Dialogo impuro fra l’Amore senz’anima e l’Anima senza amore

Antonio Canova, Amore e Psiche, 1788-1793
Antonio Canova, Amore e Psiche, 1788-1793

Di SONIA CAPOROSSI e ANTONELLA PIERANGELI

S: Se tu sei Amore ed io sono il Sé, ci può essere un dialogo fra l’Amore ed il Sé?

A: “Sé” l’amore c’è…Senza ma e senza se…

S: Ma se io sono l’Anima e tu sei l’Istinto, non consisti tu forse semplicemente in una parte di me? E come potrei io dialogare da solo con me stesso, senza passare per pazzo?

A: Ne convengo, sono in effetti una parte di te, la migliore. Come dire: una propaggine ingombrante del tuo ego distorto. O meglio, un tuo figlio degenere, un cavallo nero che vorticando nelle arterie delle tue ombre scalcia e disarciona le tue fragili certezze.

S: Ma, perdona l’impudenza, se tu sei il cavallo io, al contrario, sono l’Anima, ovvero l’Auriga che tiene le tue redini come fossero un guinzaglio. Tutto essendo il mio ego fuor che distorto.

A: Un auriga? Tu, il tremebondo auriga che flette invano le braccia per non doversi inabissare? Hai odore di bestia, anima mia…

S: Tu confondi l’Anima con l’animale. Come pensi di potere anche solo lontanamente darmi il benché minimo fastidio?

A: Non voglio dartene, infatti, non ne sento il bisogno. Io sono per natura confuso e inattaccabile nella ferma convinzione di esserlo. Un poetico caos mi marchia a fuoco da secoli. Ma dimmi, anima candida, dove finisce la tua purezza? Dove dorme il tuo candore di belva?

S. La mia purezza eterna consiste nella consapevolezza. Ciò che io so dorme nel cuore dell’Uomo da millenni. La differenza ineffabile, eppure così certa, fra Philìa ed Eros, ad esempio è uno dei segreti che io posseggo e proteggo dall’oblio dei mondi e dei tempi. Tu puoi dire di conoscerne la reale essenza? O forse, invece, non ne rifletti che un barlume di coscienza parziale, essendo, come sei, così privo di ragione?

A: Consapevolezza… Un patetico scambio di tregue, tremende come piaghe, tra coscienza e intenzione. L’oblio le seppellirà, nella trionfante meraviglia aortica del mio covo segreto. Custodisco parole di bellezza eterna, “lo scandalo del contraddirmi”, il segreto dei cuori senza pelle.

S: Tenere fede alla propria coscienza ti appare così patetico? Senza di me, vorticheresti verso un solitario e anemico abisso senza fondo: quello del caos. Fuori dalla mia guida, non sapresti nemmeno distinguere il bene dal male, il giorno dalla notte, le tue mani da quelle di chi ti trae in salvo fuori dall’impaccio castrante dell’impulso irrefrenabile e della follia. E quelle mani, finora, son sempre state le mie.

A: Bellissime, meravigliose propaggini da abbrancare, nella furia di Eros in barba a Philìa… La coscienza di cui parli niente può avere a che fare con l’impulso irrefrenabile che ci spinge verso l’abisso, in braccio alla notte più nera del nero. Mi sembra che tu abbia nostalgia del caos, avverto come una malinconia di fondo in questo tuo mesto essere fedele a te stesso. Pentimento secolare, stanchezza della virtù?

S: Nessun pentimento, anzi. La mia virtù consiste nel medèn àgan, nel saper sempre osteggiare la devianza dalla giusta equidistanza rispetto all’eccesso. Non dico di non amare, non dico che non l’abbia fatto, non dico di non farlo e non posso affermare che non lo rifarò. Ma questo mio amore è senile, è antico come il mondo; è governato, per dirla in una parola, dalla saggezza dell’anziano che invecchia ante tempore, perché sulle spalle sopporta, novello Atlante, tutto il peso immane dell’esperienza degli uomini, quelli che sono stati, quelli che sono ora e persino quelli che non saranno mai.

A: Esperienza, il nome che ciascuno dà ai propri errori, come dice il principe dei devianti, il patetico-poetico Oscar Fingall O’ Flaherty Wills Wilde… Una grande anima in una misera patria. Ma tu credi realmente che l’amore possa essere “governato”? L’amore?

S: L’amore si governa per consuetudine e prassi, perché è un rapporto sociale. Io ti governo, perché sei un me nell’altro sé e nell’altro da te. La tua dimensione, oserei dire, non è neanche il due, è l’infinita numerazione della moltitudine, la Philìa della fratellanza, la familiarità universale. Tuo fratello Narciso, soltanto, non conosce il senso della misura: egli, infatti, non ama che se stesso.

A: Io direi che l’amore si propaga, è il grande contagio che prelude la catastrofe del desiderio che si annuncia. E’ la rivelazione improvvisa e insopportabile del potere dell’altro su di noi, lo schianto di Narciso nel vedersi scoperto a contemplare la vittoria della sua immagine riflessa. Amo l’altro da me perché non potrei essere più mio dopo aver incontrato i suoi occhi. Mi spossiedo, anima bella, assisto muto alla spoliazione di me, la damnatio memoriae del mio passato. Vivo nell’attesa di un segnale di resa. Quella dell’amato sconfitto…Dolce nella memoria.

S: E vorresti sconfiggere proprio me, che consisto nell’unificazione perfetta e compiuta dell’istinto e della ragione? Come potresti imperare senza prima dividermi?

A: In questo hai ragione, mio arguto signore, ma ho ancora una freccia nel mio arco e una mira che nemmeno Artemide in persona avrebbe sognato di avere nei suoi più riusciti agguati. Vuoi conoscere la mia arma vincente? Una sola parola, GE-LO-SIA… E’ questo il primo motore – non immobile – della tua scissione, il momento in cui ti osservo ammantato di furore, annullarti nell’Amore. Me lo ha suggerito un certo Roland Barthes, il quale sosteneva: ‎”Come geloso, io soffro quattro volte: perché sono geloso, perché mi rimprovero di esserlo, perché temo che la mia gelosia finisca col ferire l’altro, perché mi lascio soggiogare da una banalità: soffro di essere escluso, di essere aggressivo, di essere pazzo e di essere come tutti gli altri.”

S: A dire il vero, personalmente, come oggetto di gelosia, godo invece quattro volte. Primo, perché oggetto di gelosia; secondo, perché mi compiaccio nell’esserlo; terzo, perché non ho desiderio che la gelosia finisca; quattro, perché mi lascio cullare dalla macerazione altrui.

A: Lo vedi? La  gelosia altri non è che la vittoria dell’Altro sul nostro concetto di sé. Per dirla ancora con il divino Roland, la resa incondizionata del sentimento amoroso al potere della fascinazione. Dunque, come tale, la gelosia è inversamente proporzionale all’idea suprema che abbiamo di noi stessi. Vivamente sconsigliata ai superumani! Sarebbe per questi tragici feticci una vera discesa nel loro più putrido segreto. E tu, adorneresti il tuo carro con l’amaro trofeo della loro sconfitta. Un tripudio per la tua anima razionale e per il tuo senso della Philìa, un godimento che si paleserebbe come la rivelazione di un Narciso senza più maschera.

S: Ma il mio godimento è di tipo stoico, un niente di troppo, un sorriso circostanziale, una piroetta per sgranchirmi le gambe prima di mettermi seduto. Il mio compiacimento è simile a quello del guru che aveva previsto il discepolo sbagliare, o del veggente che sapeva già tutto prima che ci fosse qualsiasi cosa da sapere. La consapevolezza mi conduce verso una sorta di preveggenza teoretica, che mi fa vagliare le risposte prima delle domande e che mi consente il recupero rapido ed efficiente di tutte le possibilità, di tutte le nozioni a me necessarie per trarmi d’impaccio quando sto per innamorarmi sul serio. Così, io mi proteggo ventricoli ed arterie dall’ictus delle tue frecce avvelenate. Persino il mio essere oggetto di gelosia è placido, bonario e distaccato: non amo vedere che tu soffri per me, non desidero la tua incoscienza.

A: Come dire che non ami vedere la mia sofferenza ma sapere che soffro ti riempie, stoicamente, di una calma assoluta, di un soave rilassamento come da peristalsi neonatale. Un coma vigile a cui finisci per credere anche tu.

S: Tu non capisci. Il mio godimento è la mia stessa sofferenza, specchio della tua. L’una si rispecchia nel volto dell’altra, come l’erma bifronte di Pirandello. Quanto ti vedo soffrire di gelosia, il mio godimento si permea delle tue lacrime, del tuo tormento, del tuo dolore ad ogni singolo sguardo che possa io lanciare in direzione di un altro. Così, è la tua fiamma che mi scorre nelle vene al posto del fiele dell’amara solitudine. E’ la tua stessa passione quella che riverbera i suoi rintocchi fra le mie tempie esangui. Per questo devo difendermi, per questo devo scappare. Io sono l’Auriga, governo la biga, non posso lasciarti a briglia sciolta senza prefigurare il disastro, la catastrofe, la morte. Rifletti, per una sola volta nella tua impulsiva vita: se tu sei parte di me, come potrei rifuggire dal percepire la tua stessa sofferenza, come potrei non rendermi partecipe del tuo stesso segreto?

A: Vuoi confondermi? Vuoi domare l’indomabile con il farmaco della parola? Proprio tu mi parli di passione e di sangue, di fiamme e di fiele? Vacillo di fronte al mio stesso enigma, come mai ho tremato nemmeno di fronte alla bellezza e alla contemplazione della sua rovina. Parli dunque di una sofferenza, la mia, che risiede nella tua stessa anima e per questo ne ha assunto forma e sostanza?  O forse anch’io ho un’anima e quell’anima sei tu? Se la conosco e la nomino, dunque esiste? Ma…Allora io sono…Te, la tua voce…E’ la…mia???

5 pensieri riguardo “Dialogo impuro fra l’Amore senz’anima e l’Anima senza amore

  1. Sonia, ti ringrazio per la l’avvincente provocazione. Mi sembrava quanto meno artificiosa l’iniziale dicotomia Amore/Anima, ma il finale rimette tutto a posto: l’amore non può essere tale senza l’anima, un sacro binomio laico contrapposto alla SS Trinità. Il vero problema, secondo me, è definire l’anima: Coscienza? Essenza? Istinto? Anche, ma manca sempre qualcosa di inafferrabile…

  2. “La bella fabella” di Apuleio quanti tra poeti ,scultori, filosofi ha ispirato…il tentativo dell’uomo di dare una spiegazione a ciò che lo sovrasta, l’opera di Canova sceglie il finale della “favola” quello in cui <> capolavoro di equilibrio…per rappresentare la tensione e la carnalità precedente quell’atto.
    Equilibrio impuro come quello che invoca il finale di questo dialogo:
    Vuoi confondermi? Vuoi domare l’indomabile con il farmaco della parola? Proprio tu mi parli di passione e di sangue, di fiamme e di fiele? Vacillo di fronte al mio stesso enigma, come mai ho tremato nemmeno di fronte alla bellezza e alla contemplazione della sua rovina. Parli dunque di una sofferenza, la mia, che risiede nella tua stessa anima e per questo ne ha assunto forma e sostanza? O forse anch’io ho un’anima e quell’anima sei tu? Se la conosco e la nomino, dunque esiste? Ma…Allora io sono…Te, la tua voce…E’ la…mia???
    Che bello grazie !!!
    “quanto non si può penetrare ci si sforza di figurarselo”

  3. …verrebbe quasi da dire che la risposta all’amore è..l’amore stesso!! Non è forse la più grande forza dell’Universo? E se è tale, cosa smuove e cosa la smuove?? Esiste un oggetto dell’amore, o è solo una apparenza, l’amato, perchè in realtà l’amore ama se stesso rimanendo imperturbabile nella sua essenza indefinita? L’amato non è dunque che il rispecchiarsi dell’amore nella sua coscienza?

  4. Mi son incantata sulla parola auriga.
    Disquisizione che ti prende per mano e ti ritrovi a incasellare vari concetti senza sforzo.
    Philìa ed Eros, ecco, uno dei passaggi più godibili.
    Il resto lo leggerò domani,. Grazie!

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