibrisse una lista di libri scritta da un qualsiasi collaboratore (peraltro ignoto) che li accusa di ghost writing senza essere sicuro di ciò che questi vada dicendo? Però immagino che pubblicheresti un articolo se, ritenendo preliminarmente che esso sia scritto bene, ci ritrovassi soprattutto un senso ed una verità di fondo.
Il nulla umano, scientifico e morale, credimi, sarebbe pubblicarla, quella lista. Quando qualcuno di voi ci manderà uno studio comprovato sull’argomento, lo pubblicheremo ben volentieri.
Per il momento, atteniamoci ai testi della letteratura italiana di cui sappiamo scientemente che abbiano subito questa sorte. Si sa, per esempio, che molte autobiografie di non scrittori, anche in passato, siano state redatte con l’ausilio di un fantasma. Solo negli ultimi anni a fianco al nome del personaggio in grosso, sulla copertina è cominciato a comparire anche il nome dell’altro (normalmente è un giornalista che ha raccolto la bio in forma d’intervista e poi la riscrive in un testo omogeneo).
Per cui, attualmente, nel caso dei nomi di fama che vogliono raccontare la propria vita, la clausola contrattuale del silenzio del ghost writer si sta trasformando nella pratica della riscrittura patente. Non sembrerebbe plausibile al lettore smaliziato, infatti, che Patti Pravo o Ibrahimovic riescano a scriversi un libro da soli.
La questione, secondo me, abbisogna di uno studio critico urgente, d’ampio respiro.
Sonia Caporossi
Il fenomeno esiste, eccome.
James Patterson oggi a quanto pare è il più ricco fra quelli che ammettono candidamente di fornirsi di coautori nascosti…
http://www.time.com/time/magazine/article/0,9171,1999411,00.html
Rispondo con l’ausilio degli interventi altrui, invitando il lettore di questa rubrica a farsi un’idea democratica sul senso di quanto andiamo dicendo.
“Sarei lieto se, a sostegno di questa affermazione, l’autore di questo articolo (che suppongo ne sia il vero autore) citasse un certo numero – esagero se ne chiedo una decina? Ma in realtà mi accontenterei di due o tre – romanzi non scritti dagli autori che compaiono in copertina.”
A questa sollecitazione rispondo in maniera PRIVATA al richiedente. Egli, ignorando la mia persona nella sede PRIVATA, preferisce rispondere così:
“Nella lista che mi ha fornito privatamente (che ho messa qui nei commenti, che è finita in moderazione, e che non vedo pubblicata) ci sono opere delle quali so per certo che hanno subito un “lavoro editoriale” importante” etc.
Dunque il richiedente AMMETTE, secondo la sua esperienza, che il fenomeno del rimaneggiamento importante dei testi esiste. Credo sia sufficiente questa risposta per ritenere conclusa, da parte mia, la querelle sul caso specifico, ossia sulla lista.
“Il nulla umano, scientifico e morale, credimi, sarebbe pubblicarla. ”
Il discorso semmai è un altro ed è quello “generale, e non generico”, morale e non moralista, di un punto messo in evidenza nel mio articolo (fra l’altro credo vi fossero almeno altri due spunti meritevoli di attenzione): è giusto qualificare scrittore chi, scrittore, non lo è affatto? Per me no, ma c’è chi potrebbe obiettare il contrario.
Ma: secondo me la critica scade in polemica – in cattiva polemica, mi arrischio a dire – quando non nomina, non esplicita, non dice ciò di cui parla. Se entro in una stanza piena di gente e dico: “Eh, qui dentro ci sono due cretini”; e, domandato di chi stia parlando, rispondo che lo dirò solo in privato: che cosa sto facendo, della critica? O del casino?
Mi si domanda: “tu copieresti su Vibrisse una lista di libri scritta da un qualsiasi collaboratore (peraltro ignoto) che li accusa di ghost writing senza essere sicuro di ciò che questi vada dicendo?”.
No. Lo inviterei a dire da dove tira le sue informazioni. Cosa che ho fatta nel commento qui non pubblicato. E a quel punto potrei cominciare a fare del lavoro critico: andando a vedere, per intanto, se le fonti sono buone; se effettivamente quei libri sono stati scritti da persone diverse da quelle che li firmano; eccetera.
Naturalmente, se l’informazione si rivelasse buona; se le fonti fossero attendibili; eccetera; pubblicherei senza esitazioni la lista; o almeno quella parte della lista della quale mi parrebbe di potermi fidare.
Preciso che, in privato, Fiasca non ha fornito nessuna informazione sulle sue fonti.
La polemica sorge se uno insiste, Giulio.
Infatti la stai facendo tu.
Se hai ammesso che il ghost writing esiste, al discorso generale basta questo. O tu vuoi le prove di qualcosa che già si sa?
In rete circolano voci su Melissa P., ad esempio. Ammesso che un suo libro possa addirittura rientrare nel novero della letteratura, cosa già di per sé opinabile, a me la voce non basterebbe comunque: dovrei quantomeno operare un’analisi stilometrica sul testo per poter dire “questo capitolo è suo”, “questo invece l’ha scritto un altro”.
Su Melissa P. non ci perderei del tempo, sul Gattopardo sì. Per vedere quale è la parte riscritta da Bassani e quale quella che anche a Vittorini, dopo il primo rifiuto, sarebbe piaciuta.
La filologia, in questo, è un po’ come la giurisprudenza.
Concludendo, la tua fallacia argomentativa te la spiego, dal punto di vista della logica formale, in questo modo:
Tesi: Critica Impura pubblica un articolo di Leonardo Fiasca il cui senso è condivisibile e di cui tutti sanno, pure tu, che il contenuto generale è vero.
Ora, nel tuo ragionamento:
1) io dovrei chiedere secondo te delle informazioni su ciò che tutti sanno benissimo che esiste;
2) le informazioni dovrebbero essere relative ad una lista specifica di libri che Fiasca accusa di ghost writing ma che NON compare né mai è comparsa nell’articolo qui pubblicato, in quanto redatta dopo e inviata a te in forma privata;
3) TU mandi quella lista qui in un commento che finisce in moderazione, cercando di far pubblicare una conversazione privata (!?);
4) Ammetti che in quella fantomatica lista alcuni libri sono frutto di ghost writing altri no, dando per buono esplicitamente il senso complessivo dell’articolo che pure stigmatizzi, non si capisce quindi più perché;
5) Cerchi di riportare la discussione ad uno specifico extratestuale, il ché è un non sequitur, perché Fiasca non scrive “qui ci sono due cretini”, ma “si sa che in generale qui ci sono tanti, troppi cretini”, cosa da te ammessa in quanto non cretino.
Ma ciò che è peggio è la tua patente petitio principii che ti vado ad esplicitare. Tu scrivi:
“Lo inviterei a dire da dove tira le sue informazioni. Cosa che ho fatta nel commento qui non pubblicato. E a quel punto potrei cominciare a fare del lavoro critico: andando a vedere, per intanto, se le fonti sono buone; se effettivamente quei libri sono stati scritti da persone diverse da quelle che li firmano; eccetera.”
E’ un circolo vizioso bello e buono in cui le conseguenze non derivano dalle premesse, visto che avrei dovuto chiedere certamente delle prove su quella lista se egli però L’AVESSE RICOMPRESA NEL TESTO DEL SUO ARTICOLO, quod sic non est; se tu mi mandi una lista redatta da Fiasca a posteriori, proprio perché non ci fidiamo della sua veridicità non la pubblichiamo senza che si diano certezze filologiche di quanto vi è riportato! Qualora si forniscano prove filologiche, ho già detto che lo spazio per un articolo è sempre aperto.
Che è per l’appunto quanto tu affermi che si debba fare qui:
“Naturalmente, se l’informazione si rivelasse buona; se le fonti fossero attendibili; eccetera; pubblicherei senza esitazioni la lista; o almeno quella parte della lista della quale mi parrebbe di potermi fidare.”
Dunque, se siamo d’accordo sull’etica da seguire, di che cosa stiamo parlando?
Sonia Caporossi
Se qualche volta – non dico sempre – ci si soffermasse di più sull’intestazione degli articoli, estremamente chiara nella fattispecie, si eviterebbe di incorrere in quelle brutte figure che, alla caduta di stile, aggiungono dubbi sulla buona o mala fides della persona. La parola chiave in questione è “panorama”. Basta infatti solo questa per addurre un esempio lapalissiano e giungere alle ovvie conclusioni che condivido appieno con la moderatrice: se da un’altura scorgo la spiaggia di sotto invasa di baracche non andrò a raccontare alle autorità competenti – perché sterile nel senso proprio della denuncia – di ogni singolo abusivo, ma dell’abusivismo che in generale insiste su quella porzione di demanio. Questo è il significato puro e definitivo del mio intervento. Che poi io sia a conoscenza del fatto che Ciccio Pallina posizioni la stanza da letto sulla battigia o che Camionetta si costruisca le zanzariere con l’eternit credo non abbia nessuna rilevanza in riferimento alle mie intenzioni originarie, che tali rimangono nonostante i patetici tentativi di acqua, acquetta e fuocherello.
Il ghost writing esiste. Quante sono le opere letterarie (belle o brutte) frutto di più o meno intenso ghost writing?
Se fossero, mettiamo, l’1% del pubblicato, allora potremmo decidere che il ghost writing letterario è un fenomeno marginale.
Se invece fossero, mettiamo, il 10% del pubblicato, allora potremmo decidere che il ghost writing letterario è un fenomeno importante.
Se invece fossero, mettiamo, il 30% del pubblicato, allora potremmo decidere che il ghost wriitng letterario è un fenomeno importantissimo.
Se invece fossero poche, magari pochissime, ma in gran parte di grande successo di pubblico, allora potremmo decidere che il ghost writing letterario è un fenomeno importantissimo almeno dal punto di vista editoriale.
Ecc.
In rete circolano voci su Melissa P., dici. Io fui uno dei fortunati lettori del testo prima che diventasse un libro. Mi presi il lusso, a suo tempo, di leggere anche il libro stampato; e di fare qualche confronto. Niente di scientifico, per carità. La mia impressione è che il romanzo abbia subito una revisione dell’autrice, e/o un editing, di una certa consistenza. Ma non credo proprio che si possa parlare di ghost writing. Quindi mi sento di sostenere che le voci che circolano in rete su Melissa P., almeno per quanto riguarda il suo romanzo da un milione di copie, non sono vere.
Mi sono permesso di inserire qui la lista che mi inviò privatamente Fiasca proprio perché ho visto che i commenti vengono messi in moderazione.
Quanto al tuo punto 2: è evidente che se uno non afferma niente di preciso, non c’è modo di confermare o smentire ciò che dice; e nemmeno di discuterlo.
Scrivi: “Ammetti che in quella fantomatica lista alcuni libri sono frutto di ghost writing altri no, dando per buono esplicitamente il senso complessivo dell’articolo”. Che io sappia, in quella lista – che non è fantomatica, ma reale – c’è un libro che ha subito una tale lavorazione all’interno della casa editrice da poterlo considerare in buona parte frutto di ghost writing.
Si tratta di “Volevo i pantaloni” di Lara Cardella. Che vinse un concorso indetto da “Famiglia cristiana” in collaborazione con Mondadori; concorso che prevedeva, come premio, appunto la pubblicazione per Mondadori. Il testo fu profondamente rimaneggiato dalla casa editrice. La fonte dell’informazione è Ferruccio Parazzoli, all’epoca in Mondadori. Il rimaneggiamento lo fece lui. Se non ricordo male, mi raccontò questa cosa nel giugno del 2004. (Si tratta peraltro di un’opera della quale si può dubitare che “possa addirittura rientrare nel novero della letteratura”; più precisamente, direi che si tratta di un’opera il cui interesse è sociologico e culturale, non certo letterario).
E ancora più importante, sommerso e fatalisticamente considerato necessario il fenomeno dell’editing conto terzi, che diventa gemello del ghost writing laddove gli interventi sul testo siano pesanti e sostanziali.
Melissa P. a tuo dire uscirebbe indenne sia dal secondo che dal primo; sarebbe interessante sempre compiere uno studio stilometrico, o anche poter confrontare il manoscritto col prodotto finito (perché di “prodotto” si tratta) come hai potuto fare tu.
Chiamavo la lista fantomatica in quanto tale sembrerà per i lettori che ci seguono…
Quanto a Lara Cardella, concordo sull’interesse sociologico ma non letterario. Per quanto riguarda il resto, sono fonti di cui tu sei in possesso, ma noi non ne eravamo a conoscenza.
Cordialmente
Sonia Caporossi
Può valere una descrizione di prodotto come per il baccalà affumicato in cui viene specificato il tipo di affumicatura a freddo mediante legni naturali, faggio o quercia e senza resina?